Sergente nella neve e Ritorno sul Don: nutrirsi in guerra e in pace
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di Domenico Carosso
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Il limite intrinseco, invalicato e invalicabile, delle mie paginette, è che non ho mai incontrato Rigoni, né visto o visitato i suoi luoghi, i luoghi della Grande Guerra, e della Seconda. Per tutto ciò rinvio alle osservazioni di Eraldo Affinati, nel «Meridiano» dedicato al classico che è non da ora, ma fin dal primo libro, Il Sergente nella neve Mario Rigoni Stern.
Il Sergente nella neve, uscito la prima volta (anno 1953) nei famosi Gettoni curati da Vittorini, con un giudizio che lo accoglie e insieme lo respinge («MRS non è uno scrittore di vocazione») è il racconto sobrio e testimoniale, la cronaca quasi, della vicenda degli alpini in Russia, nel corso della Seconda guerra mondiale. Diviso in due parti, dai titolo rispettivamente de “Il caposaldo” e “La sacca”, cioè la postazione prima tenuta, poi perduta dai soldati chiusi in un cerchio di neve, gelo e fuoco.
Il libro di MRS, pubblicato con straordinario successo da Einaudi e ancora a disposizione dei lettori, è ormai un classico, per la lingua forte e concreta, priva di qualsiasi retorica, che lo attraversa e lo colma di esempi attivi e solidali, tra amici e anche coi nemici.
Dunque, «le pallottole battevano sui reticolati mandando scintille. Improvvisamente tutto ritornò calmo, proprio come dopo la sagra tutto diventa silenzioso e nelle strade deserte rimangono i pezzi di carta che avvolgevano le caramelle e i fiocchi delle trombette. Solo ogni tanto si sentiva qualche fucilata solitaria e qualche breve raffica di mitra come le ultime risate di un ubriaco vagabondo».
Un paragone, un confronto tra il fuoco micidiale degli spari e le innocue trombette, tra le scintille e i pezzi di carta della festa ormai giunta al termine – un confronto che propone, in modestia e quasi sottovoce, l’inevitabile distanza tra il lettore col libro in mano e i soldati presi nel morso tenace della neve e del gelo.
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