Promemoria di Jakobson secondo Ejchenbaum

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Promemoria: studiare la letteratura per i suoi valori. A questo proposito, ricordo una nota affermazione di Jakobson:

Oggetto della scienza della letteratura non è la letteratura, ma la letterarietà (literaturnost’). Invece finora gli storici della letteratura hanno soprattutto scimmiottato la polizia che, quando deve arrestare una determinata persona, agguanta per ogni eventualità chiunque e qualsiasi cosa si trovi nell’appartamento e anche chi per caso si trovi a passare nella strada accanto. Così anche per gli storici della letteratura tutto faceva brodo: costume, psicologia, politica, filosofia. Invece della scienza della letteratura si ebbe un conglomerato di discipline rudimentali. Pareva che ci si dimenticasse che queste rientrano, ognuna, nella scienza corrispondete, storia della filosofia, storia della cultura, psicologia ecc., e che queste ultime possono naturalmente utilizzare anche i monumenti letterari come documenti difettosi, di seconda scelta (1).

 
(1) Citato da B. EJCHENBAUM, La teoria del metodo formale, in I formalisti russi, Torino, Einaudi, 1968, p.37

f.s.

Alcune delle maggiori norme letterarie secondo R.T. Segers e Marcello Pagnini

Marcello Pagnini (1), riprendendo e completando alcune indicazioni di R.T. Segers, ci propone “alcune delle maggiori norme letterarie”:

 

  • 1) letteratura come ‘imitazione’ (cft. la teoria marxista del “rispecchiamento” della situazione sociale)
  • 2) letteratura come ‘fantasia’ (opposto alla precedente)
  • 3) letteratura come ‘écart’ (scarto) linguistico (cft. la teoria dello ‘straniamento’ dei formalisti russi)
  • 4) la letteratura come ‘contestazione’ dei sistemi socio-culturali vigenti (cft. poetiche d’avanguardia)
  • 5) la letteratura come complessità (polisemia dell’opera, variamente interpretabile)
  • 6) la letteratura come ‘unità strutturale’.
  • 7) la letteratura come ‘sopravvivenza epocale’ (l’opera è grande se capace di rispondere alle domande postele dalle varie epoche in cui è recepita)

 

L’elenco tratto da Segers è ampliato dal Pagnini con:

 

  • 8) la letteratura come ‘trasparenza del senso’ (cft. le poetiche del Classicismo)
  • 9) la letteratura come ‘imitazione dei classici’ (cft. le poetiche del Rinascimento e del Classicismo)
  • 10) la letteratura come ‘opacità’ (cft. la poetica del Simbolismo)
  • 11) la letteratura come ‘sentimento'(cft. le poetiche del Romanticismo)
  • 12) la letteratura come ‘impegno politico’, ecc. , ecc.

 

Nota bibliografica

(1) MARCELLO PAGNINI, Pragmatica della letteratura, Palermo, Sellerio, 1980, pp.81-82. Cft. R.T. SEGERS, The Evaluation of literary texts, Leiden, The Peter de Ridder Press, 1978.

                   

[Curiosità: nel 2002 scovai in un ipermercato, a metà prezzo, il volume di Marcello Pagnini, 1988, seconda edizione] 

f.s.

La metrica italiana

Per il Pazzaglia, «il metro, convenzione e istituzione storico-letteraria, è la figura ritmica specifica della poesia. […] che commisura in quantità sentite come omogenee le durate e i tempi intermedi d’una sequenza verbale conclusa, insieme coi caratteri soprasegmentati di tono, elevazione, accento, disponendoli in figure iterative o protese all’iterazione». (1)

Inoltre, il Pazzaglia afferma che il «modello versale impone un indugio, un’intensione ritmico-tonale su alcuni punti privilegiati […]. Dentro la sua [= del verso] costruzione (e costrizione) gli accenti tonici diventano, o non diventano ictus, le sillabe allungano o abbreviano la loro durata, la rima cessa di essere mero omoioteleuto, la sequenza verbale assume un rilievo eufonico con impeti e pausazioni, slanci e riposi: si compone in un progetto mensurale unitario» (2)

Una definizione più tradizionale è quella di Elwert: «Il verso italiano è caratterizzato e dal numero delle sillabe e dal ritmo. La sillaba, come nelle altre letterature romanze, costituisce l’unità metrica». (3)

Anche il Di Girolamo è propenso a distinguere modello metrico e modello ritmico: «con il primo, si intende il numero di posizioni [= sillabe metriche], invariante, di ogni verso; il modello ritmico regola invece la distribuzione degli ictus all’interno della struttura metrica» (4). L’autore precisa che solo per astrazione si possono distinguere i due modelli.

Infatti, per Bausi-Martelli considerano il metro «l’aspetto codificato e istituzionalizzato di quel fenomeno ben più complesso che è il ritmo». Il verso è un «segmento di discorso strutturato in base a un ritmo». Per cui, «il verso può anche fare a meno del metro, ma non del ritmo; il ritmo precede il metro e ne costituisce il fondamento». (5)

 Note bibliografiche

(1) M. PAZZAGLIA, Teoria e analisi metrica, Bologna, Patron, 1974, p.17
(2) Ivi, pp.19 sgg.
(3) W. TH. ELWERT, Versificazione italiana dalle origini ai nostri giorni, Firenze, Le Monnier, 1973, p. I.
(4)  C. DI GIROLAMO, Teoria e prassi della versificazione, Bologna, Il Mulino, 1976, p.23, nota 20.
(5) F. BAUSI- M. MARTINELLI, La metrica italiana. Teoria e storia, Firenze, Le Lettere, 1993, pp. 9-10

[Insieme agli studi citati nelle note, ricordiamo il contributo di S. ORLANDO, Manuale di metrica italiana, Milano, Bompiani, 1993]

f.s.

Aesthetica in nuce di Benedetto Croce

Vorrei parlarvi di Aesthetica in nuce (1929) di Benedetto Croce.  In esso, riprendendo le tesi sul carattere lirico dell’intuizione e sul carattere di totalità dell’espressione artistica, Croce chiarì che la poesia, se non determina verità etiche, pure si nutre essenzialmente di moralità, perché riflette la personalità umana nella sua interezza. Anzi, quanto più grande è la personalità dell’autore, tanto più convincenti saranno i risultati poetici cui egli perviene. Entro questi termini, secondo Croce, va inteso il rapporto di condizionamento reciproco che intercorre fra poesia e storia.

Montale ha cercato in qualche modo di giustificare, in un saggio assai penetrante, questi motivi basilari:

«Che cosa Croce chiedeva al poeta? Direi che chiedesse in lui il carattere; e il carattere poteva manifestarsi come fedeltà ai propri motivi, dono, capacità di non lasciarsi corrompere da ragioni estranee alla letteratura. […] Si direbbe che il Croce abbia amato quei poeti che avrebbe amato come uomini, se li avesse conosciuti; siano essi l’olimpico Goethe o il cattolico e sedicente reazionario Balzac, o il miracoloso Nievo o il robusto e sanguigno Carducci, ultimo alfiere di una poesia che voleva rifare l’uomo.»  (1)

(1) «La lezione di Croce», in Il Mondo, 11 dicembre 1962

f.s.

[edizione letta: Benedetto Croce, Aesthetica in nuce, è in FILOSOFIA- POESIA- STORIA. Pagine tratte da tutte le opere a cura dell’autore stesso, Biblioteca Treccani, 2006, pp.195-223]

LE METAMORFOSI E I MITI. Indagine su Pietro Civitareale. Saggio di Giuseppe Panella

di Giuseppe Panella 

 

1. Il perimetro del soggetto possibile

 

«Virbio. […] La colpa è mia, credo. Ma ho bisogno di stringere a me un sangue caldo e fraterno. Ho bisogno di avere una voce e un destino. O selvaggia, concedimi questo.

 Diana.  Pensaci bene, Virbio-Ippolito. Tu sei stato felice.

 Virbio.  Non importa, signora. Troppe volte mi sono specchiato nel lago. Chiedo di vivere, non di essere felice»

(Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò)

 

 

Anche il poeta – qualsiasi poeta, forse – chiede alla sua poesia di riuscire a vivere e a durare, anche a costo di rinunciare alla felicità. La sua richiesta riguarda la capacità di capire attraverso la scrittura poetica quale sia il suo posto nel mondo e quale perimetro esso ritagli nell’economia dell’essere e del trovarsi in esso. Nella maggior parte dei casi, quel perimetro coincide con la crescita della propria soggettività in esso e attraverso esso, alla ricerca del salto di qualità che gli permetta di bruciarlo. 

Pietro Civitareale è uomo schivo ma non umbratile. Seguita da tempo il proprio lavoro di poeta senza concedersi tregua ma anche senza eccedere in un inutile presenzialismo o in quello squallido sgomitamento senza risparmio che spesso contraddistingue anche molti poeti laureati.

Più noto ormai come poeta in dialetto abruzzese (e come studioso e catalogatore degli exploits lirici in questa lingua esatta ma resa marginale dalla grande omologazione in atto ad opera dell’italiano televisivo), Civitareale è anche robusto e definitivo poeta in lingua.

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Umana gloria di Mario Benedetti. Saggio di Raffaella Scarpa

[Avrei voluto parlarvi brevemente di Umana gloria di Mario Benedetti, raccolta poetica pubblicata nel 2004 dalla Mondadori. Tuttavia, dopo aver letto l’onesto saggio di Raffaella Scarpa, pubblicato nell’antologia di poesia italiana Parola plurale, ho deciso di tralasciare l’analisi “panoramica” della raccolta del poeta friulano e di applicarmi ad un esame approfondito della parola poetica (stilistica) di Mario Benedetti. Nell’attesa del mio intervento su Umana gloria, non ci si stupirà, dunque, se trascrivo il breve saggio di Raffaella Scarpa. f.s.]

 

Umana gloria -Mario Benedetti

 di Raffaella Scarpa*

 

Per più di vent’anni di scrittura Mario Benedetti resta devoto a una pertinace fede ottica. Da Moriremo guardati del 1982 – non a caso il titolo – a quest’ultima Umana gloria, raccolta in cui rielabora e riassume l’intero lavoro poetico precedente, la vista immutabilmente è il senso eletto a comprovare la realtà o, meglio, “il lungo dubbio circa l’evidenza naturale del mondo” (così in un suo articolo su “Scarto minimo”, rivista che indicò posizioni e orientamenti della poesia italiana nei secondi anni Ottanta, da lui fondata con Stefano Dal Bianco e Fernando Marchiori).

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L’arte del romanzo di Milan Kundera

Recensione/schizzo #23

Il racconto nasce dal radicale bisogno di affabulazione insito nell’inconscio dell’uomo. Come pure il bisogno di meraviglioso, di realtà e del sogno, dell’utopia e dell’ideale. Il libro di Kundera, L’arte del romanzo, racconta il difficile rapporto che lega lo scrittore alla propria opera letteraria e alla tradizione culturale europea.

Sette saggi per analizzare il concetto di romanzo, attraverso le opere dei grandi romanzieri quali Cervantes, Rabelais, Kafka, Tolstoj ,Diderot, Broch, Musil, Gombrowicz, Sterne, Flaubert.

Inoltre, Kundera esamina il rapporto tra la scrittura di Kafka, Proust e Joyce e il loro modo di percepire la realtà.

Interessantissimo il primo saggio: La denigrata eredità di Cervantes in cui il cammino del romanzo occidentale moderno è raccontato come una successione di crisi che parte da Don Chisciotte per arrivare a Kafka.

È incredibile come il libro dello scrittore boemo conservi la sua forza propulsiva dopo più di vent’anni dalla pubblicazione.

f.s.

[Milan Kundera, L’arte del romanzo, Adelphi, 2001, pag.228, €10,33]

Letteratura-società (Maria Corti)

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Maria Corti ha dedicato una costante attenzione all’analisi delle codificazioni dei generi letterari:

 «La stessa questione dei rapporti letteratura-società- osserva la Corti- otterrà esiti più proficui se l’obiettivo dei critici sociologici sarà puntato non solo sui testi singoli, magari di grandi scrittori, ma sull’articolarsi dei generi letterari, più legati per la loro stessa realtà e per la frequentazione che ne fanno gli autori minori, al contesto socioculturale e alle sue stratificazioni» (1).

Si può capire come la letteratura sia «un campo di tensioni […] fra ciò che aspira a persistere intatto per la forza d’inerzia e ciò che avanza con impeto di rottura e di trasformazione» (2).

(1) M. CORTI, Principi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani, 1974, p.154
(2) Ivi, p.19

f.s.