Introduzione a “La Critica” di Benedetto Croce (1903)

«La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce», 1, 1903

Abbiamo in Italia molte riviste speciali di storia politica, di filologia, di filosofia, di arte, e, specie, di storia letteraria, talune delle quali sotto ogni rispetto ottime. Ma, dovendo ciascuna d’esse tener dietro alla copiosa produzione d’un singolo ramo di studii, ed informare i lettori su tutte le questioni e controversie minute, è naturale che non possano acconciamente soddisfare al bisogno di chi desideri un ragguaglio critico, e come una scelta, dei libri, che si vanno pubblicando, d’interesse generale. Inoltre, appunto per essere specializzate, accade che di parecchi libri, anche dei più importanti, nessuna di quelle riviste si occupi o si occupi a fondo, perché o non entrano nelle specialità già organizzate in riviste o si distendono sulle linee d’incrocio di parecchi campi di studio attigui. Cosi, per spiegarci con un esempio, se una dissertazione su un punto anche particolarissimo della biografia o dell’opera di un antico scrittore italiano troverà ora in Italia per lo meno quattro o cinque recensori competenti, critici ernunctae naris, non si può dir che la stessa sorte sarà per toccare ad un libro, poniamo, Ai storia politica contemporaii o ad un altro che concerna un argomento di letteratura o di storia straniera. Di questi, se mai, tratteranno, più o meno leggermente, le riviste pel gran pubblico; nelle quali la parte critica è di solito assai trascurata, consistendo o in annunzii editoriali di uniforme intonazione elogiativa, o in articoli complessivi e sommarii in cui la critica non ha l’agio d’esplicarsi.

Peggiore è l’inconveniente che delle riviste pel gran pubblico nasce dall’assenza di criterii fermi e di un organico sistema d’idee: onde un’anarchia e un’ineguaglianza di giudizii che le fa somigliare talvolta a botteghe di caffè, dove ciascuno si rechi a dire, o a gridare, la propria opinione od impressione.

Eppure ognuno di noi sente forte il bisogno di non perder di vista i problemi generali e d’insieme, che son tanta parte della vita degli studii, e di dedicare ad essi la stessa attenzione ed intensa cura che si adopera per le idee e i fatti speciali e particolari. 

E dalla coscienza di questo bisogno e dalle esposte considerazioni ha origine questa piccola nuova rivista, che vorrebbe appunto servir da supplemento e sussidio alle altre speciali di sopra accennate, proponendosi di discutere di libri, italiani e stranjeri, di filosofia, storia e letteratura, senza la pretesa di tenere il lettore al corrente di tutte le pubblic’azioni sui varii argomenti, ma scegliendo alcune di quelle che abbiano, per l’argomento o pel merito, maggiore interesse, o meglio si prestino a feconde discussioni.

Abbiamo già implicitamente confessato, e ripetiamo ora più esplicitamente, che nell’intraprendere questa pubblicazione ci proponiamo di sostenere un determinato ordine d’idee. Niente è, infatti, più dannoso al sano svolgimento degli studii di quel malinteso sentimento di tolleranza, ch’è in fondo indifferenza e scetticismo, pel quale da molti si fa largo nelle proprie riviste a vedute diverse e discordanti; e pur che si abbiano articoli in copia, e firme di scrittori noti e simpatici, non si pensa al risultato ultimo, alla traccia che bisogna proporsi di lasciare nelle menti dei lettori. I1 nostro proposito, che può sembrare di esclusivismo, pare a noi invece un omaggio alla libertà: alla quale meglio si serve con l’offrire un bersaglio netto agli avversarii, anzichè con l’unirsi ad essi in una poco sincera e poco benefica fratellanza. Citius emergit veritas ex errore quanz ex confusione: è un bel motto di Bacone, che val la pena di ricordare ancora una volta.

E, per chi desideri sapere subito, prima d’accingersi alla lettura, in qual sorta di compagnia sarà per trovarsi, è bene accennare, qui nel principio, per sommi capi, all’indirizzo di questa rivista.

– I1 compilatore di essa crede, dunque, fermamente che uno dei maggiori progressi compiuti in Italia negli ultimi decennii sia stato l’essersi disciplinato, mediante le università e le altre istituzioni di scuola e di controllo e d’informazione, il metodo della ricerca e della documentazione; ed è perciò un convinto fautore di quello che si chiama metodo storico o metodo filologico. Ma egli crede, con altrettanta fermezza, che tale metodo non basti a tutte le esigenze del pensiero, ed occorra perciò promovere un generale risveglio dello spirito filosofico; e che, sotto questo rispetto, la critica, la storiografia, e la stessa filosofia, potranno trarre profitto da un ponderato ritorno a tradizioni di pensiero, che furono disgraziatamente interrotte dopo il compimento della rivoluzione italiana, e nelle quali rifulgeva l’idea della sintesi spirituale, l’idea dell’humanitas. E, poichè filosofia non può essere se non idealismo, egli è seguace dell’ idealismo: dispostissimo a riconoscere che l’ idealismo nuovo, in quanto procede più cauto d’una volta e vuol dar conto d’ogni passo che muove, può ben designarsi come idealismo critico, o come idealismo realistico, e perfino (ove per metafisica s’intendano le forme arbitrarie del pensiero) come idealismo antimetafisico. Circa alle idee sociali e politiche – dalle quali non si può prescindere quando si debbano comprendere e giudicare libri di storia e di polemica politica e sociale, e sebbene su di esse capiterà di fermarci piuttosto di rado, – dichiara, brevemente, ch’egli aborre , tutti i tentativi di mettere le brache al mondo, o di persuadere gli adulti a rifarsi bambini; e rinunzia a darsi qui un titolo sol perché non ne trova che non si prestino ad equivoci. Circa, infine, alle formule di critica estetica, crede, naturalmente, che non se ne debba aver nessuna; e che, se gli artisti capricciosamente si sentono e si proclamano veristi, simbolisti, mistici, psicologi, classici, neoclassici, alessandrini, bizantini, adoratori della bellezza pura o portavoce di dolori sociali, il critico debba sorridere di tutte le formule e stare a veder soltanto ciò che l’artista fa nel mondo dell’arte, ch’è insieme il più liberale e il più rigorosamente governato dei mondi.

L’anzirecitata professione di fede importa che questa rivista non darà quartiere a quelle molte persone geniali che, infischiandosi della storia delle idee e dei fatti, si mettono a risolvere audacemente ardue questioni sulle quali l’uomo s’è travagliato per secoli, sicure di afferrarle con un colpo sbrigativo della loro asserita genialità. E non darà quartiere a coloro (naturalisti ed eruditi, o pseudonaturalisti e pseudoeruditi) che, pigliando tono di gente positiva, spregiano ogni tentativo di pensiero filosofico, ogni sforzo dell’uomo per acquistar compiuta coscienza dell’esser suo; salvo a filosofare per loro conto senza studii e maturità, e a voler imporre quasi per sottinteso la loro filosofia di mala provenienza, raccattata a pezzi per le strade come mozziconi di sigari spenti. Ed avverserà le correnti mistico-reazionarie o gesuitico-volteriaile, dalle quali molti ai tempi nostri si lasciano sedurre; e non ammirerà gli artisti che, producendo arte povera e fiacca, pensano di averla giustificata esibendo modernistiche ricette e formule, male imitando chi, nel vantare spesso anch’egli assai discutibili ricette, ha pur saputo produrre più volte dell’arte vigorosa e vitale.

Ma questa rivista non intende restringersi soltanto alle recensioni dei libri nuovi; e (lasciando ora di enumerare i minori amminnicoli, che si vedranno via via), essa conterrà in ogni suo fascicolo articoli, note, contributi, documenti, ordinati e convergenti ad un unico scopo. Il quale è, di preparare il materiale e tentare un primo schema della storia della produzione letteraria e scientifica italiana dell’ultimo mezzo secolo. L’Italia ha, in questo mezzo secolo, lavorato assai, anche nel campo intellettuale; e dell’opera compiuta, e dei meriti e delle deficienze di questa, non si ha ancora una cognizione precisa ed equilibrata, oscillandosi tra giudizii vaghi ed improvvisati, ottimistici o pessimistici, con prevalenza degli ultimi.

Scrittori stranieri hanno testé dato un quadro delle condizioni sociali e politiche d’Italia, con chiara visione e con sereno giudizio, quale nessuno scrittore nazionale s’era provato a fare. Vorremo aspettare (e già ne appaiono dei saggi) anche dagli stranieri dei libri sull’Italia letteraria e scientifica? Mettiamoci all’opera, e così, mentre faremo a nostro vantaggio un salutare esame di coscienza, prepareremo anche la via allo storico futuro. Per questa parte della rivista s’invoca sin da ora l’indulgenza: che, se nella storia letteraria e scientifica di tempi lontani si lamentano pur sempre lacune ed ingiustizie, come si potrebbe pretendere che noi riassumessimo senza lacune e senza ingiustizie (diciamo di quelle involontarie) una storia tanto recente? Ma ciò non vuol dire che non bisogni cominciare, e sforzarsi di fare il men-male.

Potrà obiettarsi che ad un programma così vasto riescirà inadeguata un’esile rivista che si pubblicherà appena ogni due mesi.

E chi obietterà così non avrà torto del tutto. Noi ci asteniamo dall’addurre le ragioni d’indole personale che, volendo procedere con qualche scrupolo di accuratezza, ci consigliano a limitare, almeno per ora, l’estensione materiale della rivista. Ma osserviamo che, se il disegno sembra buono e l’esecuzione troppo in piccolo, altri potrà eseguirlo più in grande; e sarà tanto di guadagnato. Del resto, mettiamo che questa piccola rivista viva dieci anni: in dieci anni essa avrà allineato sugli scaffali delle biblioteche dieci volumi, di circa cinquecento pagine ciascuno, scritti in buona fede in servigio d’idee non volgari, e contenenti un materiale forse non ispregevole per la storia della moderna coltura italiana. Potrebbero essere invece trenta o quaranta: ma meglio dieci, che nulla.

I novembre 19 0 2.

«La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce», 1, 1903