QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.83: Tra classicismo e amore per la vita quotidiana. Nicola Prebenna, “Era il maggio odoroso”

Tra classicismo e amore per la vita quotidiana. Nicola Prebenna, Era il maggio odoroso, prefazione di Sandro Gros-Pietro, Torino, Genesi, 2011

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di Giuseppe Panella*

 

Nicola Prebenna sta moltiplicando la propria produzione letteraria in questo periodo della sua vita costruendo i propri libri di poesia come altrettante tappe di un percorso in cui dare conto (e rendere di conseguenza maggiormente fluide, più sistematizzate e comunicabili le proprie idee sul mondo e sulla propria ragion d’essere in quest’ultimo.

Era il maggio odoroso ( : e tu solevi / così menare il giorno…) è citazione diretta da A Silvia di Giacomo Leopardi, un autore che rappresenta sicuramente il punto di riferimento lirico di quest’ultimo saggio poetico di Prebenna. Ma, allo stesso modo, la sua poesia non è lontana da certi accenti lirici novecenteschi e più vicini alla sensibilità dei Moderni come questi versi di Apollinaire:

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Flavio Santi, “Aspettando primavera, Lucky,”

Flavio Santi, Aspettando primavera, Lucky, Edizioni Socrates, 2011, pp.143, €9,00

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di Francesco Sasso

Dimesso eco di Luciano Bianciardi oggi: vuoto, desolazione, vita fiacca, uno stanco naufragio. Ho letto Aspettando primavera, Lucky di Flavio Santi e ho scritto in margine al libretto la seguente osservazione: “che non basta la sincerità in arte”.

In Aspettando primavera, Lucky, il titolo rimanda al noto romanzo di John Fante, si narra la vicenda del giovane intellettuale Fulvio Sant, alter-ego dell’autore, il quale tenta di guadagnarsi la vita con occasionali traduzioni, brevi corsi universitari e discontinue collaborazioni editoriali. Il protagonista non può dedicare molto tempo alla scrittura creativa perché deve lottare per strappare qualche centinaio di euro a grotteschi personaggi del mondo della cultura italiana. Il protagonista Fulvio vorrebbe attuare azioni rivoluzionarie, è tentato ma poi diventa un pacifico ingranaggio della macchina industriale editoriale. Non gli resta, quindi, che raccontare con agile piglio, fra divertimento e amara ironia, la propria generazione di “operai-intellettuali”.

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STORIA CONTEMPORANEA n.86: Storia di morte e d’amore. Brunella Schisa, “Dopo ogni abbandono”

Storia di morte e d’amore. Brunella Schisa, Dopo ogni abbandono, Milano, Garzanti, 2009

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di Giuseppe Panella*


Evelina Cattermole è stata assai più nota con il nome di Contessa Lara, scrittrice di opere poetiche, di testi narrativi e di infinite rubriche su molti giornali quotidiani in cui insegnava alle massaie piccole e ingegnose soluzioni per la vita quotidiana e alle gran dame come evitare errori e ingenuità nella dimensione ufficiale e brillante della vita mondana. Ispirato a un poemetto di George Gordon lord Byron del 1814 che reca come titolo Lara ma è ispirato, tuttavia, al conte di Lara, un pirata spagnolo di origini aristocratiche che sbarca clandestinamente in Inghilterra e qui trova la morte  dopo aver scatenato una rivolta popolare, il suo nome fu a lungo assai popolare in Italia anche per l’alone di scandalo erotico che lo avvolgeva, pronubo una poesia del giovane Gabriele D’Annunzio che ne adombrava una relazione con il suo levriero Isella (“Sta lady Phoebe Cynicythere / Su ‘l damascato letto ampio e profondo: / splende la nudità, nell’ombra, e il biondo / capo sorride di su l’origliere. / Erto su l’esili zampe il levriere / Le lambisce il sen rotondo…”). La sera del 30 novembre 1896, un giovane pittore napoletano, Giuseppe Pierantoni, che aveva vissuto con lei una tempestosa storia d’amore fatta di passione, di gelosie reciproche, di schiaffoni e di pasti consumati in trattorie a poco prezzo, le spara un colpo di pistola che la colpisce all’addome e poi cerca di rivolgere verso se stesso la stessa arma di piccolo calibro con cui aveva colpito la donna.

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“Alimentare ciò che in loro vi è di eterno”. Anonimo, “Il sublime”

“Alimentare ciò che in loro vi è di eterno”. Anonimo, Il sublime, a cura di Giulio Guidorizzi, in Trattatisti Greci, Mondadori, 2008, pp. 235-397

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di Francesco Sasso

Nell’intervista che Harold Bloom rilasciò alla rivista “The Paris Review” (n.118, 1991), leggiamo:

«a mio parere, Aristotele aveva distrutto la critica letteraria occidentale quasi dal principio. Per me la critica letteraria inizia davvero con lo Pseudo-Longino».

Come non essere d’accordo con il critico americano? Leggere (o rileggere) il trattato sul Sublime, composto da un anonimo retore del I secolo d.C, è per noi oggetto di continuo stupore.

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ZANZOTTO COME IO ME LO IMMAGINO, di Giuseppe Panella

 «Significasti allungano le dita, / sensi le antenne filiformi. / Sillabe labbra clausole / unisono con l’ima terra. / Perfettissimo pianto, perfettissimo»

(Andrea Zanzotto, Ecloga I da IX Ecloghe, Milano, Mondadori, 1962»

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di Giuseppe Panella*

Come Blanchot ha fatto con Foucault (sul quale pure ha scritto un libretto splendido), neppure io ho conosciuto di persona Andrea Zanzotto. Lo conosco solo attraverso la sua opera poetica e letteraria (Zanzotto è stato anche autore di magnifici saggi sulla letteratura del Novecento non soltanto italiana  – Aure e disincanti del Novecento Letterario, Milano, Mondadori, 1994, tanto per citarne uno) e attraverso le traduzioni che in epoca più giovanile aveva pubblicato traendole dalla propria vasta conoscenza della letteratura francese (Età d’uomo di Michel Leiris, Nietzsche. Il culmine e il possibile di Georges Bataille – ancora solo un esempio).

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QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.82: Una gioia tanto dolorosa… Italo Testa, “La divisione della gioia”

Una gioia tanto dolorosa… Italo Testa, La divisione della gioia, Massa, Transeuropa, 2010

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di Giuseppe Panella*


La divisione della gioia è traduzione letterale di Joy Division, grande (quanto troppo rapidamente discioltosi nel corso delle sue burrascose vicende) complesso post-punk inglese costituitosi a Salford, nella contea di Greater Manchester, nel 1977. Il nome del gruppo rock derivava dalla denominazione delle baracche femminili dei campi di concentramento nazisti descritti in un celebre libro di memorie, La casa delle bambole, opera di un’ex-detenuto nel lager di Auschwitz che si firmava Ka-Tzetnik 135633 (al secolo Yehiel De-Nur – il suo pseudonimo deriva, infatti, dalle iniziali di Konzentration Zenter seguito dal suo numero personale di matricola tatuato sul braccio sinistro) ed edito nel 1955. Le donne che erano state imprigionate nell’area che portava questo famigerato nome erano utilizzate come prostitute e usate come puri e semplici oggetti sessuali dalle SS e dai soldati tedeschi che stazionavano nel lager. Il testo di una delle canzoni più note dei Joy Division (No love lost) contiene, infatti, un esplicito riferimento al libro.

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STORIA CONTEMPORANEA n.85: Romanzo di formazione. Franco Giarda, “Il ragazzo che amava Jack London”

Romanzo di formazione. Franco Giarda, Il ragazzo che amava Jack London, Faenza (Ravenna), Mobydick, 2009

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di Giuseppe Panella*


Leggere Jack London è stata esperienza comune a tantissimi intellettuali italiani maturati e cresciuti entre (les) deux guerres che hanno attraversato il Novecento. Il mio compianto maestro Eugenio Garin mi confidò una volta che i suoi studi di filosofia erano dovuti particolarmente proprio alla lettura di Martin Eden (il grande romanzo autobiografico dello scrittore americano che affascina anche il protagonista del romanzo di Giarda) perché nell’opera londoniana il protagonista cita e commenta testi e opere del filosofo positivista Herbert Spencer che al pensatore fiorentino parvero fortemente significativi, tali cioè da spingerlo a studiarne e approfondirne l’opera.

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Tiziano Scarpa, “L’ultima casa”

Tiziano Scarpa, L’ultima casa, Transeuropa edizioni, 2011, pp.136, € 12,00

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di Francesco Sasso

 

L’ultima casa, opera teatrale di Tiziano Scarpa, fu rappresentata il 27 luglio 2007 durante il 39° Festival Internazionale del Teatro de La Biennale di Venezia, diretto da Michele Modesto Casarin, messo in scena dalla compagnia Pantakin.

La commedia è incentrata sulle figure di Ahmed (muratore africano), Lucio (muratore italiano), Irina (giovane badante dell’Est europeo), Ivo Mezler (vecchio architetto paralitico), Aba (giovane donna).

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QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.81: Poesia nella lingua dell’Altro. Mihaela Cernitu, “Parole senza posa / Vorbe fără astâmpăr”

Poesia nella lingua dell’Altro. Mihaela Cernitu, Parole senza posa / Vorbe fără astâmpăr, Firenze, Edizioni Novecento Poesia, 2010

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di Giuseppe Panella*

 

Mihaela Cernitu scrive in italiano ma è nata a Craiova, in Romania. La sua lingua madre in cui accuratamente poi traduce i suoi versi italiani è il rumeno, una lingua simile e dissimile in una volta all’italiano che usa per la sua scrittura. Il suo sguardo poetico, dunque, è sempre quello dell’osservatore, di chi guarda dalla finestra il mondo in cui si è ritrovata a vivere e che spesso non riesce a comprendere totalmente. L’oggetto della sua poesia è un’Italia in cui è venuta a vivere e di cui ha prescelto e prediletto cultura e vita quotidiana; la lingua che usa per farlo è un tentativo di conciliare esigenze culturali e consumo usuale delle parole necessarie per farsi comprendere e per comunicare. La poetessa vive allora tra due mondi: quello della scrittura poetica che frequenta abitualmente ma che non esaurisce la sfera delle sue osservazioni umane e culturali e quello della vita quotidiana da cui trae gli spunti per la sua produzione lirica. Scrive, infatti, Franco Manescalchi nella sua precisa Presentazione del volume di Mihaela Cernitu:

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Remainders n.4: Esopo, “Favole”

Esopo, Favole, trad. Elena Ceva Valla, intr. Giorgio Manganelli, Biblioteca Universale Rizzoli, 1998

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di Francesco Sasso


Esopo: nulla di certo si sa sul suo conto; solo che ad Esopo vengono attribuite numerosissime favole di vario carattere: moralistico, narrativo, esortativo e di non molta estensione, che esprimono in tono per lo più leggermente umoristico fatti irreali e fantasiosi, che però hanno una certa aderenza con il mondo degli uomini.

I protagonisti di buona parte di queste favolette sono gli animali (leone, aquila, cavallo, volpe, rana, asino, serpente, scimmia, cane, topo ecc), che con voce e sensibilità umana mettono in ridicolo alcuni aspetti della società degli uomini veri (rancore, furbizia, astuzia, avarizia, cattiveria ecc).

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STORIA CONTEMPORANEA n.84: Notte italiana. Sergio Paoli, “Ladro di sogni. Storia noir di una Milano marginale”

Notte italiana. Sergio Paoli, Ladro di sogni. Storia noir di una Milano marginale, Genova, Fratelli Frilli Editori, 2009

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di Giuseppe Panella*


Anche con questo noir di Sergio Paoli siamo sempre all’interno della “notte e nebbia” della storia italiana di sempre – fatta di servizi segreti, di razzismo esplicito ed eterodiretto, di morte, di pedofilia, di dolore… La Milano di cui si parla nel romanzo, tuttavia, è solo apparentemente marginale. E’ al centro, invece, di un esperimento politico di governo che vede la sicurezza al centro di un dispositivo di controllo generale sulle azioni e sulle coscienze dei cittadini. Il consigliere comunale Denis Monastiroli, parlando con il protagonista del libro, il vice-commissario Federico Marini ora facente funzione di commissario capo, esplicita il contenuto razzista e forcaiolo del nuovo corso politico (di cui è un esponente di rilievo e che è ormai subentrato a livello generale) con un discorsetto semplice semplice e perfino un po’ banalotto ma non per niente meno agghiacciante:

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QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.80: “De profundis”, all’emergere della luce. Eugenio De Signoribus, “Trinità dell’esodo”

De profundis, all’emergere della luce. Eugenio De Signoribus, Trinità dell’esodo, Milano, Garzanti, 2011

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di Giuseppe Panella*


“Ci piaccia o no, noi siamo qui per imparare non tanto ciò che il tempo fa all’uomo ma ciò che il linguaggio fa al tempo”

(Josif Brodskij, Fuga da Bisanzio)

 

«Ombre nel bosco. ombre nel bosco / restate lì, nel vostro folto / onniparvente. // ch’io segua il tenue verde / l’appena luce di mezzo / che fa il sentiero // il sottopresente» (p. 57)

 

Che cos’è il “sottopresente”? Il termine, parola-chiave per la comprensione del complesso e spesso oscuro e criptico percorso, lessicale e formale, di De Signoribus, individua la dimensione della poesia come aurora della Storia e strumento potenziale del suo attraversamento quotidiano.

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