STORIA CONTEMPORANEA n.24: L’enigma senza risposta. Leandro Castellani, “Mistero Majorana. L’ultima verità”

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P)

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di Giuseppe Panella

L’enigma senza risposta. Leandro Castellani, Mistero Majorana. L’ultima verità, Firenze, Clinamen, 2006

Periodicamente il mistero Majorana ritorna ad occupare le pagine culturali dei giornali e (meno spesso) gli scaffali delle biblioteche. Ma che cosa è successo veramente al geniale fisico siciliano di Catania? E’ quello che probabilmente nessuno, nonostante le ipotesi più fantasiose, saprà mai.

Il libro di Leandro Castellani cerca di rispondere a questa domanda partendo dai dati noti. Lo stesso aveva provato a fare l’attento e ben filologicamente accurato volume di Erasmo Recami ormai giunto ala sua quinta edizione (Il caso Majorana: epistolario, documenti, testimonianze, Roma, Di Renzo, 2008). Stesso scopo aveva avuto il romanzo “storico” di Leonardo Sciascia (La scomparsa di Majorana, Torino, Einaudi, 1975) da cui ha ripreso vigore l’interesse di molti lettori anche non addetti ai lavori (quale era lo stesso Recami all’epoca, che Sciascia, nel suo libro, definisce giovane ricercatore e che oggi, invece, risulta insigne fisico teorico professore presso l’Università di Bergamo) ma puri appassionati all’enigma rappresentato dalla scomparsa dello studioso siciliano. Tra di essi c’è stato probabilmente anche il grande economista Federico Caffè che proprio al testo sciasciano sembra essersi ispirato per mettere in scena la propria scomparsa personale (è quello che sostiene Ermanno Rea nel suo L’ultima lezione, Torino, Einaudi, 20002, p. 18, dedicato per l’appunto alla scomparsa di Caffè; dal libro è stato tratto anche un film dallo stesso titolo, diretto da Massimo Martella e Fabio Rosi, ma non particolarmente riuscito).

Il romanzo di Sciascia si chiudeva con una sorta di promessa (che non avrebbe certo potuto essere mantenuta) di rivelazioni sul destino finale di Majorana. Lo scrittore sarebbe andato al Convento dei Certosini di Serra San Bruno a verificare certe voci circolate negli anni Cinquanta:

«Ecco: abbiamo fatto questo viaggio, siamo entrati in questa cittadella dei certosini, per seguire una sottile, inquietante traccia di Ettore Majorana. Una sera, a Palermo, parlavamo della sua misteriosa scomparsa con Vittorio Nisticò, direttore del giornale L’ora. Improvvisamente Nisticò ebbe un preciso ricordo: giovanissimo, negli anni della guerra o dell’immediato dopoguerra, insomma intorno al 1945, aveva visitato, in compagnia di un amico, un convento certosino; e ad un certo punto della visita, da un “fratello” (i “fratelli” sono più nel mondo che i “padri”: fanno quella vita attiva che ai “padri” consente di far vita contemplativa, le ore che i “padri” passano nello studio e nelle letture spirituali loro le passano a cucinare e a coltivare l’orto, frequentemente escono, liberamente trattano con la gente di fuori), avevano avuto la confidenza che nel convento, tra i “padri”, si trovava un grande scienziato. […] Nel momento in cui Nisticò ci diceva della inaspettata, insospettata, incredibile notizia che la lontana voce dell’amico gli aveva rivelata, noi abbiamo vissuto una esperienza di rivelazione, una esperienza metafisica, una esperienza mistica: abbiamo avuto, al di là della ragione, la razionale certezza che, rispondenti o no a fatti reali e verificabili, quei due fantasmi di fatti che convergevano su uno stesso luogo non potevano non avere un significato. Il sospetto di Nisticò, che “il grande scienziato” di cui gli aveva parlato trent’anni prima il “fratello” Misasi poteva anch’essere Majorana; la diceria che nello stesso convento fosse arrivato, e forse ancora vi si trovasse, l’ufficiale americano che era stato preso dai rimorsi per aver comandato o aver fatto parte dell’equipaggio di quell’aereo fatale – potevano queste due cose non essere messe in relazione tra loro, non riflettersi l’una nell’altra, non spiegarsi a vicenda, non avere il valore di una rivelazione?» (Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, Torino, Einaudi, 1975, p. 74 e p. 76).

Senza illuminazioni mistiche miste a razionali certezze (come nel caso del grande scrittore di Racalmuto) ma ricostruendo i fatti in vista di una possibile messinscena televisiva (che sarà l’Ipotesi sulla scomparsa di un fisico atomico trasmesso dalla RAI nel 1972), Castellani tenta di mettere in fila tutti i possibili fatti che sono in possesso degli storici e prova a formulare delle possibili conclusioni finali riguardo al mistero. Consapevole che il suo racconto Dossier Majorana (Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1974) è stato lo stimolo che ha permesso a Sciascia di stilare il suo racconto “morale”, Castellani non si mette sulla strada delle illazioni ma racconta ciò che dello scienziato catanese si sa con certezza.

Quindi: la giovinezza ribelle, gli aneddoti sulla sua precoce applicazione al mondo della scienza, gli episodi familiari che costruiscono la sua leggenda di bambino prodigio. Poi gli studi: il collegio dei Gesuiti a Roma, l’Istituto parificato Massimiliano Massimo, l’Università alla Facoltà di Ingegneria, il passaggio a Fisica con Fermi. Nasce il gruppo dei “ragazzi di via Panisperna”, si moltiplicano gli episodi della genialità di Majorana:

«In seguito, “nella discussione su un problema scientifico – racconta Amaldi – Ettore a un certo punto tirava fuori dalla tasca il pacchetto delle sigarette “Macedonia” (era un fumatore accanito) sul quale erano scritte, in una calligrafia minuta, ma ordinata, le formule principali della sua teoria o una tabella di risultati numerici. Copiava sulla lavagna parte dei risultati, quel tanto che era necessario per chiarire il problema, e poi, fumata l’ultima sigaretta, accartocciava il pacchetto nella mano e lo buttava nel cestino”. Fermi ricordò di aver visto finire nel cestino della carta straccia, annotata sul solito pacchetto di “Macedonia”, la stessa teoria con cui un anno più tardi il tedesco Werner Heisenberg avrebbe conquistato il Premio Nobel. Ma del resto, quando, nel 1957, i fisici cinesi, naturalizzati americani, Lee e Yang, ottennero il Nobel per la loro teoria sulle particelle elementari, ci si accorse in ritardo che la stessa teoria era stata formulata trent’anni prima dal siciliano Ettore Majorana» (Leandro Castellani, Mistero Majorana. L’ultima verità, Firenze, Clinamen, 2006, p. 30).

Poi la Germania, l’incontro con Heisenberg, il viaggio a Copenhagen a vedere Niels Bohr, l’impatto con una paese, la Germania nazista, di cui non darà mai un giudizio positivo (anche se non ne criticherà apertamente le vedute in campo politico). Poi la crisi: la chiusura, il rifiuto di collaborare alle ricerche di Fermi e Amaldi…

«Passa settimane intere chiuso in camera. Sul suo tavolo pagine di appunti gremiti di fitte formule. E un romanzo di Pirandello, Il fu Mattia Pascal, storia di un uomo che tenta di cancellare la propria identità per costruirsene una nuova. “Diventò un recluso – scrive di Majorana Laura Fermi… » (Leandro Castellani, Mistero Majorana. L’ultima verità cit. , p. 63).

Poi la diaspora del gruppo di via Panisperna, l’improvvisa scelta di partecipare al concorso a cattedre di Fisica teorica, la vittoria in esso “per chiara fama” (unico modo per permettere a Giovannino Gentile, figlio del filosofo suo conterraneo, di accedere alla terna concorsuale), la chiamata all’Università di Napoli. Poi la scomparsa avvenuta il giorno 26 marzo del 1938 al ritorno da Palermo. Dopo di che le ipotesi, le ricerche serrate, il “Voglio che si trovi” firmato Benito Mussolini… Sarà davvero andato a rifugiarsi a Serra San Bruno come vuole Sciascia o sarà stato rapito dai nazisti che non riuscivano a realizzare la bomba atomica per la mancanza dell’acqua pesante distrutta a Tellmark dai combattenti della Resistenza norvegese e per scarsa collaborazione da parte dei grandi teorici della fisica che vivevano ancora in Germania?

O si sarà ucciso in preda allo sconforto, come aveva scritto in una lettera indirizzata all’amico Antonio Carrelli? Non lo si saprà mai. E poi, in fondo, ci importa qualcosa? Majorana è diventato, nel bene e nel male, una figura dello spirito – lo scienziato che non volle collaborare quando si accorse che la fisica aveva preso “una strada sbagliata” (come disse in quegli anni di inquietudine alla sorella Maria).

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