SPECIALE GUIDO MORSELLI n.24: “Guido Morselli, lo scrittore che aveva previsto tutto”. «Wired.it»

[RASSEGNA STAMPA SU GUIDO MORSELLI, a cura di Francesco Sasso]

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Nei giorni di chiusura totale, c’è un autore da riscoprire per capire l’inimmaginabile presente: Guido Morselli, con i suoi romanzi distopici di umanità compromessa, tra sesta estinzione e ideologie in crisi. Scritti oltre 50 anni fa.

di Alessandro Raveggi

I molti giorni già passati di quarantena ci permettono di guardare le cose da una certa distanza. Sono così emerse alcune delle ragioni per le quali stiamo vivendo l’attuale epidemia del coronavirus, e perché così violentemente in alcune zone del Nord Italia. Sicuramente ci sono fattori antropici (la globale ed eccessiva interazione tra uomini e animali, spesso selvaggi, già spiegata da David Quammen in Spillover) ed ambientali (in particolare l’inquinamento atmosferico, forte nella Pianura padana) mentre altri ancora imputano la diffusione del virus in Italia alla mancanza del rispetto delle regole, ma nessuno ha la certezza di nulla, al momento.

Andando a scorrere le infauste notizie di questi giorni, a tornare in mente è uno scrittore: Guido Morselli. E chi è, diranno alcuni di voi. È un autore leggendario, Morselli, dimenticato per decenni e più volte riesumato come caso unico nel Novecento italiano. Era tra l’altro il figlio di uno dei più importanti dirigenti della farmaceutica Carlo Erba, che all’inizio del Novecento fece la storia dell’industrialismo italiano. La famiglia Morselli fu poi una di quelle colpite dalla febbre spagnola: la madre morì nel 1924 per gli effetti di quell’epidemia del 1918. Studente svogliato, Morselli Jr. disattese le aspettative del padre, che lo voleva dirigente. Si dedicò alla scrittura, sia giornalistica che di finzione, anche grazie alla disponibilità economica della famiglia. Passò molta della sua vita nella oggi mitica Casina Rosa di Gavirate, suo eremo prediletto sul Lago di Varese. E, da autore, la stessa vita fu funestata da una serie inenarrabile di rifiuti editoriali, alcuni anche prestigiosi (come quello celebre di Italo Calvino). Un giorno d’estate del 1974 Guido decise l’indecidibile: si dette la morte con una pistola Browning, che lui stesso definì nei suoi diari “la ragazza dall’occhio nero”. Ma sono i libri di Morselli, tutti postumi e pubblicati quasi tutti da Adelphi edizioni, che ci raccontano il presente che stiamo vivendo.

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Solidarietà digitale

Il Saggiatore. Sono giorni di solitudine forzata, ore lunghissime e incertezza. Purtroppo non possiamo fare molto per alleviare la vostra preoccupazione, se non regalarvi quello che abbiamo e che per noi è più prezioso: i nostri titoli, le nostre parole, le nostre storie. A cadenza regolare troverete in questa pagina un ebook da scaricare gratuitamente.

Qui l’iniziativa

SPECIALE GUIDO MORSELLI n.23: “Quando ci scoprimmo soli”. «Il Foglio»

[RASSEGNA STAMPA SU GUIDO MORSELLI, a cura di Francesco Sasso]

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L’impatto emotivo delle strade e delle città deserte. Come se tutti “gli altri” fossero scomparsi. La nostra responsabilità di non disertare la vita. Rileggere “Dissipatio H. G.” di Guido Morselli –

di Maurizio Crippa

“Relitti fonico-visivi mi tengono compagnia, e sono ciò che di più diretto mi rimanga di ‘loro’”.   Fu la mattina di martedì 10 marzo 2020 che le persone scomparvero. Tutte. Ma già nel tardo pomeriggio del 9 marzo, il lunedì, verso l’ora che nel mondo di prima era sempre stata dell’aperitivo e dei selfie con aperitivo, cominciarono a comparire sui social, più lesti di tutti, un nuovo genere di fotografie. Le foto vuote. Disinfettate dalla presenza umana.

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SPECIALE GUIDO MORSELLI n.22: “TUTTO COMINCIÒ CON UNA MALATTIA…”. «Pangea»

[RASSEGNA STAMPA SU GUIDO MORSELLI, a cura di Francesco Sasso]

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di Linda Terziroli

L’inizio della fine.

Vivere dentro questi giorni che si assomigliano, uno dopo l’altro, come grani scuri di un rosario. Incatenati a un’asfissiante quarantena forzata. Nel paradossale riposo obbligatorio, nella casa che diventa prigione, il nido una gabbia, la camera un’urna. Si possono fare le prove per la fine del mondo. La letteratura, oggi come ieri, è panacea, anestetico, specchietto da borsa a disposizione, ancora in commercio (per chi osa sfidare la vita, voltando le pagine di un romanzo).

“La fine del mondo?

Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell’uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. (…) Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro”.

Il profetico romanzo Dissipatio H.G. di Guido Morselli concepito nel 1973, pochi mesi prima del suicidio, era stato rispedito, dalle case editrici, al mittente. La busta con il romanzo oscillava dalla cassetta della posta, quella terribile calda notte di fine luglio. La pistola Browning, 7 e 65, silenziosa e piccola protagonista di una vita, fedele compagna dei suoi romanzi, Guido Morselli la toglie dalla coperta militare in cui, da sempre, è avvolta, poi la estrae dalla custodia di cuoio. Lo scrittore solitario e schivo decide di togliersi la vita, di togliersi di mezzo, una volta per tutte. E il suo romanzo, postumo, trova la sua strada di pubblicazione, con Adelphi, nel 1977.

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La poesia, l’amore. Autori italiani contemporanei versus Catullo

Vincenzo Guarracino (a cura di), Lunario dei desideri, Di Felice Edizioni, 2019, pp. 356, € 25,00

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di Stefano Lanuzza
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Supponendo di sapere di cosa si parla, accade alfine di parlare di poesia, questa espressione/interpretazione di un ‘certo sentimento della realtà’, magari identificandola non genericamente con, poniamo, i nostri amati Dante Petrarca Ariosto Pascoli D’Annunzio Montale… Allora si può parlare di poesia quasi come parlando d’amore?

Certo “la poesia” reputa un fin troppo trasvalutato Benedetto Croce “è stata messa accanto all’amore quasi sorella e con l’amore congiunta e fusa in un’unica creatura”. Senonché, “se la realtà tutta si consuma in passione d’amore”, può accadere che la poesia risulti “piuttosto il tramonto dell’amore”. Ne consegue, a evitare ciò, che “dentro la poesia deve lavorare e lavora la critica”; dove “la metaforica critica” può identificarsi con “la poesia medesima, che non compie l’opera sua senza autogoverno, senza interno freno, ‘sibi imperiosa’ (per adottare il motto oraziano), senza accogliere e respingere, senza provare e riprovare, operando ‘tacito quodam sensu’; finché non perviene a soddisfarsi nell’immagine espressa dal suono” (B. Croce, La poesia. Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura, 1936). Così è vero che la poesia abbia un rapporto con la critica e si possa riconoscere al poeta una vera funzione critica: si pensi allora alla Commedia dantesca che, dopo avere svolto la più corrosiva critica politica e morale, tutti ci affida alla poesia dell’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, v. 145).

Per Catullo, poeta ‘contemporaneo’ come contemporanea è ‘tutta’ la poesia, lirico alessandrino e primo tra quei Poetae novi o ‘neoteroi’ ostili ad ogni retorica epica, si può parlare di poesia e amore aderendo al ‘desiderio’ materiale-sensuale per qualcosa di cui si può godere come di un’epifania che intriga e vuole esprimersi nel verso. Apparirebbe proposto in tali termini e, appunto, intestato a Catullo l’almanacco antologico, prevalentemente elegiaco, Lunario dei desideri (Di Felice Edizioni, 2019, pp. 356, € 25,00) curato da Vincenzo Guarracino, poeta ed eccellente italianista e classicista.

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IL SUBLIME RIVENDICATO: ADORNO E LA VERITA’ DELLA BELLEZZA (ottobre, 2008) [In memoria]

[Ogni primo del mese segnaleremo alcuni saggi del Prof. Panella usciti su RETROGUARDIA da gennaio 2008 a oggi. (f..s.)]

di Giuseppe Panella

 

[Le annotazioni e le riflessioni sull’estetica di Theodor Wiesegrund-Adorno che seguono sono il frutto di un lavoro condotto insieme a Tomaso Cavallo e a Giovanni Spena nel corso di una serie di incontri su Filosofia e Letteratura tenuti nell’ambito del programma dell’Associazione fiorentina “Quinto Alto” per il 2000-2001. Questa doverosa precisazione dovrebbe bastare a render conto del carattere non sistematico (anzi, sovente episodico se non rapsodico) e parziale della mia riflessione sul pensiero di Adorno. Ma si trattava in quel contesto di scambi, sondaggi e progetti di interpretazione: un dialogo sul pensiero del filosofo di Francoforte per il quale sono grato di aver interagito teoricamente con Cavallo e Spena e di aver potuto confrontarmi con ascoltatori “eccellenti” quale Gaspare Polizzi. G.P.]

1. La posta in gioco: la possibile natura della bellezza

“Tutto ciò che è essenzialmente bello è sempre ed essenzialmente, ma in gradi infinitamente diversi, connesso all’apparenza. Questo rapporto tocca la sua massima intensità in ciò che è propriamente vivente, e proprio qui nella chiara polarità di apparenza trionfale e apparenza che si spegne.Vale a dire che ogni essere vivente, e tanto più, quanto più alta è la sua vita, è sottratto all’ambito della bellezza essenziale, e in ciò che vive questo bello essenziale si rivela quindi più che mai come apparenza.Vita bella, bellezza essenziale e bellezza apparente sono termini identici. In questo senso proprio la teoria platonica del bello si ricollega al problema ancora più antico dell’apparenza in quanto si rivolge – secondo il Simposio – anzitutto alla bellezza vivente dei corpi. Che se questo problema rimane latente nella speculazione platonica, ciò dipende dal fatto che per Platone, come greco, la bellezza si espone almeno altrettanto essenzialmente nel giovane come nella fanciulla, mentre la pienezza della vita è maggiore nella donna che nel maschio. Ma un elemento di apparenza rimane anche in ciò che è meno vivo, quando sia bello essenzialmente. E questo è il caso di tutte le opere d’arte – della musica meno che di ogni altra. Rimane quindi, in ogni bellezza artistica, quell’apparenza, quella contiguità e vicinanza alla vita, senza la quale nessun’arte è possibile. Ma questa apparenza non esaurisce la sua essenza”. (Walter Benjamin, “Le affinità elettive“, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, trad. it. e cura di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1976, pp.224-225).

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