STORIA CONTEMPORANEA n.52: Stefano Lanuzza, “Maledetto Céline. Un manuale del caos”

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)

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di Giuseppe Panella

Stefano Lanuzza, Maledetto Céline. Un manuale del caos, Viterbo, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, 2010

In un ormai celebre (e forse per questo dimenticato) numero speciale de “Il Verri” uscito nel 1968 e dedicato in gran parte allo scrittore francese, Giuseppe Guglielmi, futuro traduttore e divulgatore dell’opera céliniana, si chiedeva, un po’ ironicamente ma non troppo, “Chi ha paura, oggi, di Louis- Ferdinand Céline ?” (era il numero 26 dalla direzione di Luciano Anceschi). Lo scrittore di Meudon era morto da pochi anni, nel 1961, appena dopo aver terminato l’ultimo volume della Trilogia della guerra, Rigodon (o è una leggenda anche questa? – la vita di Céline è tutta costellata di leggende più o meno provate, più o meno veritiere, più o meno costruite da lui stesso).

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IL PIEDE E L’ORMA (n.1). Rivista diretta da Alfonso Cardamone.

di Francesco Sasso

Le riviste letterarie dovrebbero proporsi come centri di militanza, congiungendo nomi operanti su piani ideologici diversi e capaci quindi di accogliere il nuovo, in cerca delle varie modulazioni artistiche o di un’immagine reale del mondo e dell’uomo. Non sempre è così. D’altronde non è qui il luogo per un’analisi critica delle riviste contemporanee (accademiche o no). E’ d’obbligo però segnalare la nascita di una nuova e interessante rivista: Il piede e l’orma (Pellegrini Editore, n.1, gennaio-giugno 2010) diretta da Alfonso Cardamone.

La rivista esprime nel titolo l’aspirazione ad un utopico mondo in cammino come il piede e l’orma, nati dallo stesso gesto (il cammino, il viaggio), identici eppure contrapposti. Un luogo d’incontro, quindi, e di amalgama di tutte le iniziative e le esperienze nel mondo. Un cammino rapsodico verso la conoscenza della realtà. Scandaglio esplorativo che si estende a vari settori pertinenti alla società (migrazione, guerra, l’islam, colonialismo, esilio, la condizione della donna ieri e oggi).  Infatti le sezioni della rivista percorrono un ideale cammino orizzontale nello spazio (Africa, Australia, Balcani, Iran, Italia, Mediterraneo, Palermo, Turchia) e un cammino verticale nelle idee: città, cronotopie, esili, origini, verso Camus.

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Uno sguardo sulla poesia a Sud e l’”Antigruppo” (4/4): L’Antigruppo siciliano. Saggio di Antonino Contiliano

[Wilfredo Lam, La giungla (1943)]

di Antonino Contiliano

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L’Antigruppo siciliano*

In Sicilia e nel Meridione d’Italia, il progetto era quello che si articolava entro il tessuto e i testi della poesia civile che coniugavano contemporaneamente i motivi delle radici, dell’amore e della pace nel mondo, dell’emigrazione-immigrazione, della nostalgia, della contestazione all’establishment e di tutti gli altri temi che la nuova civiltà moderna e postmoderna ha messo sul tappeto, non escluso il tema del rapporto con la nuova civiltà tecnologica e telematica contemporanea. Non è stato ignorato, nell’ambito dell’importanza dei linguaggi nella società contemporanea, neanche il tema dello sperimentalismo e il dibattito su letteratura, poesia e linguaggio.

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Uno sguardo sulla poesia a Sud e l’”Antigruppo” (3/4): Nord poesia, le scelte dei poeti. Saggio di Antonino Contiliano

[Yves Tanguy, Gli invisibili (1951)]

di Antonino Contiliano

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Nord poesia, le scelte dei poeti*

A nord, invece, le cose seguivano altre indicazioni. Nel nuovo panorama della controversa e preoccupante realtà che si andava profilando e determinando con i nuovi assetti di società del consumo e del consenso amministrati, antiliberale e antidemocratica, i poeti, specie quelli del Gruppo 63, reagivano stravolgendo prevalentemente il linguaggio rendendolo comunicativamente impraticabile o teatro di rivisitazioni retoriche e giochi pirotecnici. Altri tentavano esperienze neoorfiche, neoermetiche, neosimboliche o la via della cosiddetta “parola innamorata” o della “nuova poesia”.

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Friedrich Wilhelm Nietzsche, “Idilli di Messina” e “Ditirambi di Dionisio”

di Francesco Sasso

Prima ancora che poeta, Nietzche è filosofo, sebbene abbia usato la poesia in molti suoi saggi come strumento secondario per far intendere il suo pensiero in tutte le sue più sottili implicazioni. Così come nelle due raccolte poetiche, Idilli di Messina e Ditirambi di Dionisio, è possibile osservare le tracce visibili della sua riflessione filosofica. Non è casuale che Idilli di Messina, scritti a Genova durante la prima metà del 1882, derivano dalle prove poetiche dal quale scaturì il prologo poetico alla Gaia Scienza.

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Uno sguardo sulla poesia a Sud e l’”Antigruppo” (2/4): Punti di contatto e riferimenti. Saggio di Antonino Contiliano

[Fernand Léger, Les constructeurs (1950)]

di Antonino Contiliano

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Punti di contatto e riferimenti*

La situazionalità insulare dei poeti siciliani contemporanei, tuttavia, non ha significato mai isolamento, sebbene le nuove categorie della poesia siciliana – ” l’isolitudine e la sicilitudine “(16) – convivessero con il vecchio mito idillico del buon tempo andato e della civiltà contadina, ripiegata tra angoscia e dolore, fuga e ritorno, esilio e nomadismo e, a volte, lamento e vittimismo. L’isolitudine (espressione coniata dal poeta Lucio Zinna) e la sicilitudine (espressione coniata dal poeta Crescenzio Cane) “Sono due aspetti dell'<insularità> (…). La prima denota l’insularità in dimensione sociologica, la seconda in dimensione esistenziale (…). L’isolitudine emerge ogni qualvolta ci si faccia isola nell’isola, sia nel caso in cui tale situazione appaia esaltante sia nel caso in cui appaia penosa”(17).

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Visioni grottesche dell’inferno in terra. Ivano Ferrari, “Macello”

di Francesco Sasso

Un vigoroso talento, Ivano Ferrari, che ritrae con vivo orrore e sanguinose tinte la morte all’interno di un macello.  Il poeta ha lavorato a lungo in un macello, scrivendo decide e decine di poesie come scialuppe di salvataggio fra la merda, il sangue, le frattaglie e le ossa degli animali uccisi.

Niente addobbi viola
le croci coperte dalle tute sporche
l’incenso deodora altre chiese,
non bruciano candele
solo grasso di cavalli col carbonchio
eppure la santità del sacrificio
avvolge ogni spazio del carnaio
muscoli domati, nervi di scarto
certamente troppo per un dio
con la puzza al naso.

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