“Acasadidio” di Giorgio Morale. Recensione di Francesco Sasso

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di Francesco Sasso

 

Vale la pena, innanzi tutto, di fermarsi su Giorgio Morale, scrittore siciliano, ma che da anni lavora e vive a Milano, schivo, profondamente classico per sensibilità e per intelletto, che sa tenere in prodigioso equilibrio gusto e partecipazione civile, senso del concreto e rigore poetico. Ha esordito tardi nella narrativa, nel 2005 con Paulu Piulu (Manni), romanzo in cui, tra i ricordi idealizzati di giorni felici, egli evoca un irraggiungibile mondo di pura bellezza, invoca l’unica speranza: l’infanzia dell’uomo. Di tutt’altra specie è il nuovo romanzo Acasadidio (Manni), da pochi giorni in libreria.

 

Acasadidio è una sorta di romanzo intimo e di denuncia. Ambientato nella Milano di questi anni, racconta due storie intrecciate fra loro: la vita occultata di un importante Centro di volontariato che fa soldi con il dolore degli immigrati, trovando loro lavori impossibili, e dirottando in altri lidi i finanziamenti pubblici; e la vita privata di una donna trentaquattrenne che scopre d’essere incinta e decide di portare avanti la gravidanza nonostante l’amante l’abbia abbandonata.

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Il ritmo determina la struttura poetica del discorso poetico

Il verso si contrappone alla prosa grazie al ritmo che determina la struttura del discorso poetico, “deformandolo”:

 

«Tale deformazione pervade il discorso in tutti i suoi aspetti; il fatto che dobbiamo soffermate l’attenzione su ogni parola, per “ascoltarla”, acuisce la percezione di ogni singola parola. Le parole nel verso sembrano sporgere, venire in primo piano, mentre in prosa scivoliamo su di esse, soffermandoci solo sulle parole centrali della frase. Il fatto che il discorso non sia continuo, ma disposto in serie, più o meno isolate, crea particolari associazioni fra le parole della stessa serie, o fra parole di serie parallele disposte in modo simmetrico. Il significato e la concatenazione dei significati sono governati da corrispondenze ritmiche; questo non avviene in prosa, dove invece tali corrispondenze sono costruite secondo la linea espressiva del discorso determinata dalle parole» (1)

 

B. TOMASEVSKIJ, Teoria della letteratura, Milano, Feltrinelli, 1975, p.113

f.s.

“Il ruolo dei gatti” di Felice Muolo

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Recensione/schizzo

Una storia avvincente quello del nuovo libro di Felice Muolo dal titolo Il ruolo dei gatti. Franco Narracci, disincantato direttore d’albergo, una mattina scopre il cadavere del vicino di casa, nonché collega di lavoro. Pare un suicidio. Il protagonista è invitato dal commissario di polizia a prendersi cura dei dieci felini della vittima. Nel mentre, la vita del protagonista prosegue come se non fosse accaduto niente, tra una moglie fedifraga e colleghi sessuomani, tra un datore di lavoro avido e un fratello egoista; fino a che un secondo uomo, anch’egli collega di Narracci, viene rinvenuto morto in un appartamento con altri dieci gatti. Inizia così il tentativo da parte del protagonista di scoprire la verità su quelle morti e, contemporaneamente, di dare una svolta alla sua vita, abbandonando il lavoro e la sua intrinseca logica di “sopraffare o essere sopraffatto”.  

In questo romanzo la struttura del genere è presa a pretesto per cercare di vedere della società italiana, il diritto e il rovescio. L’intendo di satira sociale è presente, poiché l’autore non si limita a descrivere i vizi. A Muolo non manca, inoltre, una robustezza di coscienza che gli consenta di distaccarsi dalla storia trattata e di reagire ad essa con ironia e arguzia.

Le descrizioni dei luoghi, dei personaggi e le atmosfere palpabili sono i pregi di questo libro. Lo stile è piano, semplice ed uniforme e ciò non è un segno di minore importanza. Unico neo, a mio vedere, è la conclusione della storia: essa si conclude con una improvvisa accelerata. Consiglio la lettura di questo romanzo.

f.s.

[Felice Muolo, Il ruolo dei gatti, Azimut, 2008, pp.110, € 10]

Tutti gli ebook di [in]edito mozzi

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[IN]EDITO MOZZI

 Serie di racconti di Giulio Mozzi

 

newUltimo ebook della serie [in]edito mozzi: Emilio delle tigri di Giulio Mozzi

 

 [QUI] puoi scaricare e leggere tutti racconti di Giulio Mozzi in fomato pdf.

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 Racconti pubblicati

1.       GIULIO MOZZI, Dalla parte (racconto pubblicato in Tutti giù all’inferno)

2.       GIULIO MOZZI, Contenitore a tempo arrestato, (racconto pubblicato su “Corriere del Veneto”, dorso regionale del “Corriere della sera”.)

3.       GIULIO MOZZI, Dispersione (racconto inedito del 1996)

4.       GIULIO MOZZI, Io e Michele (racconto pubblicato in L’Africa secondo noi)

5.       GIULIO MOZZI, Advertattoo, ovvero le incertezze del mestiere (racconto inedito del 1999)

6.       GIULIO MOZZI, Emilio delle tigri (andato in scena l’11 giugno 2007, a Padova, nell’ambito della manifestazione “Teatri alle Mura”)

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Dalla Nota di lettura di Marino Magliani in GIULIO MOZZI, Dalla Parte, fasc. I.

I racconti di Giulio Mozzi, come gli diceva il fratello – sostiene Giulio Mozzi – sono racconti che fanno cadere l’anima. Non sono molto d’accordo, credo che un’anima non riesca a cadere più di tanto perché l’anima che sento di avere io è già posata in un posto che sta al fondo, un deposito dove si fermano le cose, e dove rimangono anche i racconti. Anche quelli di Mozzi.

Qualche giorno fa Francesco Sasso ed io abbiamo fatto una breve chiacchierata sui racconti di Mozzi. Tutto è nato dalla pubblicazione in rete di un estratto di «tentativo di romanzo» di Mozzi, passatemi il termine tentativo.
Se non lo conoscessi personalmente, potrei immaginare Mozzi come uno che ha gettato dai finestrini dei treni più tentativi di romanzi di quanti una generazione di scrittori veneti non abbia annegato nei canali di quella regione. Anche conoscendolo personalmente l’immagine è confermata.

Alla fine, con Francesco, è maturato il progetto di offrire ai lettori un Mozzi che non fosse il solito raccoglitore dei frammenti di vetro che tutti conosciamo o il narratore di un altro tentativo di romanzo annegato, ma un Mozzi sconosciuto ai più, grottesco. Un Mozzi che quando lo lessi  […] mi divertì come a leggere certe pagine di Palazzeschi, e non dico che assomiglia a Palazzeschi. Dico che ho riso. […]

(Marino Magliani)

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Dalla Postfazione di Giuseppe Panella in GIULIO MOZZI, Dispersione, fasc. III

E perché Giulio Mozzi non avrebbe dovuto provarci a scrivere un “vero” racconto di narrativa d’anticipazione (preferisco questo termine più articolato – e più classico – a quello ormai troppo banalizzato e ormai logoro di fantascienza)? Lo ha fatto realizzando questa Dispersione che è, nonostante il finale a sorpresa (ma è poi un finale?), un racconto di genere con tutti i crismi con tutte le sfaccettature del caso (c’è perfino la storia d’amore!). […]

(Giuseppe Panella)

f.s.

“La frontiera scomparsa” di Luis Sepúlveda

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Recensione/schizzo

E’ un libro dolcemente ironico. Loùis Sepulveda racconta alcuni frammenti della vita del protagonista/alter ego, dal Cile all’esilio. Il libro inizia col ricordo del nonno anarchico che costringeva il nipote, protagonista del libro, a bere bibite e a mangiare molti ghiaccioli, così appena il bisogno di urinare arrivava, il nonno lo incitava a “farla” sui portoni di qualche chiesa. Quest’uomo è il punto di partenza e di arrivo nella vita del protagonista, il quale intraprende un lungo viaggio: dall’esperienza della prigionia e della tortura in Cile – racconti che sfiorano la dolorosa tonalità  del grottesco –  al lavoro in un campo a Cuba, dal tentativo di passare il confine tra Quiaca (Argentina) e Villazòn (Bolivia) all’arrivo a Puerto Bolìvar vicino Machala, a sud di Guayaquil, dove fa il professore in una università; fino al penultimo episodio dove il protagonista è “assoldato” dalla proprietaria de La Conquistad per scrivere un memoriale. Libro leggero e affilato.

f.s.

[Luis Sepúlveda, La frontiera scomparsa, Guanda, 1996, pp.128, € 11,00]

“Critica e verità” di Roland Barthes

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[Ho riletto con piacere Critica e verità. Nonostante il tempo passato, ho trovato ancora apprezzabile l’idea che l’opera d’arte richieda una lettura in profondità che secondo Roland Barthes rimanda alle istanze della critica simbolica il cui principio è quello della pluralità, della verticalità dei sensi: della polisemia. Per una prima informazione sul “strutturalismo francese” dei vari Foucault, Lévi-Strauss, Lacan, Althusses, Genette, Greimas, Barthes, Derrida, Piaget si veda l’antologia curata da S. MORAVIA, Lo strutturalismo francese, Firenze, Sansoni, 1975. Di seguito, trascrivo la postfazione di Guido Neri a Critica e verità, edizione 1969. f.s.]

 

 

Di Guido Neri

 

 

Questo scritto è nato come replica al pamphlet Nouvelle critique ou nouvelle imposture (1965), in cui Raymond Picard, specialista di studi raciniani tra i più accreditati in Francia, aveva attaccato le analisi interpretative raccolte da Barthes nel volume Sur Racine. Barthes, estendendo il discorso a una denuncia polemica delle metodologie e del linguaggio messi in uso da quella che si è convenuto di definire la «nuova critica»: definizione evidentemente empirica e provvisoria, tanto è vero che gli esempi chiamati in causa da Picard (Charles Mauron, Jean-Pierre Richard, Jean-Paul Weber, oltre a Barthes) rispecchiano orientamenti diversi e, per molti aspetti, contrastanti, nel quadro di un movimento di idee ben più ampio e articolato.

Barthes non manca di rilevarlo, e allargando l’orizzonte del dibattito, riesce a sollevarlo fino a un’autonoma riformulazione teorica dei rapporti con il testo letterario (Scienza, Critica, Lettura), che costituisce l’esito costruttivo dell’intero episodio.

A prima vista, niente sembrerebbe più deprimente – dal punto di vista conoscitivo – di uno scontro polemico. L’occasione polemica è una tentazione, un tranello. Specie se lo sfidante ha la debolezza di trattenere la disputa nei termini rassicuranti e insidiosi di vecchio e nuovo. Si tratta invece, semplicemente, di una prova, e questo libro ne è una luminosa dimostrazione: prova non estranea, in sostanza, al rapporto – illiberale, imprevedibile, compromettente – che il pensiero critico vuole avere sempre coi suoi oggetti. I due tempi di questo scritto – controffensiva polemica e iniziativa teorica – obbediscono a un’unica moralità, che è quella dell’interpretazione. Prima ancora di affermare (e insieme precisare) i «diritti elementari della interpretazione» di fronte all’opera, Barthes si sente tenuto a rispettarne le obbligazioni, fornendo una diagnosi del discorso dell’interlocutore, traducendone gli alibi e i contesti ideologici

 

[Roland Barthes, Critica e verità, Einaudi editore, 1969, pp.70]

“Soffio interrotto” di Fabio D’Aprile. Recensione di Giuseppe Panella

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 di Giuseppe Panella

 

 

L’opera prima del giovanissimo Fabio D’Aprile (è nato a Conversano nel 1983) è un testo di poesia in prosa che aspira alla natura compiuta di poemetto. In esso, come in ogni opera che vuole presentarsi con un giro di boa compiuto, le parole si inseguono con rapidità e con sospetto. Parole sanguinose, sintagmi dolorosi che consumano l’arco di una notte e che mettono in conflitto feroce un’Anima con tutta la serie dei suoi possibili interlocutori: la Sibilla, il Nome, la Madre – altrettante figurazioni esterne che servono a costituire il panorama interiore della voce narrante, a dargli cioè la possibilità di palesarsi come soggettività che si rimette in gioco e si espone al gioco dei rimpianti e delle recriminazioni. Tutta giocata all’interno di una “notte oscura”, eterna come lo è sempre l’approssimarsi della dimensione del mistico alla sua verifica spirituale, il personaggio che così si confessa, che parla e affabula forsennatamente di sé e del suo orizzonte di destino si proietta alla ricerca di una soluzione alla sua impossibilità di esistere. La sua ultima chance, allora, si giocherà a livello di parola e di sogno, di grido rabbioso e di riflessione accorata sul destino comune:

 

«Comprendo la tua impazienza, è inutile continuare ad annoiarti con riflessioni preliminari – non le conosciamo più, siamo solo pronti a tuffarci nella perfetta dizione di verità assolute. Ti interessa il vivo della storia, vedere quali sagome si illumineranno sulla scena, cosa faranno, chi piangerà e chi da ultimo ne uscirà vincitore. E non negare che già ti sale un leggero prurito per gli aspetti più reconditi della mia psiche: cercare di capire se è un complesso di Edipo piuttosto che un trauma, magari la mancata elaborazione di un lutto, a muovere la mia confessione. E’ quasi naturale che, tra i tanti motivi per cui si decide di sfogliare un libro, ci sia la curiosità di indovinare la strada della mano che ha impugnato la penna. Molte volte anch’io sono stato preso da quell’impietoso delirio di onniscienza che ti porta a presumere di aver indovinato tutto. Perché dovrei aspettarmi sorte migliore?» (p. 10).

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“Mediterraneo e Identità plurale” di Antonino Contiliano

       [Pubblichiamo il quinto capitolo di un libro in fieri, che reca come sottotitolo ‘Il soggetto ornitorinco’ che sarebbe un soggetto semiotico molteplice e complesso sul modello dell’ibrido zoologico che è un mammifero oviparo, uccello e insieme pesce. Tutto ciò per delineare l’ipotesi di una processualità creativa, collettiva e connettiva di inter-extra-testualità in campo letterario analoga al campo del sapere scientifico-matematico, in cui i singoli agenti operano come se fossero un soggetto multiplo e non individuale. Questo richiama la ‘metafora narrante’ del paesaggio mediterraneo che è, infatti, una stratificata configurazione auto-etero-organizzantesi. Una pluralità identitaria chiusa e aperta di trasformazioni storicamente dinamiche e mai immutabili.]        

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di Antonino Contiliano

 

In questa sperimentazione del soggetto collettivo, protagonista e agente organizzatore del fare poesia con più testi interi o frammenti di poeti diversi (una la mano o di più singolarità poetiche), l’identità plurale o collettiva è la sua immagine “gleichnisworte” (parola che incarna la somiglianza con la cosa, parola figurata). Non è fuori luogo paragonare il farsi della sua identità a un paesaggio. Quasi come una “metafora narrativa” che racconta il configurarsi della nuova identità mentre viene percepita e ‘raccolta’ quale unità-molteplicità alla stregua dell’identità del paesaggio mediterraneo (il paesaggio mediterraneo descritto da F. Braudel).

È come assumere un punto di vista diverso dal tradizionale soggetto individuale, e quale autore di poesia in situazione non familiare, ma sempre dentro un sistema. Il sistema paesaggio e la storia in movimento della sua identità che si modifica col tempo e l’intreccio degli elementi che vi si innestano e biforcano.

L’identità del soggetto collettivo (autore di un testo collettivo di poesia) che si costruisce come quella di un paesaggio è una ‘metafora’ – strumento linguistico conoscitivo -, e una categoria, non estranea all’armamentario del general intellect quale formazione sociale e storica di procedimenti messi in atto in funzione della conoscenza e dell’azione. Il suo impiego è comune sia al campo delle scienze naturali che umane. Dalla giovinezza come primavera (di memoria aristotelica) all’energia negativa (antimateria) come mare di elettroni (Paul Dirac), la storia ha una sua linea di innegabile continuità nell’utilizzo della metafora come immagine e medium conoscitivo.

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“Lettere a nessuno” di Antonio Moresco. Recensione di Francesco Sasso

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di Francesco Sasso

Da qualche mese, in versione ampliata, è disponibile il libro Lettere a nessuno di Antonio Moresco, Einaudi Stile Libero. Il volume è diviso in due parti: la prima parte, scritta fra il 1981 e il 1991, fu pubblicata nel 1997 dall’editore Bollati Boringhieri; la seconda parte, invece, tratta gli anni 2006-2007.

 

Dico subito che ho trovato interessante la prima parte del libro, per intenderci quella già pubblicata nel 1997, mentre la seconda parte è deludente, poiché non aggiunge nulla di nuovo alla prima parte, anzi, a mio parere il testo perde mordente e si riduce ad un semplice: io “non sono cambiato”.

 

Nella prima parte, il problema del rapporto fra lo scrittore e la macchina mediatico-culturale e il conflitto dei rispettivi valori etico-culturali sono il tema dominante. Lettere a nessuno è stata scritta mentre l’autore era ancora inedito – “sotto terra” – e cercava disperatamente di esser pubblicato/riconosciuto da una casa editrice.

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