28 ottobre – 28 novembre 2020
Personale d’Arte figurativa di Stefano Lanuzza
Galleria “La Cornice” – Lugano Via Giacometti 1, Lugano
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di Mario Lunetta
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Tra pittura e letteratura
Molta parte dell’opera pittorica di Stefano Lanuzza è stata esposta nel 1999 presso il Museo d’Arte Moderna Gazoldo degli Ippoliti di Mantova con titolo, sguincio e allusivo, di L’arte della notte. Oltre che artista figurativo, l’autore è poeta di gran tempra, narratore e critico di straordinaria sagacia; e coltiva nel suo ricco immaginario più di un côté notturno, noir e sulfureo.
Della sua pittura d’insolita risonanza, avventurosa e impacificata, cresciuta nello sradicamento del senso e nell’ictus d’una frattura fondamentale della coscienza, ha scritto il poeta Alberto Cappi: “Da fondali di città o piazze straniate, da atmosfere liberty, da icone di uccelli rapaci, da terrifici sembianti, da nudi metamorfici, passando per tracce mitologiche, per echi letterari, per voci plastiche o figurative, il gesto dell’artista diviene febbricitante animando le posture come il guizzo cromatico. Gli sono vicino a volte il furor di Grünewald, oltre l’immaginario nero di Goya, ma ancor più una danza quasi ieratica, egizia ed etrusca, il cui coreografo corrisponde al nome di Savinio” (cfr. L’arte della notte. L’opera figurativa di Stefano Lanuzza. 16 maggio-6 giugno 1999 / Mantova, Museo d’Arte Moderna Gazoldo degli Ippoliti).
L’autore affonda le sue immagini in luoghi notturni e le circonda di tenebra. Sono immagini di uomini allo stato di reietti, pietrificati nell’orgoglio di solitarie provocazioni, dalle pupille bianche eppure balenanti, e di donne sfatte nell’impudicizia, dalla testa di uccelli, dai capelli chiari, insieme femmine umane dalla calda carnalità e animali di un cielo diabolico, ora sorelle dimidiate della civetta hegeliana, ora dello sparviero e del falcone, simboli araldici dell’intelligenza e dell’istinto autoregolamentati: a sfida di tutte le pigrizie conformistiche.
È un figurare spurio, quello dell’artista, un figurare strenuo, radicale, dotato di fascino misterioso e di ferocia inafferrabile. Una ‘pittura della crudeltà’, certo, con un saluto al vecchio, scuoiato Artaud; e, insieme, una pittura intorno al Nulla: peraltro affollatissima di spettri, di lemuri, di creature astrali, di spiriti zoomorfi. Ci passa dentro una sofferenza liquida, li incatena un eros furioso e inaddomesticabile… Stefano Lanuzza ne evoca la gestualità rituale ed efferata con l’energia di un disegno netto, tagliente, e con la luce oscura di una tavolozza che predilige il rosso, l’arancio, il verde, il rosa malato, l’oro e il nero. Del suo lavoro l’artista dice, in polemica con la pittura informale ‘d’arredamento’ e col trasch in auge: “I miei colori, antinaturalistici, vengono da un luogo del tutto personale, raccordato tra la critica dello stato di cose presente e un desiderio d’armonia marcato dall’inquietudine. Essi vogliono muovere i contorni del disegno stante alla base della mia pittura: disegno, secondo me, indispensabile per connotare un’arte figurativa che non sia mera ‘insalata’ cromatica”.
Sono in realtà – diciamo noi – i colori arbitrari del sogno e dell’inconscio, quelli che rimandano ad alcuni fra gli artisti e gli scrittori più decisivi del Novecento: a Bacon, a Beckett… Dice l’autore: “Un artista come Bacon, insopportabile dalle anime belle per l’atrocità della sua pittura, è, al pari d’uno scrittore come Beckett, tra le coscienze tragiche del Secondonovecento”. Ha scritto Cioran: “Tra la poesia e la speranza l’incompatibilità è totale”. Un autore come Stefano Lanuzza lo sa benissimo, e non va a caccia di risarcimenti. I suoi testi iconici e letterari lo fanno di per sé abbondantemente: e di questa lucida, coraggiosa consapevolezza testimoniano anche le sue opere di scrittore.
(Servizio RAI di Mario Lunetta)