ESERCIZI DI LETTURA: Borges, Macedonio e la Belarte

Borges, Macedonio e la Belarte.

Macedonio Fernández «precursore» di Borges in un saggio di Daniel Attala

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di Gustavo Micheletti

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Quando in qualche scritto si parla di Macedonio Fernández è ormai invalsa la consuetudine di chiamarlo per nome, al contrario di quanto si fa normalmente con tutti gli altri autori dotati di un cognome. Si deve probabilmente a Jorge Luis Borges quest’abitudine, che contribuisce a rendere Macedonio subito familiare a chi si avventura nei suoi scritti, sebbene contengano tesi desuete e assai sorprendenti.

Borges eredita l’amicizia di Macedonio da sua padre, ma ancor prima di essere un suo amico, Macedonio fu per lui un maestro influente, tanto da indurlo a rilevare che nessuna persona famosa lo aveva “mai impressionato come lui, neppure in modo analogo. Cercava di nascondere, non di sfoggiare, – scrive Borges – la sua straordinaria intelligenza; parlava come ai margini del dialogo, eppure ne era il centro. Preferiva il tono interrogativo, il tono di modesta consultazione, piuttosto che l’affermazione magistrale. Non pontificava mai: la sua eloquenza era di poche parole e perfino di frasi lasciate a mezzo. Il tono abituale era di cautelosa perplessità”.1 L’insieme di queste ed altre prerogative del suo amico e maestro lo porteranno poi a dire, e lasciar scritto sulla sua tomba, che il non imitarne il canone, letterario e filosofico, avrebbe costituito “un’imperdonabile negligenza”.2

Macedonio, dal canto suo, “paragona Borges al poeta spagnolo J.R. Jimenez: «tanto intelligente quanto dolorante di passione e vita, che sembra preoccuparlo». L’intelligenza è in effetti, secondo Macedonio, l’unico talento di Borges visibile nella sua letteratura; si tratta però, a suo avviso, di “un talento pratico, d’una muscolatura dell’anima senza interesse per l’Arte, né più né meno che le capacità dell’atletismo”.3

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Personale d’Arte figurativa di Stefano Lanuzza: 28 ottobre – 28 novembre 2020

28 ottobre – 28 novembre 2020

Personale d’Arte figurativa di Stefano Lanuzza

Galleria “La Cornice” – Lugano Via Giacometti 1, Lugano

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di Mario Lunetta

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Tra pittura e letteratura

Molta parte dell’opera pittorica di Stefano Lanuzza è stata esposta nel 1999 presso il Museo d’Arte Moderna Gazoldo degli Ippoliti di Mantova con titolo, sguincio e allusivo, di L’arte della notte. Oltre che artista figurativo, l’autore è poeta di gran tempra, narratore e critico di straordinaria sagacia; e coltiva nel suo ricco immaginario più di un côté notturno, noir e sulfureo.

Della sua pittura d’insolita risonanza, avventurosa e impacificata, cresciuta nello sradicamento del senso e nell’ictus d’una frattura fondamentale della coscienza, ha scritto il poeta Alberto Cappi: “Da fondali di città o piazze straniate, da atmosfere liberty, da icone di uccelli rapaci, da terrifici sembianti, da nudi metamorfici, passando per tracce mitologiche, per echi letterari, per voci plastiche o figurative, il gesto dell’artista diviene febbricitante animando le posture come il guizzo cromatico. Gli sono vicino a volte il furor di Grünewald, oltre l’immaginario nero di Goya, ma ancor più una danza quasi ieratica, egizia ed etrusca, il cui coreografo corrisponde al nome di Savinio” (cfr. L’arte della notte. L’opera figurativa di Stefano Lanuzza. 16 maggio-6 giugno 1999 / Mantova, Museo d’Arte Moderna Gazoldo degli Ippoliti).

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Educazione e formazione

a cura di Francesco Sasso

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Sui temi dell’educazione e della formazione allo stato attuale, sono più interessanti le ricerche e gli studi con approcci pluridisciplinari (antropologia, sociologia, neuroscienze, linguistica, semiologia, cibernetica, ecc.) che i contributi che ci vengono propriamente dalla pedagogia. Tra i lavori che fanno capo ad alcuni dei suddetti approcci, vorrei citare:

G.Bateson il quale si oppone a quella che chiama l’arroganza della scienza, indotta dalla stessa evoluzione tecnologica, e sostiene il valore dell’umiltà, non soltanto sotto il profilo etico, ma anche e soprattutto sotto il profilo epistemologico. Da segnalare di questo studioso, fondatore del Mental Research Istitute di Palo Alto (California), Verso un’Ecologia della Mente, Milano, 1976.

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Le parole della fantasia – Cento anni di Gianni Rodari (Podcast)

Le parole della fantasia – Cento anni di Gianni Rodari 

#01 I ferri del mestiere

#02 Il duello di parole

#03 Se a Reggio Emilia ci fosse il mare

#04 Giocattoli di parole #05 Cappuccetto giallo e l’insalata di favole

#06 Il ragioniere delle favole e le carte di Propp

#07 L’uso della parola a tutti: la scuola secondo Gianni Rodari

#08 Di che materia sono fatte le storie?

#09 Torte in cielo e paesi sbagliati

#10 La grande ditta: uno scrittore per ragazzi tra le star dell’Einaudi

#11 Ho visto un prato verde verde verde

#12 La freccia dell’immaginazione

#13 Repubblica e fate

#14 Collodi e Rodari

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L’AMO, LA LETTURA: 26 settembre / 11 ottobre 2020

[Riceviamo e volentieri pubblichiamo (f.s.)]

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L’AMO, LA LETTURA

Genova, Palazzo Ducale – Sala Ducale Spazio Aperto

26 settembre / 11 ottobre 2020

inaugurazione 25 settembre ore 18

 

Una mostra e un volume celebrano con sguardo sorridente l’universo dei lettori, degli scrittori, degli editori, dei librai, dei critici. Così, tra giochi di parole e calembour visivi, l’oggetto-libro si rivela anche una fonte inesauribile di delicate capriole umoristiche.

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Emilio Villa / Paolo Volponi / Umberto Saba

1) This article aims to identify the numerous quotations from sacred texts appearing in Emilio Villa’s 17 variazioni. Indeed, the 1955 collection of poems offers a wide range of references to Biblical sources and archaic cosmogonic myths, ancient symbologies and eschatological conjectures. The poet is both the translator and the interpreter of these texts, which the collection mixes and interlinks in the shape of an enigma. This air of mystery seems to deny any definitive revelation, highlighting instead a plurality of points of view that ultimately result in Apocalypse.

Bianca Battilocchi, Tracce di Inizio e Fine. Citazioni sacre nelle “17 Variazioni” di Emilio Villa, in “Parole rubate / Purloined letters”, n. 12, dicembre 2015.

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2) Alessandro Gaudio, Animale di desiderio: silenzio, dettaglio e utopia nell’opera di Paolo Volponi

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3) Anitha F. Angermaier, Stefano Carrai, Paolo Febbraro,Paola Frandini, Edoardo Greblo, Alfredo Luzi,Gino Ruozzi, Fulvio Senardi, Nel mondo di Saba

Le Scorciatoie di Umberto Saba analizzate in un volume a più voci.

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Giovanni Inzerillo, “Dalla vita assassinato alla poesia. Il Canzoniere di puro disamore di Dario Bellezza,”

Giovanni Inzerillo, Dalla vita assassinato alla poesia. Il Canzoniere di puro disamore di Dario Bellezza, Franco Cesati Editore, 2019, pp.80, €10,00

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di Francesco Sasso

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Ad oggi di Dario Bellezza (1944-1996) ho letto rime sparse su riviste e antologie, nonostante da cinque anni un Oscar Mondadori (Tutte le poesie) campeggi intonso nella mia libreria. Lacuna che andrò a colmare presto anche grazie al bel saggio Dalla vita assassinato alla poesia. Il Canzoniere di puro disamore di Dario Bellezza di Giovanni Inzerillo.

Come ci suggerisce l’autore del saggio nell’Introduzione: «Nel condurre questo attraversamento di un’opera poetica vasta e complessa si è scelto di adottare un approccio di tipo cronologico che ne agevoli la lettura e di avvalersi di un’indagine volutamente intertestuale. Oltre a dimostrare come il percorso dell’autore si muova all’interno del panorama poetico di quegli anni e come spesso si distacchi, per poi in un certo senso riavvicinarsi, dalla corrente allora in circolazione, si è tentato di far comprendere come la scrittura dialoghi con gli autori italiani e stranieri di ogni epoca, ereditando soprattutto la recente tradizione di Pasolini e Penna, talvolta affiancandosi ai grandi modelli del passato quali Leopardi e Baudelaire.» (pag.12)

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Il Decameron Hamilton 90

Il Decameron nella tradizione manoscritta: Boccaccio ed i suoi primi lettori, mercanti, monaci e lo stesso Petrarca. Una intervista a Marco Cursi
L’intervista inedita che presentiamo on-line è stata curata dal Centro culturale Gli scritti, in occasione della pubblicazione del libro del prof.Marco Cursi, Il Decameron: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Roma, Viella, 2007. Marco Cursi è ricercatore presso la cattedra di Paleografia latina della Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma ed è autore di numerosi contributi incentrati sulla tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio e sui meccanismi di trasmissione manoscritta in botteghe di cartoleria nella Firenze nei secoli XIV e XV.

Il Centro culturale Gli scritti (13/9/2007)

Quali manoscritti autografi del Decameron ci sono pervenuti?
È giunto fino a noi un solo testimone autografo del Centonovelle, il manoscritto Hamilton 90, conservato presso la Biblioteca di Stato di Berlino. Si tratta di un codice in membrana – la materia di scrittura più diffusa nel Medioevo – di dimensioni medio-grandi, integralmente di mano dell’autore; Boccaccio si serve di una scrittura inconfondibile, definita dai paleografi “semigotica”; si tratta di una tipologia grafica piuttosto simile alla gotica ma caratterizzata da maggiore ariosità e da un contrasto di tracciato meno pronunciato, una scrittura piuttosto simile a quella utilizzata in quegli stessi anni da Francesco Petrarca. La storia di questo eccezionale testimone è piuttosto avventurosa: fu confezionato dal Boccaccio nei suoi ultimi anni di vita (intorno al 1370) ma ben presto se ne persero le tracce.

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Max Stirner (Podcast)

Il 26 giugno 1856 muore a Berlino Max Stirner – con Massimiliano Panarari.

Repertorio

– Lettura di Gioietta Gentile da “Unico e la sua proprietà” di Max Stirner dal programma Il paginone del 6/5/1988, Radio1 – Archivio Rai
– Intervista al filosofo Giorgio Penzo dal programma televisivo “Aforismi di Filosofia” , 1998,  Rai Uno – Archivio Rai
– La canzone “Max Stirner” del gruppo estone Vennaskond

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Alberto Casadei ,”Dalla chiusura del Convivio agli inizi del Poema sacro: una nuova ipotesi sui canti fiorentini”

Alberto Casadei, Dalla chiusura del Convivio agli inizi del Poema sacro: una nuova ipotesi sui canti fiorentini

 

Boccaccio riferisce che tra la redazione del settimo e quella dell’ottavo canto dell’Inferno vi fu una lunga interruzione, dovuta all’esilio: il fatto, suggerito o avvalorato dal verso “Io dico, seguitando, ch’assai prima”, può essere vero, ma ben più profonda è la differenza tra il canto del castello e i successivi”. Jorge Luis Borges, Il nobile castello del Quarto canto (in Nove saggi danteschi) I. Premesse storico-culturali e considerazioni sull’attendibilità della testimonianza di Boccaccio 1. Sono ormai numerosi i dantisti convinti che all’abbandono della stesura del Convivio sia seguita o ripresa quella del poema: la collocazione di questo evento è ovviamente soggetta a un margine di dubbio, che però si riduce grosso modo allo scegliere una data fra il 1306 e il 1308, legata anche a quanto si legge nell’Epistola IV e nella canzone Montanina. Ho espresso la mia posizione in un articolo recente 1 , che mi limito qui a riassumere per poter poi svolgere nuove considerazioni. I due testi risultano non solo collegati fra loro, ma anche connessi alle discussioni sul tema della potenza d’amore già attestate in vari sonetti scambiati tra Cino da Pistoia e Dante, in alcuni casi quando quest’ultimo già soggiornava in Lunigiana presso i Malaspina (problematico stabilire esattamente dove). Il testo dell’epistola va letto in senso ironico, dato che l’intellettuale integerrimo intento alla stesura appunto del Convivio deve confessare di essere stato sconvolto da una folgorazione erotica; questa viene descritta, con larghe variazioni, nella cupissima canzone Amor, da che convien…, composta (o, meno probabilmente, riadattata) in Casentino. Al di là delle difficoltà interpretative create spesso dall’uso simultaneo di codici letterari contrastanti (le esamino in dettaglio nel capitolo precedente), si può affermare che questa canzone costituisce la premessa fattuale per l’abbandono del progetto ‘filosofico’ del trattato, incongruo con la condizione di amore folle e prevaricatore del libero arbitrio, e segnala inoltre uno scacco politico ritenuto definitivo. Ciò è compatibile con un soggiorno di Dante in Casentino nella primavera-estate del 1307, quando ebbe luogo e terminò miseramente il tentativo di Napoleone Orsini di riportare i Guelfi Bianchi a Firenze: un tentativo ben più consistente di quanto di solito non si pensi, che aveva convinto a convergere verso le zone aretine e casentinesi esiliati dispersi in tutta la Toscana.

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Per un teatro di “vite infami”, l’opera di Rino Marino

Né piangere, né dileggiare, né ridere.

Benedetto Spinoza

Non è il caso di avere paura né di sperare,

bisogna cercare nuove armi.

Gilles Deleuze

Rino Marino, Tetralogia del dissennoFerrovecchio, Orapronobis, La malafesta, Il ciclo dell’Atropo, Editoria & Spettacolo, Spoleto, 2020, pagg. 220 € 16,00

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di Antonino Contiliano

Non è difficile morire, difficile è vivere. Non è difficile emozionarsi, difficile è capire, e pensare stanca! Se la bandiera di un recensore o di un critico è quella della stoffa dell’emozione, come la bandiera di una compagnia di navigazione commerciale, o il timone di comando per distinguere e giudicare le opere e i giorni di un soggetto o di un autore di opere letterarie, allora diventa impossibile che lo scritto e le parole spingano oltre il solletico epidermico. L’emozione, come “empatia”, è una risibile identificazione con la vita delle persone (reali o fittizie) e le loro identità come intersezione di azioni e passioni eterogenee e storicamente temporalizzate; e ciò specie se il rapporto con l’opera o il testo è distanziato nel tempo e nelle modalità (lettura dello scritto, proiezione audio-visiva, recita casalinga o pubblica e teatrale …). Tempi e modalità non sono indifferenti nel gioco delle interpretazioni e valutazioni di un lavoro letterario, specie se teatrale e l’emozione è la guida del soggetto “x” che si pone quale soggetto critico in azione; l’emozione infatti è un tipo di compartecipazione estetica che poco o affatto spazio lascia alla riflessione critica, quella che attiene alla filologia dell’opera o del testo, al suo pensiero, all’interpretazione e al giudizio di valore. Racchiude (in breve) i soggetti entro la sfera del “contagio” patologico; e come in ogni contagio il malato non sfugge alla malattia che crea fantasmi inesistenti. Quei fantasmi cioè che impediscono di vedere quanto altri – curatori, prefatori e postfatori – hanno individuato di culturalmente e teoricamente qualificante il tessuto delle opere di un autore (di ciò diremo avanti) preso in esame, proposto alla pubblica editabilità e alla artistica comunicabilità mediata dalle rappresentazioni teatrali (nel caso specifico quelle dello scrittore e regista siciliano Rino Marino).

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Pens – Poesia contemporanea e Nuove Scritture

Il Centro di ricerca Pens – Poesia contemporanea e Nuove Scritture è un progetto ideato e sviluppato da studenti, ricercatori indipendenti e docenti dell’Università del Salento. Il Centro, istituito presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento nel 2016, ha avviato una serie di attività che comprendono: I “Quaderni del Pens”, collana open access di studi letterari pubblicata in collaborazione con il servizio “ESE Salento University Publishing” dell’Università del Salento; “Fogli di via”, collana editoriale attiva presso l’editore Musicaos, che propone testi di autori del Novecento, inediti o dalla difficile reperibilità, oltre a saggi su autori della contemporaneità; un Archivio di interventi, articoli e recensioni pubblicati sul sito del Centro; iniziative per la promozione e la diffusione della lettura (seminari, workshop, incontri con gli autori, iniziative sul territorio).

REDAZIONE E COMITATO SCIENTIFICO

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LETTI QUASI PER CASO, SCRIBACCHIATI PER UNA QUALCHE NECESSITÀ: Claudio Giunta, “Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca”

LETTI QUASI PER CASO, SCRIBACCHIATI PER UNA QUALCHE NECESSITÀ…

Rubrica senza cadenza e scadenza ovvero Fustino letterario di Lucio Lontano*.

L’idea di questa rubrica birichina sta nel titolo e sottotitolo della stessa, che non necessitano di ulteriori spiegazioni, a nostro avviso. L’unica cosa che val forse la pena precisare è che si è pensato di far leggere lo scarabocchio – prima ancora che venga pubblicato – all’autore del libro da cui si parte, dando a quest’ultimo la possibilità di aggiungere, in coda, anche solo qualche riga, una parola, un’ipotesi di dialogo.

A partire da: Claudio Giunta, Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca, Bologna, Il Mulino, «Saggi» (899), 2020, 252 pp., 23 euro.

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di Lucio Lontano*

Il 24 agosto dovrei compiere 54 anni, ma mi sento un po’ come il Tristano di Tabucchi e forse alla fine di agosto non ci arriverò. Il che non vuol dire necessariamente che trapasserò (mi sto toccando). Forse assomiglierà a una resa, della serie: «ci ho provato, ci ho anche creduto, ma adesso andate tutti a quel paese».

E tuttavia, prima di andare a pescare col mio cane nel fiume sotto casa, volevo, come dire, concedermi il lusso di farmi un’idea di un’altra vita, quella di Tommaso Labranca, finita presto, a 54 anni, nell’estate del 2016.

Perché? Perché è vita simile per molti versi alla mia (specie nel meno recente passato, l’altrieri) e insieme completamente diversa (oggi, direi, forse domani): una vita che come la mia ha amato le periferie di una grande città del Nord Italia, le tangenziali, il freddo invernale di quegli spazi urbani ed extraurbani, gli attraversamenti degli stessi, vuoti notturni a piedi, in bici, poi con un mezzo pubblico scassato, infine con una macchina ancora più scassata; una vita che si è nutrita naturalmente della cultura pop in tutte le sue forme (arte e musica contemporanea, canzoni, cinema, commedia all’italiana, pubblicità, televisione, jingle, ma anche fumetto, fotoromanzo, fotografia), per liberarsi dalla cultura ufficiale, universitaria (p. 75), o anche solo per capire che la cultura è esplosione, è fuori, è vita; una vita che ha odiato le vacanze, che non sapeva neanche dove stava di casa il famoso otium e che tuttavia aveva «il senso della frase» (Andrea G. Pinketts, 1961-2018) e a cui bastava «conoscere il ritmo» (Mauro Mao Gurlino, 1971); una vita in cui passano gli anni ma non passano gli affanni e ti sembra sempre di averla sprecata; ma anche una vita riuscita (più che rassegnata a sé stessa), una vita quasi presa al lazzo da una testualità saggistico-narrativa complessa che andrebbe ristampata per capire meglio la trasformazione della società e della cultura in Italia in quel quarto di secolo che va all’incirca dall’inizio degli anni Novanta alla metà degli anni Dieci: Nubigenia. Scoperta e repentina scomparsa di un continente supernubilare (1991), Andy Warhol era un coatto. Vivere e capire il trash (1994), Estasi del pecoreccio. Perché non possiamo non dirci brianzoli (1995), Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo (1998), Neoproletariato. La sconfitta del Popolo e il trionfo dell’Eleghanzia (2002), Il Piccolo Isolazionista. Prolegomeni a una metafisica della periferia (2006), Da zero a Zero (2009), Haiducii. Romanzo d’appendice rumeno-mediatico (2010), Progetto Elvira. Dissezionando «Il vedovo» (2014), Vraghinaroda. Viaggio allucinante fra creatori, mediatori e fruitori dell’arte (2016), Agosto oscuro (2017).

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Amelia Rosselli (Podcast)

Amelia Rosselli 1 | Variazioni Belliche

09/12/2019Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti e dello Stato statale. Vissuta in Italia paese barbaro. Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati. Speranzosa nell’Ovest ove niente per ora cresce.

Amelia Rosselli 2 | Cantilena per Rocco Scotellaro

10/12/2019Amelia nella Roma degli anni cinquanta raggiunge i musei o la biblioteca nazionale in bicicletta, dice che le sembra una “sorta di vacanza culturale”.

 

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Domenico Merlini, “Saggio di ricerche sulla satira contro il villano”

La satira del villano entra in forme e generi letterari diversi e si sviluppa con vigore nella novella toscana nel XIV-XV secolo. Villano perché abitante della villa, cioè della campagna, decritto come un essere rozzo e avido, ostile a ogni valore spirituale, ovvero minaccia all’equilibrio del mondo urbano. Vi segnalo un saggio da riscoprire: Saggio di ricerche sulla satira contro il villano (Loescher, Torino, 1894) di Domenico Merlini.

Qui il pdf del libro, disponibile anche in altri formati.

Qui il pdf di Liber Liber

f.s.