IL TERZO SGUARDO n.4: Infanzia e memoria di un Premio riuscito. “Premio Letterario Chianti 1987-2007. Venti anni di libri e autori”, a cura di Claudio Molinelli

Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)

_____________________________ 

di Giuseppe Panella

Infanzia e memoria di un Premio riuscito.  Premio Letterario Chianti 1987-2007. Venti anni di libri e autori, a cura di Claudio Molinelli, Firenze, Esuvia Edizioni, 2009

Scrive Claudio Molinelli nella sua Introduzione a questo interessante e preciso volume di ricostruzione e di ricordi intorno al Premio “Chianti” di narrativa italiana:

  Continua a leggere “IL TERZO SGUARDO n.4: Infanzia e memoria di un Premio riuscito. “Premio Letterario Chianti 1987-2007. Venti anni di libri e autori”, a cura di Claudio Molinelli”

STORIA CONTEMPORANEA n.43: La scrittura e il suo doppio etico. “Leggere la cenere. Saggi su letteratura e censura”, a cura di Roberto Francavilla

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P)

______________________________

di Giuseppe Panella

 

La scrittura e il suo doppio etico. Leggere la cenere. Saggi su letteratura e censura, a cura di Roberto Francavilla, Roma, Artemide, 2009

Bisogna stare molto attenti quando si parla di censura. Scrivere è sempre un atto pericoloso per il Potere. Lo rileva anche Leo Strauss in uno dei suoi libri (Scrittura e persecuzione, trad. it. e cura di Giuliano Ferrara, Venezia, Marsilio, 1990) più trascurati dagli studiosi di filosofia politica quando analizza il modo tenuto da molti autori in odore di eresia o di critica al potere politico per evitare le ritorsioni o la vendetta (fisica e morale) di coloro i quali li considerano a ragione i propri più acerrimi nemici. Come salvare la vita e non finire sul rogo (come Giordano Bruno) o in carcere (come Ugo Grozio o Denis Diderot)? La strategia della scrittura trasgressiva in tempi di censura comporta una prudenza nell’argomentazione e una sorta di copertura nella finalità dimostrativa che la critica letteraria può individuare ma che la censura non sempre scopre e punisce.

Continua a leggere “STORIA CONTEMPORANEA n.43: La scrittura e il suo doppio etico. “Leggere la cenere. Saggi su letteratura e censura”, a cura di Roberto Francavilla”

Renato Serra – Luigi Ambrosini, “Mio carissimo”

di Francesco Sasso

I rapporti intercorsi tra Renato Serra e Luigi Ambrosini, giornalista di talento e amico intimo, sono ben noti. In particolare la collaborazione intellettuale e la partecipazione alla vita letteraria in alcune riviste agli inizi del Novecento.

Ad ampliare la prospettiva di questo fortunato sodalizio, i cui esiti segnarono positivamente la storia personale dei due intellettuali, giunge ora questo nuovo, prezioso contributo a cura di Andrea Menetti che ci presenta il carteggio intercorso tra Renato Serra e Luigi Ambrosini in un volume curato con rigore filologico e con un apparato di note informative che ricostruiscono con esattezza il percorso di un sodalizio lungo nel tempo. Il volume raccoglie sessantanove lettere e cartoline postali che i due giovani letterati vennero scambiandosi tra il 1904 e il 1915 (l’ultima lettera di Serra fu scritta otto giorno prima di morire sul fronte), quindi negli anni decisivi della loro formazione intellettuale. Le lettere fanno parte dell’archivio di Casa Serra e il Fondo della Biblioteca Malatestiana di Cesena.

Continua a leggere “Renato Serra – Luigi Ambrosini, “Mio carissimo””

SEGNALAZIONE: “Il nome della rosa” trent’anni dopo. Una rivisitazione ‘a tesi’ del Medioevo. Saggio di Francesco Bausi

Il successo travolgente e planetario del Nome della Rosa, nei trent’anni che ci separano dalla sua apparizione, è stato anche un successo accademico. La bibliografia accumulatasi in tutto il mondo sul romanzo è ormai imponente, e ne ha indagato tutti gli aspetti: i rapporti con l’estetica post-moderna, le fonti e i modelli, le implicazioni teoriche e semiologiche, i risvolti attualizzanti. Anche il tema che qui ci interessa, quello della rivisitazione del Medioevo, è stato oggetto di numerosi studi, tanto che ben poco sembrerebbe possibile ancora aggiungere. Per tentare un ulteriore approfondimento, vorrei allora muovere da una questione in apparenza banale e poco pertinente, chiedendomi le ragioni che hanno fatto del Nome della rosa un best-seller mondiale, tradotto in più di quaranta lingue e capace di vendere, nei soli primi vent’anni (1980-2000), oltre sedici milioni di copie. Credo che le spiegazioni normalmente invocate, benché certamente valide, non siano però sufficienti: quelle, dico, che fanno capo al moderno revival del Medioevo, alle grandi doti narrative e affabulatorie dell’autore e alla sua notorietà presso il largo pubblico, al battage pubblicitario, o alla funzione di “traino” svolta dal film che Jean-Jacques Annaud liberamente trasse dal romanzo nel 1986 (e sul quale ritorneremo).

continua a leggere il saggio su Samgha

http://samgha.wordpress.com/2010/05/24/%e2%80%9cil-nome-della-rosa%e2%80%9d-trent%e2%80%99anni-dopo-una-rivisitazione-%e2%80%98a-tesi%e2%80%99-del-medioevo/)

QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.42: L’usignolo resta senza voce. Gennaro Oriolo, “Mute parole e ingannevoli delizie”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

_____________________________

di Giuseppe Panella

L’usignolo resta senza voce. Gennaro Oriolo, Mute parole e ingannevoli delizie, con una prefazione di Franco Manescalchi, Cosenza, Ferrari Editore, 2010

Di Oriolo e della sua scrittura mimetica scrive proficuamente Franco Maniscalchi nella sua notevole presentazione di questo volume di poesie:

«Si può parlare, perciò, di un autore per il quale la scrittura è fine e mezzo, strumento per dare voce ad una complessa articolazione dove lo spazio tempo prende corpo e identità storica in un vivo e vivido divenire di parole che amplificano e definiscono il farsi medesimo degli eventi. L’ecletticità che emerge anche ad una lettura immediata è dunque movimento modulare e non dispersione stilistica. Un movimento modulare che conferma, come già abbiamo scritto, un operatore di grande cultura e di sapiente mimesi nel quale il “divertissement”(nel senso del pensiero divergente e della reinvenzione ludica) conduce fino alle radici di un’estrema drammaticità dove finito e infinito, vota e morte, esistere ed essere, tutto e nulla confermano la pienezza di una coscienza alimentatasi al mito mediterraneo di una terra dove un tempo abitarono gli dei e dove ancora è possibile respirarne gli ultimi pollini. E questo è possibile perché nel poeta si fondono tre archetipi: la monovalenza del “logos” che inizialmente in lui sembra prevalere, l’entropia dell’ “eros” che, sottesa, crea tensioni telluriche nell’uomo e dunque sulla pagina, e, infine, la non deperibilità del “ludus” confortato dalla “tèchne” del mondo primigenio» (pp. 7-8).

Continua a leggere “QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.42: L’usignolo resta senza voce. Gennaro Oriolo, “Mute parole e ingannevoli delizie””

Hervé Guibert, “Le regole della pietà”: quando l’Aids diventa poesia

di Giovanni Inzerillo

 

Le protocole compassionel, ultimo romanzo di Guibert, apparso in Francia nel 1991 per le edizioni Gallimard venne pubblicato in Italia nel 1995 per i tipi della Marsilio con il titolo Le regole della pietà.

Autore assai discusso in Francia ancora oggi, specie a seguito della pubblicazione di La pudeur ou l’impudeur, agghiacciante documentario degli ultimi mesi della sua vita, in Italia di lui non resta che qualche timida ombra.

Continua a leggere “Hervé Guibert, “Le regole della pietà”: quando l’Aids diventa poesia”

Una rosa rossa per Edoardo Sanguineti

[Cacacazzo, opera di Enrico Baj]

___________________________

di Giuseppe Panella

 

Non è ancora il tempo delle sintesi nette e definitive, forse neppure di analisi troppo dettagliate riguardo la natura dell’impresa poetica e culturale di Edoardo Sanguineti.

Questa mia attuale vuole essere soltanto una breve riflessione a caldo, sull’onda di una morte improvvisa e forse evitabile (come spesso accade nei Pronto Soccorso e negli ospedali non solo in terra d’Italia). Sanguineti è stato un poeta che ha lasciato il segno (e non solo nella mia esistenza intellettuale). E’ stato sicuramente un personaggio di alta levatura e di forte carismaticità.

Continua a leggere “Una rosa rossa per Edoardo Sanguineti”

SPECIALE GUIDO MORSELLI n.5: “Lettere ritrovate”, a cura di Linda Terziroli

di Francesco Sasso

Scrittore anomalo, sentimentale e razionale allo stesso tempo, Guido Morselli è anche filosofo, sceneggiatore, teologo, autore teatrale, dietologo, ambientalista. Ha svolto ogni attività culturale all’insegna del dilettantismo, intesa, questa, come condizione intellettuale disinteressata, all’insegna del piacere della ricerca e della viva curiosità. Per tali motivi, dopo una lunga frequentazione critica, mi accorgo che tener dietro al suo percorso intellettuale/artistico, occorrono molti specialisti.

Continua a leggere “SPECIALE GUIDO MORSELLI n.5: “Lettere ritrovate”, a cura di Linda Terziroli”

QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.41: Buon giorno si spera. Giuseppe Iuliano, “Rosso a sera (versi contro-versi)”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

_____________________________ 

di Giuseppe Panella

 

… Buon giorno si spera. Giuseppe Iuliano, Rosso a sera (versi contro-versi), Grottaminarda (AV), Delta 3 Edizioni, 2010

 Giuseppe Iuliano è un poeta meridiano. Così lo qualifica Paolo Saggese nella seconda di copertina del suo ultimo libro (il quindicesimo della serie). Il critico irpino così continua:

«Iuliano è un poeta meridiano che, attraverso la scrittura, traccia un percorso di idee, immagini, riflessioni: un mosaico di testimonianze che leggono, travestono ed interpretano in modo attento, critico, antagonista, appunto meridiano, i tempi moderni. Ed è proprio questa la linea di confine, questo lo spartiacque che fa di Giuseppe Iuliano un poeta vero, una voce fuori da taluni cori, sicuramente fuori dai cori della cultura salottiera contemporanea».

  Continua a leggere “QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.41: Buon giorno si spera. Giuseppe Iuliano, “Rosso a sera (versi contro-versi)””

STORIA CONTEMPORANEA n.42: Uno zibaldone per narrare la propria storia. Bruno Pischedda, “Com’è grande la città”

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P)

______________________________

di Giuseppe Panella

 

Uno zibaldone per narrare la propria storia. Bruno Pischedda, Com’è grande la città, Milano, ShaKe, 2008

Questo non è un romanzo – sarebbe stato opportuno scrivere sulla copertina (a differenza di quello che ha fatto il primo editore del libro, Marco Tropea, nel 1996), a mo’ di avvertimento antifrastico alla Magritte chiosato da Michel Foucault. Ormai è troppo tardi, temo, per ovviare all’errore. Questo testo, per quanto interessante, giustificato, onesto, di Bruno Pischedda è tutto fuorché una narrazione più o meno lunga in cui una vicenda viene esaurita nel corso di un tempo più o meno breve (è quello che della definizione di romanzo riesce a dare Edward M. Forster nel suo Aspects of the Novel del 1927). In realtà, è uno zibaldone – genere letterario non più in voga ma, in realtà, praticato da tutti gli autori che sentono prepotentemente prorompere in se stessi e poi emergere alla luce della pagina la calda vena dell’autobiografismo.

Continua a leggere “STORIA CONTEMPORANEA n.42: Uno zibaldone per narrare la propria storia. Bruno Pischedda, “Com’è grande la città””

Per una nozione dinamica di genere. Paolo Bagni, “Genere”

di Francesco Sasso

Ogni opera letteraria si pone sempre in un determinato rapporto con le opere del passato, con la tradizione. L’esigenza di individuare tali rapporti, e di ordinare le opere letterarie per generi secondo caratteri simili, è un aspetto fondamentale dello studio della letteratura. Naturalmente, l’attenzione degli studiosi si è spostato dall’adesione al modello alla tendenza a discostarsi, fino alla possibilità di mescolanza dei generi o del rifiuto totale.

Continua a leggere “Per una nozione dinamica di genere. Paolo Bagni, “Genere””

QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.40: Dallo sguardo alla parola del poeta. Stefano Ridolfi, “Cacciatore di sguardi”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

_____________________________ 

di Giuseppe Panella

 

Dallo sguardo alla parola del poeta. Stefano Ridolfi, Cacciatore di sguardi, con una prefazione di Andrea Ulivi, Firenze, Edizioni della Meridiana, 2008

 «Stefano Ridolfi scandaglia il mondo fin dentro le sue particelle costitutive e da queste sue parole e immagini il valore che le rende necessarie è proprio una forma di attenzione che le avvera. Sì, due sono le caratteristiche che più colpiscono dell’opera di Ridolfi: osservazione e attenzione, cioè rapporto diretto con l’universo reale, con il mondo reale. E questo rapporto è tanto attento e affezionato al reale da trasformare il quotidiano in “prodigioso”, come già dal primo verso della prima poesia, già dalla “nascita” dell’opera. E’ interessante l’esordio della voce poetante: “Si rinnova il prodigio”. “Rinnova” e “prodigio”. Rinascita prodigiosa, rinascita sorpresa, stupore» (Andrea Ulivi, Prefazione a Cacciatore di sguardi, p. 5).

  Continua a leggere “QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.40: Dallo sguardo alla parola del poeta. Stefano Ridolfi, “Cacciatore di sguardi””

DUE TEMPI DELLA POESIA DI ANTONIO SPAGNUOLO: “CANDIDA” E “DIETRO IL RESTAURO”. Saggio di Giuseppe Panella

 

di Giuseppe Panella

 

“Non si può dubitare che la qualità visibile nell’aspetto dei morti che più atterrisce chi guardi, è il  pallore marmoreo che vi si posa: come se davvero quel pallore fosse altrettanto il segno della costernazione nell’altro mondo, quanto della trepidazione mortale in questo. E da quel pallore dei morti noi prendiamo il significativo colore del sudario in cui li avvolgiamo. Nemmeno nelle nostre superstizioni manchiamo di gettare lo stesso niveo mantello intorno agli spettri, tutti i fantasmi sorgendo in una nebbia lattiginosa”
                                                     (Herman Melville, Moby Dick o La Balena)

 [ per ricordare Mario Pomilio, maestro e amico ]

______________________________

 1. Bianco è il colore delle ambiguità

     “Il bianco è il colore che più si addice agli dei” – affermava Platone ed Euripide lo conferma. “Indossando vesti bianche fuggo la generazione dei mortali” fa dire al sacerdote protagonista di una sua tragedia. E, d’altronde, per Aristotele, l’aria pura e trasparente è léukos, bianca.

    Continua a leggere “DUE TEMPI DELLA POESIA DI ANTONIO SPAGNUOLO: “CANDIDA” E “DIETRO IL RESTAURO”. Saggio di Giuseppe Panella”

La passione del “noi” tra il XX° e il XIX°

 

di Antonino Contiliano

______________________________

Alain Badiou, Il secolo, Feltrinelli, Milano, 2006.

Giacomo Marramao, La passione del presente, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.

I due libri – Il secolo di Alain Badiou e La passione del presente di Giacomo Marramao – sono stati pubblicati in Italia a distanza di due anni l’uno dall’altro. I due lavori tematizzano, si può dire senza ombra di dubbio, il qui e ora, ovvero il reale e il presente del tempo storico di riferimento.

Il secolo di Alain Badiou è il XX° secolo con la sua volontà di potenza (ne fa fede la coscienza filosofica e politica che l’autore tratteggia attraverso vari documenti d’epoca: poesia, manifesti avanguardistici, opere d’arte…) come “passione del reale”, ovvero l’impegno e la lotta per la realizzazione dell’uomo e della società nuovi di cui il XIX° era stato l’anticipazione utopica o la promessa di nuova identità. Indicativo della marcia del libro può essere l’indice dei nomi che Badiou sceglie per le sue lezioni e le sue argomentazioni: questioni di metodo, la bestia, il non-riconciliato, un mondo nuovo: sì, ma quando?, passione del reale e montaggio della finzione, uno si divide in due, crisi di sesso, anabasi, sette variazioni, crudeltà, avanguardie, l’infinito, sparizioni congiunte dell’Uomo e di Dio.

Continua a leggere “La passione del “noi” tra il XX° e il XIX°”

STORIA CONTEMPORANEA n.41: Conversa acabada. Michela Murgia, “Accabadora”

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P)

______________________________

di Giuseppe Panella

 

Conversa acabada. Michela Murgia, Accabadora, Torino, Einaudi, 2009

Acabar in lingua spagnola vuol dire finire, terminare (lo stesso termine identico si ritrova in portoghese). La parola accabadora (di solito accoppiata con il sostantivo femmina) aveva nella cultura sarda il compito di designare una persona che si prendeva il compito oneroso e furtivo (ma mai retribuibile) di condurre alla fine inevitabile i malati terminali o quelli ormai considerati inguaribili dai medici oppure di difficile accudimento da parte dei familiari. Secondo Francesco Alziator, uno dei più cospicui studiosi delle tradizioni folcloriche della terra di Sardegna (è suo un testo fondamentale come Il folklore sardo, Bologna, Edizioni La Zattera, 1957, poi frequentemente ristampato anche nell’isola), il compito dell’ accabadora, tuttavia, non era soltanto quello materiale di finire il malato terminale soffocandolo con un cuscino (o con un piccolo giogo di legno appoggiato sotto il cuscino del letto in cui esso era adagiato) quando mettere in scena un rito di separazione dalla vita antico quanto il mondo. Si tratterebbe, in questo caso, di una figura che profila i compiti delle divinità psicopompe così frequenti nelle religioni di tutto il mondo e che nella mitologia cattolica assume i tratti dell’Arcangelo Michele.

Continua a leggere “STORIA CONTEMPORANEA n.41: Conversa acabada. Michela Murgia, “Accabadora””

Ero(s)diade le “prossime utopie” di Nino Contiliano

di Franca Alaimo*

Antonino Contiliano, Ero(s)diade / La binaria dell’asiento, Quaderni di “Collettivo R / Atahualpa”, Firenze 2010, pp. 86.

Contiliano appartiene a quella schiera di scrittori che, passando ad occhi aperti sul corpo melmoso e sanguinante del reale, non smette di nutrire prossime utopie: non è forse contenuta nello stesso titolo del suo poemetto (concepito come un attraversamento  per tappe – i singoli testi titolati –  del mondo di ora e di qui ) la risposta all’ “ero diade”?

Continua a leggere “Ero(s)diade le “prossime utopie” di Nino Contiliano”