STORIA CONTEMPORANEA n.4: Tutta colpa degli sms. “Uomini e amori, gioie e dolori” di Damiano Mazzotti

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P.)

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di Giuseppe Panella

4. Tutta colpa degli sms. Damiano Mazzotti, Uomini e amori, gioie e dolori, Empoli (FI), Ibiskos Editrice Ricolo, 2008

Ovvero (come recita il sottotitolo di questo libro): Teleracconti, Teleseduzioni e Teleriflessioni : le nuove vite dell’Amore e della Libertà (tutto con la lettera maiuscola).

Mazzotti, laureato in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’università di Padova, tenta il tutto per tutto e mescola il serio e il faceto scrivendo un romanzo epistolare adeguato al tempo storico in cui vive. Di conseguenza, per riuscirvi, usa esclusivamente una serie (fittissima e articolata) di sms trasformandoli nel reticolo narrativo di cui simula l’intreccio nella continuità e nello sviluppo della storia. Si tratta, di conseguenza, di raccontare delle storie (tentativi di seduzione falliti nella maggior parte) utilizzando una serie di messaggini telefonici che variano dalle proposte un po’ spinte (ma mai troppo) ai proclami cosmici (spesso appoggiati e suffragati da frasi celebri) fino alle dichiarazioni d’amore più classiche (e legate al linguaggio di stampo stilnovistico della tradizione amorosa italiana) di cui l’autore non si capisce mai se si fa beffe o se ci crede.

Qualche esempio per tutte le categorie esposte precedentemente?

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STORIA CONTEMPORANEA n.3: L’INCERTEZZA DELLE ATTESE, LA SICUREZZA DELLA SCRITTURA. “Mater certa” di Giuseppe Favati.

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P.)

di Giuseppe Panella

 

 3. L’incertezza delle attese, le sicurezze della scrittura. Giuseppe Favati, Mater certa, Firenze, Il Ponte Editore, 2007

 

«Ecco ora il racconto dell’avventura che aveva determinata la situazione rispettiva nella quale sono venuti a trovarsi i personaggi di questa scena…»

(Honoré de Balzac, La duchessa di Langeais)

 

1. Figli e ideologie 

 

Giuseppe Favati non demorde ancora. Dopo un primo romanzo tutto sommato classificabile come tradizionale ma con vistose e vigorose innovazioni linguistico-metanarrative (Villandorme e Cartacanta, Firenze, Il Ponte Editore, 2002) e un attraversamento trasversale e “filosofico” degno del Diderot dei Gioielli indiscreti di quel che resta della sessualità post-moderna (Per esempio, con la coda dell’occhio, San Cesario di Lecce, Manni, 2005), ecco qui un terzo romanzo (Mater certa, Firenze, Il Ponte, 2007) ancora più deciso individuato da una scrittura che pigia sempre di più sul pedale della frantumazione e della moltiplicazione delle voci e delle possibilità ancora rimaste alla scrittura romanzesca. Un romanzo bachtiniano e polifonico, forse – ma forse ancora qualcosa di diverso (sicuramente nei confronti dei romanzi precedenti). Sarà opportuno esaminarlo con cura. Ancora una volta – ed è importante dirlo – il libro si apre con degli esergo significativi (come già il precedente Per esempio, con la coda dell’occhio). Sarà interessante verificarli uno alla volta per comprenderne l’importanza. Il primo viene direttamente dalle Lettere dal carcere di Gramsci e recita: “Il tempo […] è un semplice pseudonimo della vita stessa” (lettera alla cognata Tatiana Schucht del 2 marzo 1933). Il pezzettino di testo compreso tra le parentesi quadre recitava peraltro che il tempo è “la cosa più importante”. Gramsci voleva rilevare come il tempo umano e quindi la Storia sia l’unica misura per giudicare e rivendicare la verità e la validità delle proprie azioni.

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STORIA CONTEMPORANEA n.2: Dio e i volontari. “Acasadidio” di Giorgio Morale.

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P.)

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di Giuseppe Panella

2. Dio e i volontari. Giorgio Morale, Acasadidio, San Cesario di Lecce, Piero Manni, 2009

Non è un romanzo tenero e sentimentale, questo di Giorgio Morale, bensì duro come un martello e incalzante come il respiro affannato di chi teme di perdere il treno. E’ lucido e spesso cattivo (ma con incursioni continue in un mondo parallelo di sofferta solidarietà e pura passione) come deve esserlo un libro che fin da subito si pone sotto l’egida di un romanzo feroce come Le anime morte di Nikolaj Vasil’evič Gogol’. Il suo esergo, infatti, recita distintamente:

 

«Innumerevoli come i granelli di sabbia del mare sono le passioni umane e tutte dissimili tra loro e tutte, basse o elevate che siano, da principio ubbidiscono all’uomo e poi ne diventano le terribili dominatrici. Beato colui che si sceglie la passione più bella fra tutte»

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STORIA CONTEMPORANEA n.1: Scuola e desiderio. “Un paradiso triste” di Francesco Paolo Tanzj

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P.)

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di Giuseppe Panella

 

1. Scuola e desiderio. Un paradiso triste di Francesco Paolo Tanzj, Pescara, Edizioni Tracce, 2007

Francesco Paolo Tanzj detesta i libri di argomento scolastico (lo ha dichiarato lui stesso!); mal sopporta le ironie sui professori così come pullulano nei libri che ricompattano questo ormai consolidato genere letterario (e che vanno dai romanzi del pur bravo Domenico Starnone a quelli del mediocre e ripetitivo Marco Lodoli); teme che la saturazione al riguardo porti all’enfatizzazione e alla ghettizzazione di questioni altrimenti tragicamente serie riducendole in un’ottica di lettura che con la scuola non ha più nulla a che vedere (come dimostra il passaggio dal romanzo La collega tatuata di Margherita Oggero alla serie televisiva “Provaci ancora, prof!”, fiction dal taglio melenso e qualunquista in un ambito per famiglie di buona volontà  che salta tutti i problemi a piè pari per distendersi in una dimensione conciliatoria valida per tutte le stagioni e per tutte le situazioni possibili). I libri (e i film) sulla scuola rendono di solito alla scuola un pessimo servizio.

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‘ELMOTELL BLUES: “Le corporeità plurali di Antonino Contiliano”. Prefazione di Mario Lunetta

[Ho letto/ascoltato/guardato con piacere un libricino pubblicato nel 2007  dal titolo  ‘ELMOTELL BLUES. E’ un poema eroicomico composto da Antonino Contiliano, “montando” versi suoi, di Emilio Piccolo, Francesco Muzzioli e Valerio Cuccaroni, con cinque illustrazioni di Giacomo Cuttone e un cd audio allegato (voce dell’attore Guglielmo Lentini, musica di Gino De Vita).

L’opera ha un’indubbia efficacia comunicativa. Ben equilibrato il mixaggio fra musica, voce recitante, pittura e testo poetico che riproduce la forma della ballata con un andamento ripetitivo e ritmi ricorrenti tipici del blues.

 Il testo si può scaricare [QUI], la versione sonora si può trovare [QUI].  Purtroppo il materiale che vi offro è parziale, poiché mancano le  belle illustrazioni di Giacomo Cuttone. Di seguito la prefazione al volume di Mario Lunetta (f.s.) ]      

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 di Mario Lunetta

Il blues può anche definirsi un genere musicale “asimmetrico”, perché basato su una forte imprevedibilità di situazioni ritmico-sonore e su una fisiologia del sound quanto mai eteroclita, contaminata, pulsionale e meticcia. Vi confluiscono caratteri musicali e psicologici dello spiritual, del work song, dei minstrel songs e delle ballate di origine europea diffuse negli States nel XIX secolo. Insomma, un genere a suo modo “bastardo”, in cui perfino il singolo sigillo del diritto d’autore sfuma in colore collettivo.

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LA TANA DEGLI ALBERIBELLI di Marino Magliani. Recensione di Francesco Sasso

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di Francesco Sasso

Questo La Tana degli Alberibelli (Longanesi, Milano 2009), che esce proprio oggi in libreria, è il sesto romanzo di Marino Magliani.

 

Vi si narra delle indagini di un giovane olandese, Jan Martin, inviato da un’agenzia europea antifrode in Italia. Siamo in Liguria, nelle terre di Ponente. A Bruxelles si sospetta che i fondi europei per costruire un porto turistico, il più grande del Mediterraneo, siano stati dirottati altrove.

 

La storia s’apre con la misteriosa morte di un’agente, collaboratore di Jan Martin. A Bruxelles chiedono del tempo per valutare e decidere se proseguire con l’indagine oppure mollare la presa. Nel mentre, invitano Martin a proseguire con il suo lavoro di copertura. Ufficialmente egli è in Italia per conto di una emittente televisiva olandese, alla ricerca di un oggetto abbandonato in una grotta carsica da due disertori della battaglia di Marengo.

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“La libellula” di Amelia Rosselli

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La libellula (1958) di Amelia Rosselli; sottotitolo: Panegirico della Libertà. Il titolo del poemetto «vorrebbe evocare il movimento quasi rotatorio delle ali della libellula, e questo in riferimento al tono piuttosto volatile del poema». «La libellula può anche ricordare le parole “libello”, “libertà”; infatti il poema ha come tema centrale la libertà, e il nostro, e mio “libertarla”».

 

Ho letto il poemetto della Rosselli e l’ho trovato eccezionale. Lingua biologica, musicale, incantatoria, dotata di una irrelata energia riproduttiva. Durante la lettura, l’anima è sospinta verso la riscoperta dell’oggetto poetico nella totalità del suo essere. I versi acquistano una realtà autonoma dotata di un’intima coerenza, dove le parole si arricchiscono reciprocamente e dove le parti operano, all’interno della totalità di struttura, su più livelli diversi.

 

Non saprei come spiegarmi meglio, ma dalla lettura del poemetto si emerge colmi di Libertà. Insomma, queste poche e nude righe per invitare i lettori di Retroguardia a leggere La libellula.

 f.s.

[Amelia Rosselli, La libellula in Le poesie, Garzanti, Milano 2004, pp. 141-158]

Divisioni spostate e allegoria “riflettente” (Parte II) di Antonino Contiliano

[Pubblichiamo la seconda parte di Divisioni spostate e allegoria “riflettente”, capitolo di un libro in fieri di Antonino Contiliano. [QUI] la prima parte del capitolo. f.s.]

di  Antonino Contiliano

 

Divisioni spostate e allegoria “riflettente”. Parte II

La razionalità tecno-scientifica occidentale, dice Latouche, soprattutto la scienza economica, che ha voluto dimostrare “la verità del liberalismo”, ha perso il suo contatto con la realtà diventando solo calcolo razionalizzato; identificando razionalità e calcolo razionalizzato, la ragione scientifica occidentale ha eluso e escluso la potenza critica del dire-altrimenti dell’allegoria “riflettente”. La sua razionalizzazione, promettente universale e libera socializzazione, si è dunque svuotata di ogni sostanza. “Essa si è trasformata in qualcosa di totalmente astratto e inafferrabile, ma lo spirito di geometria che ha occupato il posto vuoto la oppone vieppiù al ragionevole”(37); ha perso la razionalistica oggettività che prospettava il futuro come il progetto di una buona società del vivere e fare, insieme, il bene. Ma se questo è vero, è anche vero il fatto che il suo stesso razionalismo calcolistico, progressista e sviluppista, si infiltrava nelle coscienze con la seduzione e la persuasione dei grandi “racconti”, e non senza arte retorica. Il che, come ricorda Jean-François Lyotard, comportava far credere che nella modernità, e nella riedizione della modernizzazione post-moderna, fosse possibile ancora il “racconto” di un’altra epopea.

 

“A parte gli scientisti, coloro cioè che contro ogni evidenza credono nell’immanenza del discorso scientifico o nell’immanenza di un metadiscorso garante ultimo della scientificità (logica matematica o epistemologia), gli scienziati, compresi gli esperti nelle scienze naturali, riconoscono che il discorso scientifico si basa su un insieme di “valori”e di “postulati”. Questi devono ottenere l’adesione almeno dei loro pari, se non del grande pubblico. La formulazione stessa di tale dispositivo, indissociabile dal procedimento scientifico, può essere attuata soltanto ricorrendo al linguaggio volgare, caratterizzato da una ineluttabile polisemia e da una insopportabile ambiguità. Convincere e sedurre – in questo consiste l’essenza stessa della retorica – diventano dunque parte integrante del lavoro dello scienziato se non del lavoro scientifico”. (38)

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Divisioni spostate e allegoria “riflettente” (Parte I) di Antonino Contiliano

[Pubblichiamo in anteprima un altro capitolo di un libro in fieri di Antonino Contiliano: Divisioni spostate e allegoria “riflettente”. Inoltre [QUI] potete leggere il quinto capitolo: “Mediterraneo e Identità plurale”. f.s.]

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di  Antonino Contiliano

Divisioni spostate e allegoria “riflettente” . Parte I

Perché mettere insieme matematica e poesia e cercare un passaggio attraverso il fiocco di neve della curva di von Koch e i versi di una poesia costruita secondo una tecnica chiamata a “palla di neve”?; e perché coniugarle insieme all’interno di una riflessione che vuole ritrovare nella poesia sperimentale un giudizio riflettente estetico-politico, e in tutto questo un incrocio che orienti verso una scrittura letterario-poetica impegnata scolando il mondo con il colino dell’allegoria, il filtro che non è estraneo neanche alle scienze matematico-fisiche e fisico-matematiche contemporanee come risulta dal pensiero di Walfgang Pauli e dal carteggio con Jung?

I modelli matematici della microfisica, infatti, non sono esenti da interpretazioni diverse (allegorizzanti) lì dove il modello matematico e spazio-temporale delle frequenze delle radiazioni atomiche (basterebbe pensare alle ipotesi di Schrödinger e di de Broglie) è un dire-altrimenti differenziato del comportamento dello stesso “oggetto”: la cosa non è quella che appare, ma ciò che l’intelletto ne concettualizza come funzione-ipotesi. La riflessione organizza così un giudizio allegorico riflettente per un perché e un come diverso da quello che la sensibilità e la percezione offrono direttamente e immediatamente all’apparire. Ma non per questo l’apparire è un’illusione; è un livello di realtà che da solo non regge.

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“Per soglie d’increato” di Francesco Marotta. Postfazione di Luigi Metropoli

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di Luigi Metropoli

     Sapienza e profezia, parola e visione, «pensiero e canto», queste le coordinate che tracciano la sfuggente spazialità di Per soglie d’increato. Lo scintillio, il chiarore del pensiero, si fonde con il baluginare, il barbaglio, le «epifanie di lumi»; il dialogo (che in sé contiene per residuo etimologico il logos, la razionalità) incontra lo stupore, estatici squarci che aprono «il varco al volto / irrivelato delle cose».
     La poesia di Francesco Marotta ci conduce laddove la parola germoglia, attraverso zone d’ombra, fino ad una luce albale che si articola alle soglie del vuoto. È in questi luoghi che lo schiudersi delle prime sillabe acquista sapere, sapidità, sapienza, in tutto il suo urto rivelatorio, «che dissigilla / un senso che non dura». Il poeta ne ripercorre la traccia in un cammino a ritroso, attraverso un inventario di visioni, specchi, labirinti che vanificano la direzione. A tratti, per brevi istanti, sembra si possa cogliere in questo percorso una rivelazione, un qualche barlume di verità. La poesia rincorre la profezia, nel suo anteporre la parola (profferire: effare e fato che si specchiano vicendevolmente), nel suo partorire una visione futura il cui senso risiede nel passato, «prima di ogni dire, / prima del silenzio».

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