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Dialogo tra il poeta Biagio Cepollaro, Rosanna Guida (Accademia delle Belle Arti di Brera) e Giorgio Mascitelli.
Riprese e montaggio di Sergio La Chiusa, 2009
quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Dialogo tra il poeta Biagio Cepollaro, Rosanna Guida (Accademia delle Belle Arti di Brera) e Giorgio Mascitelli.
Riprese e montaggio di Sergio La Chiusa, 2009
di Francesco Sasso
Cato Maior de Senectute (L’arte di invecchiare) di Marco Tullio Cicerone è un’operetta in cui parla quasi costantemente il vecchio Catone (Scipione Emiliano e Lelio gli altri due personaggi), che loda la vecchiaia e ribatte le accuse che vengono generalmente rivolte:
«E dunque, quando rifletto dentro di me, trovo quattro cause per cui la vecchiaia appare infelice: la prima è che distoglie dalla vita attiva, la seconda è che rende il corpo sempre più debole, la terza è che priva il vecchio di quasi tutti i piaceri, la quarta è che non è molto lontana dalla morte. Di queste cause, se volete, vediamo quanto ciascuna sia importante e quanto sia giusta» (pag.43)
Mantenendo il discorso sul tono di una serena conversazione, egli dibatte una ad una le quattro cause e nega che la vecchiaia e la morte debbano essere considerati un male, poiché
«Rimane intatta ai vecchi l’intelligenza, a patto che rimangano fermi gli interessi e l’operosità, e questo non solo in uomini illustri e famosi, ma anche in chi ha avuto una vita riservata e quieta» (pag. 47)
Continua a leggere ““Cato Maior de Senectute” di Marco Tullio Cicerone”
Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)
di Giuseppe Panella
12. Le sorprese della vita e le sicurezze della matematica. Paolo Codazzi, Il destino delle nuvole, Faenza, Mobydick, 2009
«Viaggiava molto Fulvio e generalmente in città e luoghi dove avrebbe potuto partecipare a convegni di matematici, o visitare modesti musei istituiti nelle case abitate da alcuni dei grandi manipolatori di numeri della storia o da scienziati di altre discipline arricchite dalla loro opera anche in virtù della grande fede nella matematica come chiave necessaria per tutte le porte all’apparenza chiuse dell’universo. Qui reclutava forti emozioni osservando i semplici oggetti di vita conservati, sorprendendosi di come anche la scelta degli stessi contribuisse a completare a personalità degli studiosi digerita dalla lettura delle biografie, individuando riferimenti diretti tra le cose utilizzate e il pensiero di questi uomini, per come ogni forte personalità riesca a modellare oggetti comuni apparentemente irriconoscibili nella universale diffusione, trasferendo in essi inanimati un brandello della propria anima e restituendoli unici come un’opera d’arte all’attento osservatore» (pp. 46-47).
Foto di Renato Polizzi. A sinistra (Teatro Impero): Pino Corrias, Marco Travaglio, Antonino Ingroia, Roberto Scarpinato (al centro), Bruno Tinti, Luca Telese, Peter Gomez.
di Antonino Contiliano
Grande è il disordine sotto il cielo,
ma la situazione è ottima?
Mao
La situazione è disperata, ma
bisogna essere decisi a cambiarla
Lautréamont
Perché a ciascuno secondo bisogni, possibilità ed elogio della follia. Solo due parole senza mercato e non tornarci più:
Basta! Il passato è già saccheggiato e s/venduto Il presente è piuttosto ipotecato, inquietante paesaggio e pestaggio per ogni voce distante!
Il secondo fascicolo di Poetas Italianos traducidos al Español è dedicato a Francesco Marotta. Le sei liriche da noi tradotte sono state estratte da Impronte sull’acqua.
A José Daniel Henao Grisales per la traduzione, a Roberto Rossi Testa per la scrupolosa revisione della traduzione e al poeta Francesco Marotta per aver gentilmente concesso la pubblicazione dei testi su Retroguardia 2.0, il mio personale grazie.
f.s.
Traducción de JOSÉ DANIEL HENAO GRISALES
Textos Seleccionados de Francesco Sasso
Revisión de la traducción de Roberto Rossi Testa
Título Original Impronte sull’acqua
Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)
di Giuseppe Panella
11. Nella terra delle storie del passato. Elio Lanteri, La ballata della piccola piazza, con una Prefazione di Marino Magliani, Massa, Transeuropa Edizioni, 2009
Della “piccola piazza” del titolo l’autore rende ragione nell’esergo del libro. Si tratta di un verso di Federico Garcia Lorca (di cui Lanteri è grande estimatore) che si intitola, appunto, Balada de la placeta (è del 1919) e che recita così:
«Perché ti allontani / dalla piccola piazza ?… / Ed io andrò molto lontano, / oltre i monti, vicino alle stelle, / con il mio cuore antico di bambino, / maturo di leggende, / con il berretto di piume / e la sciabola di legno» (p. 9).
Leggendo questi versi splendidi del poeta andaluso, si intuiscono molte delle ragioni che hanno spinto l’ormai anziano scrittore (è nato a Dolceacqua di Imperia nel 1929 e questo è il suo primo testo narrativo) a tentare la carta dello scarto linguistico e della creazione di atmosfere fantastiche ricreate con sguardo onirico e attenzione ai particolari più remoti. La scena è, ovviamente, in Liguria e il racconto parte all’alba del 9 settembre 1943, quando con l’uscita dell’Italia dalla guerra la situazione del Paese, soprattutto al Nord, trasforma gli italiani agli occhi dei gog (così vengono definiti i tedeschi quasi sicuramente dalla leggenda di Gog e Magog) da alleati poco affidabili in nemici potenziali.
di Antonino Contiliano
Majakovskij, per un’analogia che il presente storico ci ripropone, nel suo “Come far versi” – e Brecht direbbe egualmente ! –, ci dice che regole e forme derivano dalla situazione e dalla poiesis non come ispirazione, creazione romantica o tradizione ripetuta, ma come produzione (composizione o systasis [24] nei termini della poetica aristotelica); per cui dall’emergenza la necessità “insurgente” di alcuni elementi indispensabili: 1) “la presenza, nella società, di un problema la cui soluzione è concepibile soltanto come un’opera poetica. L’ordinazione sociale”; 2) “la conoscenza esatta o, meglio, la percezione delle aspirazioni della propria classe”; 3) “il materiale. Le parole. L’ininterrotto arricchimento dei depositi, dei magazzini del proprio cranio con parole necessarie, espressive, rare, inventate, rinnovate e di ogni altro genere”.
E, quanto meno, uno/tanti dei problemi odierni è quello di demistificare la presunta immaterialità della società della conoscenza capitalistica, le contraddizioni materiali dichiarate estinte e praticare nuove modalità e proposte alternative di affrontarle: non tutti sono/siamo americani e capitalisti!; non vendere i “beni comuni” materiali e “poetici” e la ri-costituzione del loro ‘valore d’uso’ unitamente ad un’economia della “decrescita produttiva”; gestire il potere senza prendere il potere (ubbidendo, come dicono gli zapatisti) e la lotta contro le royalties o tasse (il cui incasso è proprietà di alcune multinazionali) di brevettazione, indiscriminata, di essere viventi e biodiversità, stringhe del codice genetico, files informatici, “immagini” del mondo e relativa cultura simbolica etc.. I saperi, la scienza, la cultura le “creazioni-costruzioni” del general intellect o il patrimonio dell’intelligenza collettiva e i beni del pianeta e del suo sistema, essenziali alla vita di ogni latitudine, non debbono essere oggetto della finanziarizzazione mercantile del profitto di classe e gruppi.
di Antonino Contiliano
Il tempo concreto della poesia ripugna l’istanza di un ritmo costante, univoco e di una metrica omologante assorbente il multiversum; un tale ritmo come uno stampo indifferente e ripetibile – differente solo un’apparente individualità di contenuto o autore – non può rendere conto di tutta la complessità, di cui un testo poetico è carico, specie se è voce che matura nel tempo biopolitico contemporaneo che gli dà corpo. Un tempo che, oggi, in parte, come quello della poesia, per i suoi aspetti legati alla cognitività e alla significanza delle relazioni immateriali e di senso, matura entro i processi dell’autonoma libertà compositivo-po(i)etica propri alle singolarità individuali e sociali, e come un ‘bene comune’. Un bene che ogni singolarità plurale sperimenta liberamente nel laboratorio della soggettivazione poetica per esprimerla e comunicarla, poi, in maniera simbolico-semiotica politicamente, o in presenza con gli altri.
Vitale come l’ossigeno per la vita biologica, la libertà lo è per la poesia come un bene comune. Indivisibile e indispensabile, infatti, ha una sua peculiare funzione di senso nell’immaginario vitale dell’esistenza collettiva che si svolge nella res pubblica e nel comune.
Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)
di Giuseppe Panella
10. La Storia e le passioni. Stefano Berni, La pazza morale, Firenze, Polistampa, 2009
Non è soltanto una storia d’amore questa scritta e consumata in meno di cento pagine da Stefano Berni. E’ contemporaneamente anche un romanzo storico (ambientato nel 1877 in una plumbea Firenze che ha da poco perduto il suo ruolo di Capitale dell’Italia unita) e un roman philosophique (e cioè di storia delle idee, sulla dimensione repressiva e sociale della “nuova psichiatria” susseguita all’intuizione di Philippe Pinel di liberare i malati di mente dalle catene e di curarli come esseri umani ammalati). Il suo protagonista, il neo-laureato in medicina Luigi Ber(ti)ni, incontra nella clinica psichiatrica di Bonifazio sita in via San Gallo (il luogo deve il suo nome al benemerito benefattore Bonifazio Lupi che la fondò nel lontano 1377 anche se il suo vero fondatore fu il ben più celebre Vincenzo Chiarugi nel Settecento) una sua antica fiamma, Laura, ivi ricoverata per “pazzia morale”. La “pazzia morale” così come viene teorizzata dal primario della clinica, Francesco Bini, un medico realmente esistito e famoso negli annali della scienza medica, corrisponde alla totale caduta dei freni inibitori dal punto di vista della condotta sessuale. In parole più crude, quando Laura è eccitata si concede a tutti quelli che la vogliono penetrare.
Recensione/schizzo
Non sempre si riesce a trovare un po’ di tempo da dedicare alla descrizione di un’opera letteraria letta e apprezzata. Non per questo, credo, si debba rinunciare a segnalarla. Una di queste è Cere perse di Gesualdo Bufalino, raccolta di articoli giornalistici usciti fra il 1982 e il 1985. Pur nella occasionalità dei testi, Bufalino rielabora fedelmente i suoi temi: la Sicilia “ossimora”, la riflessione sulla scrittura e sulla lettura (Leggere, vizio punito è il titolo di un bellissimo articolo), la memoria, la morte.
In una intervista, Bufalino affermò: «Io sono affezionato a questo libro come a un diario non solo personale, ma generazionale. Dopo tutto si scrive per tante ragioni e una è per ricordare» (O. del Buono, Bufalino, il racconto per ricordare, “Corriere della sera”, 22 settembre 1986)
E Bufalino rievoca luoghi, miti, personaggi, esprimendo tutto il godimento del “fiutare, palpare, pedinare, origliare il quotidiano” degli autori che più ha amato.
La raccolta è inclusa in Opere 1981-1988, collana Classici Bompiani.
f.s.
Recensione/schizzo
di Francesco Sasso
Ho letto avidamente e con immenso piacere Sentieri di gloria edito dagli Oscar Mondadori 1996, collana Piccola biblioteca, libro scovato in rete a metà prezzo. Il volume raccoglie in modo non organico, ma rappresentativo, una piccola parte della scrittura saggistica di Vittorio Sereni sui “classici” della letteratura italiana e straniera. I testi vanno dal 1940 al 1982 e uscirono su quotidiani e riviste letterarie dell’epoca.
In questi articoli raccolti in antologia, si possono leggere preziose osservazioni di lettura sui suoi contemporanei (Ungaretti, Saba, Montale) e su alcuni classici dell’Otto-Novecento (Campana, Leopardi, Pascoli, Trilussa), nonché sui padri della nostra letteratura (Dante, Petrarca, Ariosto). A questi interventi dobbiamo aggiungere uno su Virgilio e uno importante su Michelangelo poeta.
Gli autori stranieri trattati da Sereni sono: Edgar Lee Masters e l’Antologia di Spoon River, Rimbaud, Prévert, Apollinaire e Corneille.
Continua a leggere ““Sentieri di gloria” di Vittorio Sereni”
di Antonino Contiliano
“Democrazia”: regime politico definibile appunto come unione
di tutti i cittadini, che esercita collegialmente un diritto
sovrano su tutto ciò che è in suo potere. […] In regime
democratico infatti […] tutti hanno convenuto di agire […]
in base a una decisione presa in comune: non hanno
convenuto però di pensare e di ragionare in modo unanime.
Spinoza ( Trattato teologico-politico, capp. XVI, XX)
È la forma della democrazia del comune che vogliamo mettere a fuoco a proposito della lettura dei libri di Michel Foucault (Sicurezza, territorio, popolazione; Nascita della biopolitica, Feltrinelli, 2005) e di Michael Hardt e Antonio Negri (Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, Rizzoli, 2004).
La fine del “secolo breve” e l’inizio del XXI hanno chiuso con diverse verità ideologiche e lasciato aperte questioni politico-sociali tragicamente vitali e tra queste la lotta di classe e il modello di sviluppo capitalistico secondo il canone dello “stato frugale”.
L’idea del progresso irreversibile e lineare, per esempio, è morta e sepolta, e le crisi, non più solo congiunturali, sono lì a mostrarne l’evidenza. La ciclicità delle crisi irreversibili che, erose le risorse, penalizza ed esclude dal benessere la maggioranza della popolazione del pianeta, mentre i pochi ricchi diventano sempre più ricchi a scapito dei molti che diventano sempre più poveri e numerosi, è atto inconfutabile della sua insostenibilità e, simultaneamente, del fatto che le contraddizioni e il conflitto di classe non sono finiti.
Continua a leggere ““La biopolitica della moltitudine. Democrazia assoluta” di Antonino Contiliano”
Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)
di Giuseppe Panella
9. Quarant’anni prima, tra il Sessantotto e la deriva del linguaggio dei contemporanei. Alberto Arbasino, La vita bassa, Milano, Adelphi, 2008
«In questo stato, e poi Un paese senza, obbedivano al dovere civile delle testimonianze ‘dal vivo’ nelle congiunture epocali, in seguito utili ai ricercatori e agli archivisti del ‘post’ e del ‘propter’, del perché e del percome, del prima e del dopo. “E se domani…”canticchiavano al piano-bar gli storici futuri anche involontari, nel corso degli eventi. Poi, ogni storiografia o iconografia o commemorazione finirà per registrare soprattutto due serie parallele di icone inevitabili, per quegli anni Settanta. Pasolini, Moro, Feltrinelli, e i tanti altri assassinati. Una pletora, si deplorò. Accanto, un’altra pletora di indimenticabili successi e cult forever: Mina, Celentano, Morandi, Battisti, Baglioni, De André, De Gregori, Dalla, Paoli, Guccini, e tanti altri miti e riti regolarmente estremi e duraturi e ‘live’. Anche alle esibizioni attempate di Keith Jarrett e moltissimi altri, a tutt’oggi, quante migliaia di junior e senior si eccitano e commuovono sinceramente dopo aver sborsato cento euro dai bagarini o sopportato fatiche ‘bestiali’ in coda. Così, anche questo nuovo libretto “sui fatti del 2008” si proporrà (ancora una volta) come una obiettiva ‘deposizione’ testimoniale a caldo su un altro snodo o svincolo o scivolo di eventi italiani probabilmente epocali, nel mesto corso del loro svolgersi» (pp.102-103).