Gianni Bonina, “Busillis di natura eversiva”: la politica in scena tra farsa e tragedia

Gianni Bonina, Busillis di natura eversivaGianni Bonina, Busillis di natura eversiva, Barbera editore, 2008, pp.189, € 14,00

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di Giovanni Inzerillo

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«Un paesino montano inscena il teatro, o teatrino, della storia non scritta dei Cruise in Sicilia, storia non vera ma verosimile e perciò come avvenuta: dramma o sceneggiata, opera dei pupi o pantomima di un destino collettivo. Molto siciliano. E dunque italiano.»

Così recita la quarta di copertina dell’esordio narrativo di Gianni Bonina (più recente è il romanzo dal titolo I sette giorni di Allah, Sellerio 2012) edito in origine dalla casa editrice Lombardi e poi ripubblicato per i tipi dell’editore Barbera.

L’arrivo del terrorista Monti a Roccasalva, come a richiamare la storia del palazzeschiano Perelà, apre la vicenda e scatena un funambolico susseguirsi di eventi: scuote il piccolo paese da sempre assuefatto alla statica immobilità del tempo; rompe l’omertoso silenzio dei suoi abitanti; turba le in-coscienze di potenti e prepotenti abituati alla rassegnata adulazione di popolari attenzioni. Come forze concomitanti, ma opposte, si scontrano Mafia e Terrorismo, di cui vengono messe in risalto le ideologie più che le ripercussioni. Ne nasce un busillis, un grattacapo, una questione ingarbugliata, dove si confondono le più svariate realtà geografiche – Sicilia, Roma e persino America –  e impronte culturali; perché in Sicilia, piccolo paese o grande città che sia, non esiste certo una sola peculiare identità e perché, citando le parole di Sciascia poste non a caso a epigrafe introduttiva, «la sola cosa che della Sicilia oggi si capisce è che non si capisce niente».

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GLI “AFFARI DI CUORE ” DI PAOLO RUFFILLI. Sogni e materia dell’amore. Saggio di Giuseppe Panella

 Barricate_Cop08_dgt«Per pronunciare davvero il sublime, penso che occorra partire dal calco, dall’orma, da una traccia sottile. Per una legge dell’inversamente proporzionale: quanto più è basso il tono, tanto più alto è l’effetto. Non è che intenda, per carità, rinunciare alla “grandezza” delle cose. Ma trovo giusto rilevarla nella loro “piccolezza”. E mi piace soffiarci dentro quell’arietta frizzante che fa, del castello di Atlante, l’attracco delle astronavi per il resto dell’universo» (Paolo Ruffilli, Appunti per una ipotesi di poetica).

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di Giuseppe Panella

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GLI “AFFARI DI CUORE ” DI PAOLO RUFFILLI. Sogni e materia dell’amore

1. Ruffilli, ieri

Fin dalla sua prima opera (La quercia delle gazze, Forlì, Editrice Forum, 1972), la sostanza trasversale della scelta lirica di Paolo Ruffilli è ben chiara al suo lettore: dal suo viaggio in Grecia, apparentemente legato e frutto di una temperie spirituale di tipo romantico, il poeta ricava la convinzione che il mito non è più sostanza delle cose e di esso non si può fare che uno scavo interno, critica immanente e devastata, definizione archeologica del passato che è inerte nel presente. Ma già dal suo secondo libro (Quattro quarti di luna, sempre Forum di Forlì – l’anno è il 1974), i tempi ritmici e le cadenze toniche della sua poesia mutano. Non bisogna dimenticare, infatti, che il libro di poesia italiana più amata dal poeta trevigiano  resta (e resterà indenne nel tempo) proprio Satura di Eugenio Montale, la raccolta che segnò il ritorno di quest’ultimo alla poesia e uno dei testi più discussi e contrastati del suo percorso poetico. Non a caso è proprio in questo volume montaliano tardo che, a differenza degli episodi precedenti della sua storia lirica, avviene l’abbandono del linguaggio più rarefatto e linguisticamente alto delle opere precedenti a favore di uno stile più orientato verso il parlato e il quotidiano – uno “spartiacque” della poesia del Novecento, come dichiara autorevolmente anche Daniele Maria Pegorari, nella sua Introduzione al bel volume di Giovanni Inzerillo, l’unico finora dedicato a Ruffilli (La virtù della frivolezza. Saggio sull’opera di Paolo Ruffilli,  Bari, Stilo Editrice, 2009) e suo mentore editoriale.

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I LIBRI DEGLI ALTRI n.55: Lucido e spietato, sognatore dell’Altro, artefice del Sé. Salvatore Martino, “La metamorfosi del buio (poesie 2006-2012)”

Salvatore Martino, La metamorfosi del buio (poesie 2006-2012)Lucido e spietato, sognatore dell’Altro, artefice del Sé. Salvatore Martino, La metamorfosi del buio (poesie 2006-2012), prefazione di Donato di Stasi, Milano, La Vita Felice, 2012

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di Giuseppe Panella

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Salvatore Martino compie nel suo nuovo libro un “viaggio di vita e conoscenza”, un tentativo di andare oltre la pura poeticità della tradizione lirica per sfondarne le esili pareti liristico-biografico e cercare nella “notte oscura” dell’anima la verità di una visione totale.

La metamorfosi del buio scava l’inferno interiore, la più remota origine dell’essere, l’atra abissalità, con il ritmo insistente dei suoi versi, con il pieno della sua ruvida musicalità, con la sua abilità di saper tessere insieme saperi diversi (il mito e la postmodernità), codici differenti (gergo scientifico e letterarietà), secondo una visione plurima e borgesianamente unitaria dell’enciclopedia fattuale e cosale” – scrive Donato di Stasi nella sua densa Prefazione al volume di poesie di Salvatore Martino che, non certo a caso, reca come titolo il titolo paolino di Videmus nunc per speculum et in aenigmate – e poi aggiunge: “La via d’uscita dalla genericità poetologica viene individuata nella sapiente combinatoria degli stili, nella somma di polarità opposte (distesa narratività e condensata liricità, crudo espressionismo e rastremato canto elegiaco pro natura): Salvatore Martino sa emanciparsi dallo sterile mimetismo del reale, interpretandolo e ricostruendolo su piani differenti, attraversandolo, dissolvendolo per aprirsi la via all’impenetrabile, al buio che va metamorfosato in presenza di una forte istanza di progettazione dell’agire, perché si tratta di spezzare l’incantesimo dell’insignificanza e del caos che inondano con il loro vuoto e spengono la vita”[1]. Si tratta, di conseguenza, di scrittura fatta di una potente irrealizzazione della realtà, dunque, scavo del quotidiano per raggiungere una profondità che lo riscatti e lo consacri contro se stesso.

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Il gioco della vita nelle “Carte” di Francesco De Napoli

Francesco De Napoli, Carte da giocoFrancesco De Napoli, Carte da gioco. Trilogia dell’infanzia. Prefaz. di Mario Santoro. Testimonianze di Massimo Grillandi e Giorgio Bàrberi Squarotti. Osanna Edizioni, Venosa, 2011, pp. 72

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di Paolo Ruffilli

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Francesco De Napoli ha opportunamente riunito in un unico libro tre poemetti, usciti in tempi diversi: L’attesa (1987), La casa del porto (1994-2002) e Carte da gioco (2001). Ne risulta un’operetta compatta e coerente, di intonazione poematica, che ha preso il titolo complessivo di Carte da gioco (Osanna Edizioni, 2011, pp. 72), introdotta da un’ampia e circostanziata prefazione di Mario Santoro.

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I LIBRI DEGLI ALTRI n.54: La vita, i ricordi, il dolore che è stato dimenticato. Ivano Porpora, “La conservazione metodica del dolore”

Ivano Porpora, La conservazione metodica del dolore,La vita, i ricordi, il dolore che è stato dimenticato. Ivano Porpora, La conservazione metodica del dolore, Torino, Einaudi, 2012

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di Giuseppe Panella

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Il primo romanzo di Ivano Porpora, noto blogger ed esperto di tecniche di comunicazione su Internet, rappresenta un tentativo molto ambizioso di collegare analisi della visione del mondo attraverso la fotografia e tecnica di recupero del ricordo, rappresentazione grafica del passato e storia personale (con evidenti quanto volutamente sfumati agganci probabilmente autobiografici). E’ la storia di una vita che passa attraverso le dieci fotografie senza titolo che dovrebbero andare a formare il mosaico di una mostra dal titolo emblematico di Omissis e di cui il protagonista, Benito Allegri, non ricorda più le occasioni, le motivazioni, gli spunti da cui sono nate.

Titolare di uno studio fotografico in cui lavorano l’amico Mario e l’ex-fidanzata Donata, la sua grande (e forse ultima) occasione di affermazione pubblica è l’esibizione che dovrebbe tenere alla Fondazione Forma per la Fotografia di Milano, un luogo mitico per gli appassionati di questo tipo di produzione artistica. Ma la sua memoria si rivela sempre fallace: è dal 1979 che praticamente non riesce a ricordare più nulla, complici soprattutto le frequenti crisi di epilessia di cui soffre.

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Raoul Vaneigem, “Avviso agli studenti” – Liri Press – Officina di controeditoria

La scuola sta tra il vecchio ed il nuovo mondo: tra il mondo capitalistico che bandisce il desiderio e mercifica ogni cosa ed il mondo della creatività, in cui il diritto alla felicità di ognuno sarà garantito da una cultura della vita. A differenza di Illich, Raoul Vaneigem non auspica dunque, in questo pamphlet del 1995, la descolarizzazione della società, ma si appella agli studenti ed agli insegnanti affinché lottino per aprire la scuola, per trasformarla dall’interno, sottraendola alla logica aziendalistica ed affermando, contro la logica egli affari, un insegnamento inteso come atto vitale.

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FONTE: Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti | Liri Press | Officina di controeditoria.

Lorenzo Sani, “Più sangue, Larry”: le dinamiche del giornalismo moderno

Lorenzo Sani, Più sangue, LarryLorenzo Sani, Più sangue, Larry. Vita improbabile di un cronista di provincia, Laterza, 2006, pp. 263, € 9,50

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di Giovanni Inzerillo

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La notizia del brutale omicidio del tassista Roberto Tossani, uomo morigerato e dal carattere pacifico, sconvolge la vita tranquilla di un piccolo paese in Romagna e Larry, giornalista di una testata locale, dapprima inviato in loco per la stesura di un articolo sul club del liscio per la pagina vacanze, si trova coinvolto, suo malgrado, in un caso di cronaca nera. Perché, giornalisticamente parlando, di notizie «ne arrivano sempre di più e oggi ne arrivano talmente tante che non ci sarebbe nemmeno bisogno di andarsele a cercare».

Si dispiega così un caso giornalistico più che poliziesco. Accidentalmente infatti, e senza che l’attenzione si focalizzi sulle indagini giudiziarie vere e proprie, vanno via via componendosi le dinamiche del fatto, i retroscena, i primi sospetti poi definitivamente concentrati sulla figura di Ruben Incerti, una guardia giurata il cui ritratto di disperato, depresso e aspirante suicida cede presto il posto a quello di un potenziale serial killer: «Una persona senza speranza, già condannata e, per questo motivo, estremamente pericolosa» la cui «volontà suicida si trasforma e si trasferisce su uno sconosciuto».

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IL TERZO SGUARDO n.45: Mantegazza, lo scienziato iconoclasta. Monika Antes, “Misurare l’amore. Paolo Mantegazza scienziato del sesso”

Monika Antes, Misurare l’amore. Paolo Mantegazza scienziato del sessoMantegazza, lo scienziato iconoclasta. Monika Antes, Misurare l’amore. Paolo Mantegazza scienziato del sesso, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2013

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di Giuseppe Panella*

 

Le carte di Paolo Mantegazza (oggi conservate nel Museo fiorentino di Storia Naturale di via del Proconsolo al numero 12, nel cosiddetto Palazzo Nonfinito), sono quel che è ancora oggi più importante da esaminare dell’opera del padre dell’antropologia medica italiana e del lascito di quello che fu uno degli studiosi più famosi del costume della società e dei caratteri originari della soggettività umana in settori che venivano considerati all’epoca del tutto marginali e, forse peggio, rimanevano pur sempre gravati da un pesante interdetto di carattere morale, non sono state ancora esplorate, classificate e analizzate con la necessaria completezza e l’adeguata profondità di vedute.

Si tratta di un lavoro appena iniziato ma che può portare ad analisi storiche e filologiche, a scoperte scientifiche e a conclusioni ancora tutte da verificare.

Su Mantegazza, indubitabilmente, c’è ancora molto da dire, da scrivere e da studiare.

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Marina Pizzi, “Un gerundio di venia” & Marina Pizzi, “La giostra della lingua il suolo d’algebra”

Marina Pizzi, Un gerundio di veniaMarina Pizzi, La giostra della lingua il suolo d’algebra

Marina Pizzi, Un gerundio di venia, postfaz. Alessandro Baldacci, Oèdipus, 2012, pp.44, € 8,00. Marina Pizzi, La giostra della lingua il suolo d’algebra, Prefaz. Alessandra Pigliaru, Postfaz. Enzo Campi, Smasher edizioni, 2012, pp.141, € 13,00

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di Francesco Sasso

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Sebbene queste note non pretendano a nessuna completezza, ci pare ingiusto passare sotto silenzio i due ultimi libri di Marina Pizzi: Un gerundio di venia (Oèdipus, 2012) e La giostra della lingua il suolo d’algebra (Smasher edizioni, 2012). L’impressione che si prova a leggere questi due volumi è di vedere confluire in essi e cristallizzarsi l’esperienza intima del poeta. Ho già scritto in una precedente recensione come l’Opera della Pizzi è un work in progress disperso in libri e e-book vari. Nella sua postfazione a La giostra della lingua il suolo d’algebra, Enzo Campi ha benissimo caratterizzato lo spirito con il quale Pizzi colleziona libri:

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I LIBRI DEGLI ALTRI n.53: La densità della scrittura poetica. Giovanna Iorio, “In-chiostro”

Giovanna Iorio, In-chiostroLa densità della scrittura poetica. Giovanna Iorio, In-chiostro, Grottaminarda (Avellino), Delta 3 Edizioni, 2012

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di Giuseppe Panella

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La poesia è composta esclusivamente di parole disposte sulla pagina (il come questo avvenga nelle forme più diverse – lo dimostra la storia della tradizione lirica non solo occidentale – non elimina la necessità e l’uso delle parole composte tipograficamente e la loro rappresentazione segnica).

Allo stesso modo, le parole composte sulla pagina non sono solo il frutto dell’incontro dell’inchiostro tipografico utilizzato e della carta su cui si imprime il suo segno ma rappresentano il corpo dell’autore che le hanno prima concepite come flusso del suo desiderio e parto della sua emozione vivente. Lo rivela la stessa Iorio nella prima poesia della sua raccolta, il testo che scandisce significativamente il successivo passaggio delle emozioni e dei sogni che configurano la realtà della sua scrittura e ne perimetra con attenzione i limiti (molto precisi e attenti) della sua poetica in nuce, presentandosi con l’apparenza di un vero e proprio “manifesto di poesia”:

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