[Invitiamo i lettori di RETROGUARDIA a segnalarci o ad inviare tramite email materiale inedito o edito su e di Giuseppe Panella. Ringraziamo Natalizia Pinto per averci inviato questa recensione di Giuseppe Panella alla sua raccolta di poesie del 2003. (f.s.)
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di Giuseppe Panella
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Perché questo titolo: Il tempo in cornice? Perché spingere e costringere il Tempo in un quadro dai contorni già decisi per farlo diventare elemento partecipe certo ma pur sempre condizionato della vita libera e fuggevole fatta di attimi che passano e non ritornano? Forse proprio per questo…
Prendere il Tempo e immobilizzarlo, metterlo in posa, trasformare ciò che è transeunte flusso dei momenti della vita in parole ed emozioni dette e scritte è da sempre uno dei compiti “impossibili” della poesia. Anche perché poi il tempo quotidiano di ognuno si riprende quello che è suo (il sapore carico di amarezza della caducità, la sensazione di felice aderenza alla propria pelle e alla propria anima, il colore dei sogni, il contatto con il reale condiviso con gli altri) e la poesia resta spesso incapace di andare oltre il livello di comunicazione superficiale.
Il Tempo domina e trionfa, le parole si dissolvono, ma non sempre, per fortuna di noi tutti.
Solare come la sua autrice, il primo libro di poesia di Natalizia Pinto si muove, serpeggia e si dispiega tra le strade strette e cariche di storia di San Frediano a Firenze e i paesaggi verdi e marini della Puglia nativa. E’ fatto di impressioni, di ombrosità, di lampeggiamenti, di trasalite e commosse epifanie di luoghi e di persone. E’ costruito della stessa “materia di cui sono fatti i sogni” ed è giusto che sia così. Il Tempo viene incorniciato dallo spazio che attraversa: i sogni si ricompongono nei confini dei ricordi, le memorie si attestano sul crinale delle leggende raccontate e ricordate con commozione, gli amori e i dolori si aprono nel loro racconto come fiori conservati tra le pagine dei libri più amati e che un soffio può distruggere polverizzandone le forme già sbiadite.
Qui la poesia è forza evocatrice: i luoghi visitati, la vita finora vissuta, le aspirazioni e i rimpianti si fanno parola carica di emozione e di sentimenti filtrati dall’esperienza della scrittura; il cammino e gli eventi esperiti si ricompongono in evocazione assorta o in rincorsa del ricordo; l’aspirazione è all’eternità dell’emozione e il risultato è la sua struggente impossibilità.
Nelle tre parti che lo compongono (L’attesa, L’incontro, Il cammino) emerge un desiderio (forse inconfessato ma, a mio avviso, presente) di mostrare il percorso fatto nella propria vita come giustificato dalla sua esemplificazione e realizzazione poetica: una tentazione autobiografica, dunque, cui i poeti solo raramente sanno sottrarsi. La poesia si presenta come paradigma della vita e ad essa si consacra. Le situazioni, i luoghi, i tempi, le stagioni, le aspirazioni, le passioni, i sogni, le evenienze e le casualità della vita trascolorano e si innervano nella fitta trama di una scrittura puntiforme e puntigliosa, intesa a cercare la precisione e non la vaghezza, l’accesa descrizione del momento e non l’aerea vezzosità della pura parola come mero belletto della pagina.
Si prenda, ad esempio, un testo decisamente e marcatamente autobiografico come 17 novembre 1998 (compreso nella terza parte del volume): “Scie di meteore solcano la notte / inondano il mio volto / Con gli occhi chiusi sul mio letto / tra alberi e prati sotto il cielo / […] Nessun gelo potrà colpirmi / ricoperta di polvere di stelle. / Sogno la mia vita nell’universo dell’oblio / e solo la musica potrà svegliarla!” . Il lessico è preciso e netto, chiaro è il disegno che il testo espande nella sua aspirazione cosmica al ricongiungimento con l’origine arcana della vita, la descrizione è lucida e con scivolamenti nel quotidiano (“sul mio letto”): la poesia si presenta pulita come un sogno e turgida come il desiderio. Il confine tra reale e vagheggiamento onirico si rivela inesistente nel momento in cui il presente si configge nell’eterno dell’oblio: eppure quanto sapore di realtà contiene quell’aspirazione all’armonia musicale che la chiude e quanta astrattezza sognante è compresa in quel “ricoperta di polvere di stelle”. L’immagine è vivida come, appunto, quelle che si ricordano dei sogni fatti quando è appena mattina, quando non si vuole saperne di svegliarsi ed è bello indugiare ancora per qualche minuto tra le lenzuola in attesa della sveglia dei doveri di ogni giorno…
La scrittura poetica di Natalizia Pinto è tutta intessuta di tali magici momenti di sospensione tra sogno e realtà, tra magia dell’esperienza onirica e ricordo delle sue esperienze concrete: la sua ambizione è renderla come susseguirsi ininterrotto di sospiri e di immagini, di aspirazioni e di riflessi, di contatti e di trasalimenti. Poesia come aspirazione alla pienezza del vivere e come inseguimento del di più che solo la scrittura sa dare all’esperienza vissuta: il tutto con una freschezza di suoni e di visione che solo l’entusiasmo per la parola poetica riesce a dare a chi si ritrova, di colpo, nell’occhio del suo ciclone evocativo. In conclusione: la poesia di Natalizia Pinto è il suo modo di presentarsi al mondo, senza presunzione e senza altezzosità da iniziato o daistocratico possessore di verità esclusive, ma con la volontà e la sicurezza di salvarsi dalla marea montante della banalità e della chiacchiera correnti.
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