Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)
di Giuseppe Panella
La nostalgia del deserto e l’avventura della parola. Giulio Bruni, Arsure ed erranze, Napoli, Lettere Italiane – Guida, 2003
L’”attraversamento del deserto” è uno dei miti fondativi della cultura poetica (e non solo) del Novecento: memori di Lawrence d’Arabia e della sua cavalcata verso Aqaba, generazioni di turisti più o meno illustri (da Gide a Michel Leiris) hanno identificato il territorio desertificato dell’Africa settentrionale o dell’Asia Minore con un luogo dell’anima che significava tanto il loro personale disagio quanto il loro sogno di un mondo migliore, rinnovato, rigenerato.