La teoria del crollo. Michele Dalai, Le più strepitose cadute della mia vita, Milano, Mondadori, 2012
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di Giuseppe Panella
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«Si potrebbe pensare che in fondo sono una persona simpatica, che prendere così bene le proprie debolezze non può che essere segno di grande presenza di spirito, di assoluta autoironia. Per nulla. Io mi prendo terribilmente sul serio. Mi prendo sul serio e pretendo che chi è con me faccia altrettanto. Credo che questo combinato disposto tra i miei voli rovinosi e l’esplosione di gioia involontaria che li accompagna sia da interpretare come una severa punizione. Prendersi sul serio è faticoso, ha a che fare con la gravità di gesti, parole e condotta. Anche cadere ha a che fare con la gravità. Cadere e ridere, invece, hanno un legame del tutto casuale e questo modo di far saltare l’equazione spariglia le carte, le disordina mentre io amo l’ordine e la precisione. Infatti la sola idea che “gravità” e “gravità” non vogliano dire la stessa cosa mi turba molto, mi mette le vertigini, ma non sono le vertigini a provocare le mie cadute. Non quelle parossistiche posizionali benigne, non la labirintite, non l’artrosi cervicale, non traumi, non allergie e nemmeno sindromi ansiose. Sono un tipo calmo, io. Cado perché cado e non c’è modo di smettere : questo abbiamo stabilito io e il dottor Zucker del Centro dell’Equilibrio, che frequento da quasi un terzo dei miei trent’anni. Insomma mi chiamo Antonio Flünke e ho seri problemi con l’equilibrio in ogni sua accezione, non bastassero quelli con le equivoche gravità»[1].