Sull’importanza dei generi letterari. Osservazione di Maria Corti

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Sull’importanza dei generi letterari per un’esatta descrittiva dei codici tematico-formali sui quali si staglia l’individualità delle opere, osserva Maria Corti:

Se la letteratura è passibile di essere indagata come sistema di interazioni di istituti letterari, essa è anche da un lato un deposito di tematiche, dall’altro il canale collettore delle varie soluzioni formali che costituiscono la lingua letteraria. Per quanto sia dimostrabile che ogni genere ha avuto il suo tipo di «scrittura», impostato che fosse sulla linea del monolinguismo o del plurilinguismo, tuttavia si è verificato che esso facesse i conti con le generali strutture retoriche della lingua letteraria che, in un paese come l’Italia, è stata fino al nostro secolo il sostituto della inesistente langue. Questa particolare situazione storica italiana, cioè la mancanza di una lingua di comunicazione che agisse sulla lingua letteraria, ha fatto sì che in quest’ultima si riscontri, almeno per il passato, una maggiore staticità rispetto agli altri piani del sistema letterario. La costante presenza di parecchie marche di origine retorica attraverso i secoli nel livello formale di quasi tutti i nostri generi letterari dà quella impressione curiosa per cui sembra che nella nostra letteratura qualcosa sia sempre diverso, ma qualcosa sia sempre uguale. (1)

(1) M. CORTI, I generi letterari in prospettiva semiologia, in  «Strumenti critici», I, 1972, p.9

f.s.

Giudizi di valore di Pier Vincenzo Mengaldo

Recensione/schizzo #22


Edito da Einaudi nel 1999, il volume raccoglie gli interventi del filologo e storico della lingua, nonché critico letterario, pubblicati su periodici non specializzati e su quotidiani a partire dal 1985. Gli articoli hanno “per lo più il taglio della recensione o notizia (talora dello spunto polemico). Perciò documentano la mia- nel complesso recente- attività di critico militante nel senso più stretto della parola”.

 Il libro è suddiviso in sezioni che s’impaginano attorno alla parola-chiave “questioni”: Questioni ultime (serie di articoli che trattano di antisemitismo e Shoah), Questioni letterarie generali (saggi sulla narrativa e la lingua italiana), Critici (Fortini, Lukàcs secondo Cases, Baldacci), Metodi e didattica (articoli dedicati alla pratica dell’insegnamento), Scrittori italiani (Saba, Tozzi, Gadda, Fortini, Sereni, Calvino, Fenoglio, ecc.), Narratori di altri paesi (Hardy, Kawabata, Simenon, Christopher Isherwood, Hrabal, Schnitzler, Kis, Kuraev). Chiude l’opera una breve autobiografia: Minima personalia.

Il libro permette di leggere chiaramente- nonché parzialmente- il percorso di letture e di incontri dell’illustre studioso. La lettura del volume è piacevole e corroborante. Per chi è interessato, trovate il volume  in internet a metà prezzo.

f.s.

Pier Vincenzo Mengaldo insegna Storia della lingua italiana all’Università di Padova.
Tra i suoi ultimi scritti: Giudizi di valore (Einaudi, Torino 1999), Prima lezione di stilistica (Laterza, Roma-Bari 2001), Studi su Salvatore Di Giacomo (Liguori, Napoli 2003), Gli incanti della vita. Studi su poeti italiani del Settecento (Esedra, Padova 2003), In terra di Francia (Lisi, Taranto 2004) e Sonavan le quiete stanze. Sullo stile dei «Canti» di Leopardi (Il Mulino, Bologna 2006).

[Pier Vincenzo Mengaldo, Giudizi di valore, Einaudi, 1999, pag. 215, Lire 26 000]

Il significato di letteratura. Breve nota bibliografica

Un’ampia rassegna dei significati di letteratura è stata tracciata da R. ESCARPIT in Aa.Vv., Letteratura e società, Bologna, Il Mulino, 1972, pp.221 sgg. Si vedano anche le osservazioni di R. WELLEK- A.WARREN, Teoria della letteratura, ivi, 1956, pp.17 sgg e di E. GARRONI, Estetica e critica letteraria, in Aa,Vv., Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, vol IV, L’interpretazione, Torino, Einaudi, 1985, pp.418 sgg.

 

f.s.

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COLLEGAMENTI:

La paraletteratura. Breve nota bibliografica

Il ruolo del lettore. Breve nota bibliografica

Segnalo il blog francese “Une autre poésie italienne” dedicato alla poesia contemporanea italiana

[Ricevo e volentieri pubblico. (f.s.)]

Cher(e)s ami(e)s, cari/e amici/che, colleghi, conoscenti, confrères… etc…

Con grande piacere (C’est vraiment un plaisir) vi annuncio l’apertura (de vous annoncer l’ouverture) del nostro BLOG (de notre blog) dedicato alla poesia italiana contemporanea (consacré à la poésie italienne contemporaine). Tout y est encore provisoire (Tutto vi è ancora provvisorio), et fort limité pour l’instant (e, al momento, piuttosto limitato), exprès (apposta), mais nous traduisons lentement (ma noi traduciamo lentamente), tout est discuté collectivement (ogni cosa viene discussa in modo collettivo), et vous verrez vite que nous nous situons à l’écart des fièvres médiatiques (e vi accorgerete presto che la nostra postura è opposta a quella febbrile dei media).

Grazie infinite per la vostra lettura (Grand merci pour votre bonne lecture), e ben vengano le vostre osservazioni critiche (et vos remarques critiques seront évidemment bienvenues).

http://uneautrepoesieitalienne.blogspot.com

Cordialità (et à bientôt),
J.Ch. Vegliante

Nota biobibliografica

Jean-Charles Vegliante romano di nascita, vive e lavora a Parigi (Univ. della Sorbonne Nouvelle) da una ventina d’anni; sposato, un figlio. Scrive sia in italiano (per lo più critica-saggistica) sia in francese (recensioni, teoria della traduzione, poesia). Dirige il Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges (CIRCE), con il quale ha dato vita alla serie alla serie “Gli italiani all’estero”. E’ stato anche editore di inediti italo-francesi (De Chirico, Ungaretti, Amelia Rosselli) e, con L. Rebay, di un’ampia corrispondenza fra G. Ungaretti e J. Paulhan. Si autodefinisce volentieri poeta-traduttore, e collabora in quanto tale a Europe, Po&sie, Le Nouveau Recueil e altre riviste. Ultimi lavori pubblicati: “D’écrire la traduction” (saggi), Paris, PSN, 1996 (229 p.); G. Ungaretti, “La guerre, une poésie”, Nantes, Le Passeur, 1999 (n.p.), (cura e dir.) “La traduction-migration” (“Gli italiani all’estero”, 6), Paris, L’Harmattan, 2000 (249 p.); (trad. e pres.) “La Comédie: Purgatoire”, Paris, Imprimerie Nationale, 1999 (bil. 443 p.); (poesia in proprio) “Rien commun”, Paris, Belin, 2000 (90 p.). Opera tradotta: “Les oublies” (poesia, 1995): Will there be promises… (tr. P.Broome – J.Kiang, pres. M. Bishop – P.Broome), Lampeter, E. Mellen, 2000 (bil. 112 p.).

[fonte della nota biobibliografica: I Miserabili]

 
[In Italia Jean-Charles Vegliante ha pubblicato la raccolta Nel lutto della luce. Poesie 1982-1997 , traduzione di Giovanni Raboni, Einaudi,2004, pag. 185, € 13.00.]

Le poesie di Cesare Pavese: «Lavorare stanca», «La terra e la morte» e «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi»

Da marzo sto leggendo e rileggendo il volume Le poesie di Cesare Pavese, pubblicato da Einaudi.

Pavese esordì con la raccolta di poesie Lavorare stanca (1936, poi 1943), testi composti fra il 1930 e il 1935: ed è quanto di più distante si possa immaginare dall’Ermetismo trionfante in quegli anni. 

Il volume presenta una serie di poesie-racconti di Pavese che, di fronte al primo massiccio processo di industrializzazione della società italiana, avvertì il pericolo di una crescente marginalizzazione del ruolo dell’intellettuale e, soprattutto, una lacerazione in atto fra città e campagna con la conseguenza di una feroce devastazione del mondo contadino.

Tuttavia, nei luoghi della città, della fabbrica, del caffè, la poesia di Pavese s’innesta come coscienza critica della realtà. Il poeta cerca di «giungere alla natura vera delle cose, di vedere le cose con occhi vergini».

Ma «la natura vera delle cose», nella società industrializzata, è la merce, lo scambio, la produzione, l’economia. Non a caso, i personaggi tipici nello scenario metropolitano della poesia di Pavese sono la prostituta, l’ubriaco, il pezzente.

Fin’anche l’amore, sembra affermare Pavese, è merce; e dalla donna angelicata (salvifica) della tradizione letteraria italiana si passa alla prostituta che non salva nessuno.

Ne Lavorare stanca il verso si distende in ampie strutture narrative e i toni sono quelli del linguaggio parlato con immissioni di elementi dialettali e gergali.

Pavese proietta i temi che animeranno la sua narrativa- l’attaccamento alla terra d’origine, il rapporto città-campagna, i miti dell’infanzia, la condizione miserabile degli emarginati e degli emigranti- sullo schermo della cultura americana (Whitman, Lee Masters) con uguali asprezze prosastiche e con lievi note liriche.

Dal 1934 al 1940 la vena poetica di Pavese si secca e nelle composizioni subentrano le figure carcerarie e la solitudine (la finestra, la stanza, la piazza deserta). Lo sguardo del poeta tenta percorsi sghembi, lontano dai luoghi di mercificazione e inautentici della città. Dalla poesia-racconto si passa alla poesia-simbolo. La «natura vera delle cose» non è più la merce ma la morte.

Le altre raccolte, La terra e la morte (1945) e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1950), si muovono su una vena intimistica. Abbandonando la prosodia de Lavorare stanca, il poeta recupera i senari e i settenari della tradizione lirica italiana.

Ne Verrà la morte e avrà i tuoi occhi l’occasione è data dall’infelice amore del poeta per la Dawling.

Tema centrale dell’opera è l’identità Eros-Thanatos (amore-morte) non declinato come esercizio letterario, ma come tragico nucleo esistenziale che sarà poi risolto, ahimè, dal suicidio del poeta.

Quelle ne Verrà la morte e avrà i tuoi occhi sono liriche in cui il poeta si pone di fronte all’estasi e al mistero angoscioso dell’amore e del proprio destino ultimo: la morte.

f.s.

[Cesare Pavese, Le poesie, Einaudi, 2006, pag. 348, € 10,00]

La ragazza che non era lei di Tommaso Pincio

Recensione/schizzo #21

“La realtà non è di questo mondo” riassume bene la trama de La ragazza che non era lei.

In questo romanzo, costruito come un labirinto liquido di storie che sviluppano l’immaginario, le idee, i luoghi, i modelli americani, non c’è distinzione fra piano del reale e piano onirico, tra piano storico (anni sessanta, figli dei fiori ecc) e piano del mito. La struttura narrativa è infarcita di richiami e modelli di rappresentazione della letteratura e del cinema, nel tentativo di ricombinare le regole canoniche della narrazione di fantascienza.

Tuttavia, secondo me, il romanzo non è perfetto. In molti punti ho avvertito uno scollamento della narrazione. Alcune divagazioni mi sono apparse eccessivamente lunghe e goffe. Il linguaggio è medio. Lo stile piatto.

Nonostante ciò, al termine della lettura si ha l’illusione di aver viaggiato all’interno di un’allucinazione. Resta l’ambiente onirico del romanzo, più che le storie incrociate dei vari protagonisti. Resta la nostalgia di un mondo possibile. Resta la solitudine e l’assurdità della vita. Resta il desiderio di un amore libero.

f.s.

[Tommaso Pincio, La ragazza che non era lei, Einaudi, 2005, pag. 304, euro 14,80].

La letteratura come squarcio nel muro della vita.

Spesso mi sorprendo mentre invoco il diritto estetico di infinto e di assoluto in arte.

Permettetemi una precisazione: non sono un filosofo e non ho letto molto a riguardo. Semplicemente, si fa per dire, ritengo che il senso più alto della tradizione letteraria, sia nella varia molteplicità e complessità che nella profondità dei suoi motivi, sia la ricerca di infinito e di assoluto.

Percepisco la letteratura come se fosse la vita con piena cognizione e partecipazione della realtà effettiva delle cose e, insieme, secondo le istanze di un’etica imperativa e categorica nelle forme del pensare e del sentire che essa richiede.

Tuttavia, so che ogni opera letteraria è propria dell’uomo e non può accogliere che ciò che è in lui. Eppure l’infinito e l’assoluto, come possibilità inesplicabile, in letteratura trova la sua più alta manifestazione. E’ l’effetto di turbamento, disvelamento e di allargamento dell’esistenza che alcune opere letterarie mi trasmettono dopo aver attraversato il Tempo. E’ la bellezza dell’opera d’arte.

sabato 12 luglio 2008

f.s.

Lo sbrego di Antonio Moresco

di Francesco Sasso

“Io non ho mai letto niente”. Ecco il paradossale incipit di un libro sulla lettura scritto da Antonio Moresco. “Per me leggere non è leggere”, continua lo scrittore che fatica a ricordare il primo libro letto (Salgari). Inoltre afferma di non riuscire a leggere a lungo a causa di una malformazione agli occhi e che ha iniziato ad “attraversare” le grandi opere letterarie dai trent’anni in su.

Pubblicato nel 2005, il libro è un meticciato di generi: saggio, autobiografia, narrativa, pamphlet.

Lo Sbrego inizia con una telefonata dello scrittore e curatore di collana Dario Voltolini. Quest’ultimo gli commissiona “un libro sulla lettura”. Dopo aver accettato l’impresa, all’apparecchio telefonico dello scrittore mantovano si accalcano voci provenienti dallo spazio e dal tempo.

Infatti, la narrazione è costruita sul ritmo di queste chiamate. Moresco immagina di parlare al telefono con Stendhal, Kafka, Dostoevskij, Goethe, Cervantes, Melville, Hugo, Céline, Cechov, Dickinson, Faulkner, Walt Whitman, Flaubert, Leopardi, Emily Bronte, Virginia Woolf ecc.
Non con tutti parla al telefono. Alcuni scrittori sono semplicemente evocati.

Moresco nel libro inscena un processo di smitizzazione e di distruzione delle gerarchie dei grandi scrittori. Soltanto davanti a Goethe, Dante e Shakespeare, egli mostra un certo timore reverenziale.

Ne Lo Sbrego troviamo anche le idee eversive di letteratura dello scrittore dei Canti del caos e le ben note invettive contro certa cultura editoriale:

“Tutte queste povere larve vestite che dirigono collane editoriali, coi loro omologhi che scrivono libri consentiti e richiesti, obbedienti allo spirito del tempo e ai suoi conformismi e alle sue piccole gratificazioni medianiche ed economiche, morti viventi, feti normalizzati e allevati, con le loro piccole carriere, le loro scalate”

Comunque, il libro è quanto di più lontano si possa immaginare dai rigori della scientificità accademica. Ma anche qui è da dichiarare utile e positivo il trapasso dai criteri estetici del giudizio a favore di una visione “impressionistica” delle opere dei grandi scrittori.

[Antonio Moresco, Lo sbrego, BUR- scuola Holden, 2005, pag.150, €12,00]

Al di là del muro di Maria Viteritti

Recensione/schizzo #20

Vorrei parlarvi di Al di là del muro, romanzo d’esordio di Maria Viteritti.

La purezza dell’invenzione e la verosimiglianza dominano la struttura del romanzo. La trama è congegnata con abilità. La scrittrice gioca le sue carte con maestria, inserendo anche sottili osservazioni sui lati oscuri e impenetrabili della mente umana.

Ambientato in un tempo non molto lontano da noi, Al di là del muro non convoca pseudorealtà né pseudoprofezie, ma percorre la strada di una realtà possibile.

Riporto la nota di copertina:

Tecnologie avanzatissime elaborate dal dottor Leibnitz rendono possibile trasferire la vita da un individuo all’altro; Giorgio, pupillo dell’illustre ricercatore, è quotidianamente all’opera per incontrare i donatori ed organizzare l’appuntamento che spegnerà un’esistenza per risvegliarne un’altra, congelata nell’attesa.
Ma questa routine viene ad un tratto turbata e il cinico “spettatore” della vita e della morte si trasforma in un giovane medico agitato da inquietudini e domande angosciose.
Frammenti di ricordi spezzano la sua freddezza, mentre il pianto notturno proveniente dalla casa accanto lo obbliga ad interrogarsi, lo spinge verso una tentazione d’amore, fino a rivelazioni sconvolgenti.
Una storia scritta magistralmente, capace di coinvolgere il lettore in una vicenda che al sapore dell’oggi mescola terribili ipotesi di domani. […]

La storia è narrata con equilibrio. L’ordine cronologico della vicenda è continuamente sconvolto da brevi intromissioni di flash-back in cui la voce narrante, che passa dalla prima alla terza persona, lentamente ci svela alcuni brandelli della vita del protagonista che tanta parte hanno nella vicenda. Insomma, il romanzo è portato avanti con equilibrio.

Infine, lo stile è piacevole e limpido. La medietà della lingua è tipica di tanta letteratura di consumo. Buon romanzo d’esordio.

f.s.

Bio-bibliografia

Maria Viteritti nata a Faenza, dal 2004 è giornalista pubblicista. Nel 2006 ha pubblicato il libro, tratto dalla sua tesi di laurea, La fabbrica dei sogni. L’immaginario infantile nel cinema di Tim Burton – Effatà, Cantalupa, Torino, 2006, vincitore del premio Carver. Nel 2008 i romanzo d’esordio Al di là del muro – Lupo editore, Salento, 2008

[Maria Viteritti, Al di là del muro, Lupo editore, 2008, pag.176, € 13.00]

La pratica della lettura (e della critica) secondo Alberto Asor Rosa

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Trascrivo una puntualizzazione di A. Asor Rosa su come si rapporti la pratica della lettura (e della critica) alle diverse idee di letteratura:

 
Se la letteratura verrà considerata come prodotto sociale, noi cercheremo in essa il predominio della rappresentatività (fedeltà, tipicità, aderenza, verosimiglianza) rispetto a un determinato contesto sociale. Se la penseremo come prodotto della storia delle idee, in essa ci sembrerà prevalente il meccanismo in base al quale l’organizzazione formale di una data ideologia produrrà (o dovrebbe produrre…) strutture testuali coerenti con la Weltanschauung dell’autore. Il convincimento che l’approccio al testo è regolato sempre da alcuni meccanismi del piacere, ci spingerà a motivare il nostro giudizio più o meno positivo sul testo in base alla formula edonistica cui c’ispiriamo. Se il meccanismo basilare della conoscenza ci sembrerà di natura psicologica , cercheremo di ricondurre l’interpretazione dei personaggi e delle azioni alle leggi generali della psiche umana, cui la letteratura evidentemente non può sottrarsi; analogamente faremo quando la struttura di base del linguaggio verrà fatta affondare nell’inconscio e nelle determinazioni che ad esso sono proprie. Chi, invece, nell’opera privilegerà il riferimento a certi comportamenti dominanti nell’ambiente umano-intellettuale circostante, darà di quell’opera una lettura antropologica. Un’opera, però, può anche essere intesa essenzialmente come sistema stilistico: la dinamica delle forme finirà in questo caso per influenzare tutto il resto, perché niente , né di psicologico né di subconscio, potrà in essa penetrare, senza essere filtrato, purgato e sistemato secondo il principio decisivo della coerenza stilistica. Essa può anche essere intesa come sistema segno-formale: lo stile, allora, non sarebbe altro che una manifestazione particolare di una più generale dimensione sistematica, dentro la quale ogni informazione contenuta nel testo letterario può essere ridotta alla forma di segno. Se poi introduciamo in questa problematica le categorie della retorica, potremmo ricondurre l’analisi del messaggio-segno letterario a una serie di regolamentazioni e di procedure fissate nel tempo con un’accuratezza, di cui l’autore finisce per apparire il semplice mediatore […]. Chi mette alla base della letteratura la storia del gusto, interpreterà la storia della letteratura come un episodio o manifestazione particolare della storia del gusto. I fautori di un’interpretazione culturale della letteratura si preoccuperanno al massimo di finalizzare la lettura del testo letterario alla ricostruzione di un profilo culturale generale del periodo storico corrispondente: a questo modello più o meno direttamente si riallacciano tutti coloro per i quali la storia della letteratura non è che un modo di scrivere ( e per scrivere) una storia della civiltà, assai spesso sotto forma di storia della civiltà  nazionali. Per altri sarà determinante l’aspetto gnoseologico della letteratura, cioè la sua capacità di conoscenza: per quanto si possa rivestire questo atteggiamento di motivazioni formali o retoriche, non c’è dubbio che in questo modo la letteratura viene ridotta a una qualche forma di attività razionale propria dell’uomo. Per altri, al contrario, la letteratura varrà soprattutto come simbolo di un qualcosa che precisamente il discorso razionale non riesce ad esprimere. (1)

(1) A. ASOR ROSA, Letteratura, testo, società, in Aa.Vv., Letteratura italiana, vol I, Torino, Einaudi, 1982, pp. 8 sgg.

f.s.