L’impronta del tempo, i segni del destino. Michele Brancale, Rosa dei Tempi, prefazione di Gianni D’Elia, Firenze, Passigli, 2014
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di Giuseppe Panella
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A distanza di cinque anni dalla sua ultima raccolta di un certo impegno (Salmi metropolitani editi dalle Edizioni del Leone di Venezia, con una bella postfazione di Antonio Tabucchi), Michele Brancale ritorna alla poesia con una silloge di notevole spessore lirico e di forte coinvolgimento culturale e umano (e, aggiungerei senza tema di smentite, con una forte spinta di carattere religioso). Scrive Gianni D’Elia nella sua prefazione al libro, un testo in cui il poeta marchigiano dimostra un interesse condiviso e appassionato per l’impresa poetica di Brancale, che:
«Rosa dei tempi ha una struttura da antico canzoniere medievale, da calendario cristiano, da oroscopo religioso, da breviario liturgico, da diario confessionale. Citando i cantari bizantini, Brancale organizza molto bene il suo messale ideologico, evangelico, convinto, alternando al canone delle stagioni climatiche e naturali il rovello intorno al male storico e sociale, là dove i bambini, i vecchi partigiani e gli immigrati sono i suoi eroi del racconto. A volta rischia l’edificante e il poetico, come Manzoni, che mi sembra il suo modello urbano, come Campanella è il cittadino ideale, il cantore del sole divino. Un modello di orientamento forte, tra Storia e Natura, Dio ed uomo, nel vento dell’Apocalisse : una ‘Rosa dei Tempi’, appunto. Le cose migliori di questo canzoniere – la cui gran parte poteva benissimo essere stesa in prosa, dato che qui comanda la frastica, sulla metrica, come nei versetti biblici – sono quelle perlustrazioni di città o di campagna, quando l’immersione nelle cose sembra far nascere i concetti dalle immagini, e non il contrario, che mi pare praticato per tutto il libro»1.