A proposito de “L’ultima poesia” di Gilda Policastro

A proposito de “Lultima poesia” di Gilda Policastro

la poesia insieme generico e libere scelte

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di Antonino Contiliano

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I rapidi mutamenti che caratterizzano lo spazio-tempo del nuovo millennio pongono sempre una domanda assillante: è l’ultimo, il definitivo? Non sembra che ci possa essere però una risposta determinata e ultima. L’instabilità è di casa. La parola fine è incompatibile con le aperture e le fratture che, inevitabilmente e contingentemente, il tempo e la storia portano con sé. Non c’è ambito storico della vita e del sapere scientifico e letterario (per stare dentro a una classica dicotomia) che non ne sia attraversato. Così Gilda Policastro (L’ultima poesia. Scritture anomale e mutazioni di genere dal secondo novecento ad oggi, Mimesis, Milano, 2021) scrive che le mutazioni poetiche sono posizioni continue e anomale molteplicità linguistico-semiotiche (“scritture anomale”). Un insieme eteronomo non standardizzabile. Del resto l’anomalo, come ricordato da Gilles Deleuze e Felix Guattari (Mille piani-Capitalismo e schizofrenia), non è l’“a-normale”. Questo è definibile in rapporto alla presenza di una regola specifica o generica. L’anomalo (aggettivo) è legato invece all’anomalia quale sostantivo. Un sostantivo che designa «l’ineguale, il ruvido, l’asperità, la punta di deterritorializzazione. […] una posizione o un insieme di posizioni in rapporto a una molteplicità, dove l’anomalo, all’interno di una muta (molteplicità), situa così (corsivo nostro) le posizioni dell’individuo eccezionale. È sempre con l’anomalo, Moby Dick o Giuseppina, che si fa alleanza per divenire-animale»1. Nel caso, l’insieme delle “scritture anomale” (i testi delVentiVenti” del XXI secolo) di cui all’Ultima poesia del libro di Gilda Policastro. Un insieme che non pone fine alla sperimentazione e alla ricerca poetica ma ne segnala, appunto, la continuazione che di volta in volta, usando gli stimoli dei nuovi linguaggi, ne dice il nome, le emergenze, gli elementi e i limiti che ne indicano la definizione come indice di riconoscimento determinato all’interno della molteplicità delle forme emerse finora. In tal senso, a mo’ di elenco, prelevando dall’appendice («Glossario ragionato delle procedure sperimentali (1960-2020)», ne riportiamo i nomi:

Asemic writing, Cut-up, Easdropping, Flarf, Foud poetry, Googlismi, Language poetry, Loose writing, New Sentence, Prosa in prosa, Scrittura concettuale, Source code poetry, Spoken Word, Sought poem.

Un’indicazione sintetica e stringata, la nostra, che vuole essere piuttosto una segnaletica per individuare i percorsi dell’ultima poesia (non definitiva) tracciati da Gilda Policastro partendo da quello che per l’autrice è una data spartiacque, il 1963. La data di nascita della poesia della NeoAvanguardia, il “Gruppo 63” (I Novissimi: Elio Pagliarani, Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini e Antonio Porta). La poesia che destabilizza la centralità dell’io poetico e ne desublima la scrittura. L’ultima poesia, d’altro canto, oscillando, si diversifica in un ampio spettro di ulteriori scritture anomale. Un fare poesia cioè che mescola e ibrida lessico e generi nel divenire storico del mondo e della realtà accelerata che lo designa e lo connota con una molteplicità di logiche. Un fare poesia dove descrizione, oggettualità, lessico tecnologico, narratività, frammentazione, cut-up, montaggio, immediatezza e variegata semplificazione … segnano ulteriormente il passo di una logica epistemica in itinere al posto di un sistema con codice consolidato e immobile. Una logica fondazionale “affermativa”, l’epistemica. E la logica affermativa, come quella dell’intuizionismo matematico della scuola di Luitzen Egbertus Jan Brouwer («Il concetto fondamentale dell’analisi intuizionistica è quello di una successione di numeri naturali tale che ogni proprietà della successione dipende esclusivamente da un segmento iniziale finito della successione- successioni di questo tipo vengono chiamate “a scelte libere”»)2, è lontana da quella della coerenza canonica della deduzione con i suoi principi ortodossi (non contraddizione, identità e terzo escluso). Le sue proposizioni, che non eludono la contraddizione, ne fanno anzi centro propulsore e mescolamento radiante. Un processo sperimentale di intuizioni concettuali e proposte scritturali particolari che minano l’imperativo camaleontico della cosiddetta trasparenza comunicativa e della semplicità (il dispositivo d’ordine che il sistema-mondo non smette di socializzare per aggirare la pubblicità sui suoi servizi segreti e la sua deviante ideologia di mondo naturalizzato e senza alternative).

Il metodo delle “scelte libere” aggredisce e mette in dubbio, infatti, il consolidato delle scelte acritiche (specie individualistiche e soggettive), oltre a spingere le individualità sul terreno comune di una identità di gruppo, come l’azione relazionale di ricerca di un “noi” collettivo laboratoriale e soggetto a verifiche e confronti. Noto per esempio nel mondo delle ricerche logico-matematiche è il gruppo Nicolas Bourbaki (1933), l’eteronimo che aggregava diversi matematici attorno alla logica della teoria degli insiemi per affrontare unitariamente le varie questioni che poneva la stessa teoria (come i paradossi). Non difformemente, crediamo, nel mondo della poesia contemporanea (presentato da Gilda Policastro) sia l’origine del gruppo Gammm”. Anche qui un eteronomo nella forma di un acronimo che utilizza i nomi degli stessi soggetti interessati: Gherardo Bertolotti, Alessandro Boggi, Marco Giovenale, Massimo Sannelli, Michele Zaffarano. Sono i poeti che (memori, forse, della variegata identità artistica del Gruppo 63) si riuniscono in sigla per qualificare come difforme (anomala?) la propria esperienza di scrittura poetica. Un’esperienza scritturale e testuale che non ha ombre? Édouard Glissant (La poetica del diverso e Poetica della relazione) ha ricordato il diritto del poeta all’oscurità, così come Gaston Bachelard ricordava il diritto del poeta al sogno (ma, qui, tanto per non dimenticare piace ricordare che negli anni Duemila circolava, poco o affatto attenzionato, anche il sogno collettivo del gruppo “Noi Rebeldía” 2014, Lora zero, a cura di chi scrive, Edizioni CFR, 2014).

Ora, per parlare del quid del Gammm, lasciamo la parola a Gilda Policastro. Dopo Sara Ventroni (nata nel 1974), la poeta che non rinnega – così scrive l’autrice – né l’attitudine scenico-performativa né lo smarcamento dal tabù dell’io, sono emersi i poeti “Gammm”. Un gruppo più o meno di coetanei che rigetta

«la dimensione spettacolare della poesia dal palco, recuperando, in opposizione all’oralità secon­daria, una sorta di testualità primaria (o preminente). Il testo­ dispositivo o installativo, nel suo svolgersi in senso orizzontale rinuncia ad andare a capo, ribadendo il caosmogonico impulso balestriniano alla riproduzione del senso diffratto, se non proprio del caos. Vero è che il gruppo Gammm (e sempre di più la gene­razione successiva) mostrerà un’ostinata resistenza nei confronti di una riconnessione senza mediazioni alla Neoavanguardia e, piuttosto, individuerà nell’opera del poeta americano K. Silem Mohammad o nella teoria di Jean-Marie Gleize […] dei precedenti più consentanei e più conformi ai tempi (con una specifica attualizzante che non avrebbe scontentato i Novissimi, tra l’altro). Attingendo dalle pratiche introdotte dai poeti americani e complicando il procedimento del remix o del cut-up di cui i predecessori avevano fatto impiego, i neo-novissimi individueranno nel googlism la tecnica-matrice, fondativa di altre tecniche come il flarf, la found o sought poetry, insieme a forme afferenti all’ambito della “post-produzione” (per dirla con Giovenale) come 1’asemic, la poesia visiva, l’installazione. Il testo torna, dunque, a essere un dispositivo […] Ovvero un congegno “autotelico” che ha in sé le proprie leggi, come nel “poetico” inteso alla Jakobsone però deprivato della marca differenziale rispetto alla comunicazione ma, soprattutto, rinunciando all’attitudine all’allegoria e alla simbolizzazione del mondo. Il testo, infine, non si affida all’interpretazione, intesa alla maniera tradizionale come decodifica di un contenuto/messaggio, ma alla messa in forma letterale, con Gleize. Direzione cui non si era in effetti risolta nemmeno nei casi più estremi la Neoavanguardia, dei cui testi si può sempre offrire una parafrasi, dire che “parlano di”, finanche nella multiplanarietà di Laborintus o nella frammentazione estrema dei collage di Balestrini. Nei nuovi poeti la testualità è il luogo in cui il mondo torna a farsi discorso e i “principi primi”, per dirla con Christophe Hanna, vengono a essere ridiscussi a partire dalla scrittura come procedi­mento»3.

Del resto (per inciso), alle spalle della nascita del Gruppo 63 ci fu il convegno di Palermo che vide insieme poeti, artisti, romanzieri, musicisti, registi (soggetti di diversa età e provenienza). Una molteplicità di soggetti che ha aperto la strada alla contaminazione dei generi facendone un laboratorio sperimentale e di ricerca. Un campo magmatico e aperto di possibilità in divenire, un infinito in fieri anziché in atto. Il mondo della poesia, come quello della “cardinalità del continuo” o dell’infinito attuale o potenziale (e nel mezzo del conflitto tra la concezione descrittiva, costruttiva e formalista, inerente la fondazione logica della matematica), continua ad oscillare tra chi parla di poesia (nel senso tradizionale del modello lirico) e chi, nel senso dei nuovi paradigmi (come quelli nominati nell’“ultima poesia” del libro di Gilda Policastro), avanza la post-poesia. A giudicare dalla contabilità dei nomi delle diverse forme di poesia, sembra che nella post-poesia il principio logico del tertium datur abbia un terreno fertile; e che il mondo della poesia, quale insieme generico o “libere scelte” e de-genere rispetto alle forme maturate, partendo dagli anni Sessanta del Novecento, sia piuttosto una totalità o un complesso di punti in fieri, un divenire temporale in continuo aggiornamento.

Negli stessi anni, contemporaneamente, peraltro si registrano analoghi sconvolgimenti esplosivi (tanto per un’analogia, e cenno) nell’universo della logica fondazionale insiemistica dell’aritmo-matematica (dopo i tentativi della riduzione della matematica alla logica o all’assiomatica della sintassi formalizzata). Sono le rivolte metodologiche e procedurali che, analogamente a quanto avveniva nel sistema tradizionale della poesia lirica per effetto del Gruppo 63, il logico americano Paul Cohen, inventando il metodo del forcing/costrizione, metteva in campo il concetto di “insieme generico” (anomalo in quanto, appunto, generico e perciò infinitamente riproponibile sotto altre forme eccezionali). Una vera “minaccia bolscevica” nel mondo della sperimentazione e della ricerca logico-matematica fondazionale: metteva in crisi le certezze della teoria oggettiva e deterministica della logica insiemistica. La teoria, quest’ultima, cioè che, pur con dei limiti e aggiustamenti ad hoc (la proposta di Kurt Gödel del 1938, il cosiddetto “costruttivismo debole”4), ha cercato di salvare la possibilità di definire l’infinito attuale mediante il ricorso alla dimensione cardinale dei numeri naturali (finiti e trans-finiti). Le basi della sua coerenza e stabilità però – per un semplice richiamo, e cenno analogizzante – erano già state minate dai due teoremi di incompletezza del 1931 dello stesso Kurt Gödel: «ogni sistema sufficientemente potente, assiomatizzabile e coerente è sintatticamente incompleto; ogni sistema sufficientemente potente, assiomatizzabile e coerente è incapace di dimostrare una proposizione la quale esprima in modo canonico la coerenza del sistema»5.

Così ritornando al libro delle “scritture anomale” di poesia, grazie a un’accurata intercettazione delle ultime proposte dell’attività di ricerca e sperimentazione poetica, la nostra autrice – Gilda Policastro –, indicandone la nominazione mediante gli elementi che le strutturano, scorre le trasformazioni che hanno interessato il dominio della poesia (la poesia come genere di scrittura particolare, non canonica) fino al VentiVenti del millennio in corso. E ciò sebbene la definizione di “poesia”, come il concetto di insieme per gli stessi logici insiemistici, non sia così semplice da definire. Non c’è, infatti, univocità, bensì plurivocità (pluralità, molteplicità). Sembra che nel dominio della poesia i modelli obbediscano ad una logica polivalente e conflittuale. Tra lirismo e neolirismo, poesia in prosa, performance, installazioni, poesia visiva, poesia concreta, poetry slam, videoarte, instapoetry, post-poesia, prosa in prosa …, le riflessioni teoriche e le poetiche del momento, in ogni modo, hanno animato infatti diversi punti di osservazione e avanzato nuove proposizioni.

Certa è stata (o è) però, a questo punto, la crisi dell’identità del modello della poesia tradizionale. La poesia del “VentiVenti” del nuovo millennio «è definitivamente mutata, in congegno an-estetico, antiemozionale, in conflitto con la buona vecchia cara poesia (ovvero quello che intendiamo comunemente, quando diciamo poesia)? Oppure resta solida e imbattuta, nel suo posizionamento più visibile […] la tradizione lirica, e della post-poesia, invece, a distanza di un ventennio della sua formulazione teorica, non rimane che l’“oroscopo”, per dirla con Gian Luca Picconi: una proiezione, più che un fatto? […]»6. Un oroscopo le cui verità cambiano in base alle varie relazioni stagionali che i pianeti suggeriscono nella spirale del loro divenire orbitale modificato.

Nel frattempo, nel circuito discorsivo dell’analisi del linguaggio della poesia, hanno fatto capolino anche parole – come paradigma, modelli, procedure, codice, dispositivo, struttura, sistema, egemonia, indecidibilità, degenere (in geometria il punto come grandezza degenere è quello che si individua come grandezza evanescente o nulla … per cui la linea come somma di grandezze nulle, i punti, assumerebbe la figuralità paradossale e anomala di un’esistenza nulla) – che sono più dell’ordine scientifico-logicizzante che di quello letterario e poetico comunemente inteso. Ma non è mistero per nessuno il fatto che le forme del sapere, della conoscenza e dell’azione fanno uso di strumenti comuni. Basti pensare alle metafore, alle analogie, alle similitudini, alle equivalenze, ai rapporti ossimorici, agli ideologemi, alla “visione”, alla temporalità dell’istante, all’atemporalità della struttura e/o all’universalità del valore del detto, scritto e comunicato.

Niels Bohr ebbe a dire che quando un enunciato profondo sfugge all’evidenza della logica del vero e del falso, bisogna ricorrere ad altri enunciati profondi! Ed è un caso che il matematico e fisico Eugene Wigner scriva che c’è una “irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali”? Che Alan Badiou scriva che matematica e poesia godono di un’indubbia molteplicità di forme espressive e concettuali? Che la matematica – continua Badiou –, diretta al reale, grazie all’astrazione, operi «all’esterno della singolarità linguistica»7, e che la poesia, non meno debitrice nei confronti delle astrazioni (in forma di trasposizioni semantiche, di analogie metaforiche, spinga «la singolarità della lingua fino al limite, sino all’essere fuori-della-lingua»?8

La crisi, ampio senso, in altre parole, non ha dismesso la voglia e possibilità della poesia di agire complesso e forza-lavoro di resistenza, insistenza e rigenerazione continua sfruttando le possibilità semiche e tecniche offerte dal nuovo mondo della rete e delle relazioni global-connesso (e proprie a un general intellect poietico sociale diffuso). Una poesia come potenza d’essere e di esser-ci che si dipana mediante l’uso di una logica della relazione piuttosto che ‘predicativa’ o di proprietà essenziali e stabili. Un’attività semica in versi che, in-tesa a proporsi quale scrittura ancora possibile negli schemi dell’inferenzialità logica delle “implicazioni materiali (si potrebbe dire), nell’era del capitalismo degli automatismi elettronici e dei suoi algoritmi asemantici, difende il suo diritto a sognare e a ribellarsi. Le vie scelte (per dirla con Gilles Deleuze) sono linee di fuga e di dissenso conflittuale rispetto alla negazione (di ogni sua autonoma e politica creatività artistica) che gli para davanti l’eterno presente del capitalismo digito-immateriale. Un’attività del fare poesia (la poesia in linee di fuga) che tra il prima della poesia e il poi della post-poesia si muove quale discorso est-etico-politico aperto, irreggimentabile (i rapporti tra arte, poesia, canoni e politica non sono mai stati pacifici). La critica “militante” non ha mai smesso di sondare i confini e scuotere le gabbie ideologizzanti, se è vero, come scrive Stefano Lanuzza (autore di opere di italianistica e letteratura comparata) che nel Novecento ci sono autori come Geno Pampaloni che si affrancano da certo engagement sociopolitico degli scrittori. Sono i

«moduli dello storicismo, del marxismo, della stilistica, del formalismo, dell’avanguardismo, dello strutturalismo, della semiologia, della filologia, della psicoanalisi …; e, convinto – Geno Pampaloni (inserimento nostro) – della funzione soprattutto civile della critica, interpreta meglio dell’ideologizzante filoneoralista Carlo Salinari il decisivo libro di Alberto Asor Rosa Scrittori e popolo (1965) che giudica sfavorevolmente i provincialismi del populismo e ridimensiona il ruolo dell’impegno socio-politico degli scrittori. Poiché – rivendica Asor Rosa – “il fatto estetico ha le proprie leggi, non confondibili con quelle della politica”»9.

È come la concezione del tempo che, nel tempo, ora visto nel movimento e ora nei numeri, non è né l’uno né l’altro (che non risponde alle condizioni delle soluzioni classiche) e tuttavia, pur essendo un indecidibile, esiste e significa la sua freccia sotto l’arte dei numeri immaginari allorquando i calcoli vanno oltre i limiti della velocità della luce. E nella significanza i vari “io” di ricerca e sperimentali non sono immuni dai moti caotici di tipo browniano e catene markoviane. C’è di mezzo la certezza-incertezza/decibilità-indecidibilità della logica probabilistica o polivalente! E «l’indecibilità tra poesia (o post-poesia) e prosa in prosa riguarda – scrive la Policastro – autori emersi nell’ultimo decennio, tra cui Silvia Tripodi, che dalla scrittura frammentata e straniata degli esordi giunge, nella sua fase compiuta, ad articolare un’originale flessione in versi sul linguaggio, le percezioni, le strutture e i (pre)concetti del contemporaneo, con un’intenzione al tempo stesso tipica dell’area sperimentale e distante da certe sue riserve fobantrope […]»10.

Instabile e critica, fra le nuove proposte, “l’ultima poesia” si muove così fra diversi modelli come un insieme, “insieme generico”, infinito potenziale, oggetto di ricerca sperimentale! Poesia sperimentale! Improponibile, dunque, l’egemonia di un tipo! I tipi! Anche qui la parola tipo ci richiama la mente alla logica concettuale-oggettuale non contraddittoria della teoria degli insiemi di George Cantor (fondatrice della matematica classica partendo dai due principi di “comprensione” e di “estensione” di Gottlob Frege) e dell’inglese Bertrand Russel. Il filosofo, logico e matematico che, nonostante elabori la teoria della successione ordinata dei “tipi/livelli”, ci presenta tuttavia il conto dell’inconfutabile antinomia dei concetti autoreferenziali (come la verità del mentitore – dice il vero se dice il falso, e dice il falso se dice il vero –, ci sono insiemi di tutti gli insiemi che, come elementi, appartengono o non appartengono a sé stessi? Se appartiene a sé stesso è un suo elemento e quindi non può rappresentare il tutto. Se non appartiene, egualmente, non può rappresentare il tutto perché avrebbe dovuto autoincludersi. È come se ci trovassimo di fronte a una carta geografica che rappresenta ogni punto ma esclude sé stessa dalla rappresentazione). E ciò a fronte della logica intuizionista che (senza inficiare la validità complessiva di una teoria) ammetteva invece l’esistenza di contraddizioni locali (la razionalità, per esempio, dei numeri irrazionali; l’onda-fantasma o l’onda-corpuscolo nella fisica dei quanti; il paradosso del gatto vivo e morto del fisico della meccanica quantistica Erwin Schrödinger; l’ossimoro in poesia!). Un modello di logica, quello intuizionista, che nel 1925 il logicista inglese Frank Plumpton Ramsey dichiarò rappresentare una «significativa “vendetta” di Brouwer nei confronti del cantorismo […] una “minaccia bolscevica”»11 per la logica oggettiva e deterministica della teoria classico-insiemistica con i suoi principi di “comprensione” ed “estensione” (la logica aristotelica della bivalenza e della non contraddizione con le sue assunzioni di realismo).

Poesia sperimentale – scrive Francesco Muzzioli, per inciso – non vuol dire però assenza di coordinate (lui ne individua otto: Una definizione, Cosa si intende per sperimentalismo, in https://francescomuzzioli.com/2019/11/27/cosa-sintende-con-sperimentalismo/). Coordinate che chi scrive (sempre per inciso) ha visto nell’ottica marxiana delle “astrazioni determinate” o “sintesi di molte determinazioni: unità del molteplice” (Antonino Contiliano, L’economia politica dello sperimentalismo poetico-astrazioni determinate e risonanze, in https://retroguardia.net/2021/09/05/leconomia-politica-dello-sperimentalismo-poetico-astrazioni-determinate-e-risonanze/)12.

La rottura dei modelli o dei paradigmi, a seguire i cambiamenti succedutisi nel tempo (a volte anche in contemporanea), non è dunque proprietà esclusiva di nessuna teoria. Il 1963, infatti, se da un lato ha visto la nascita del Gruppo 63 e la crisi della logica della concezione della poesia lirica (e da allora in poi “l’ultima poesia”), ha visto nascere anche le fratture che hanno interessato le logiche fondazionali scientifico-matematiche. Quelle che, partendo dalla logica insiemistico-oggettivista e del metodo biunivoco (la teoria di Gottlob Frege e di Georg Cantor), indagavano sulla coerenza e dimostrabilità o meno dell’“ipotesi del continuo” e sulla cardinalità (numerabilità) dell’infinito attuale (calcolo quantitativo degli elementi e delle classi). La concezione insiemistica (oggettivista e determinista) infatti vedeva infrangersi la sua certezza e verità sotto i colpi della minaccia bolscevica (parafrasando il logico inglese Ramsey del 1925) ad opera dell’insieme generico (un insieme, questo, mai determinabile definitivamente) e del metodo del forcing/costrizione inventati dal matematico americano Paul Cohen. Due individuazioni teorico-metodologiche che non sono estranee alla logica dell’affermazione epistemica, la logica cioè che pone un’ulteriore possibilità costruttiva proposizionale. Una proposizione sulla realtà delle cose, nella sua composizione, infatti non è vera in quanto oggettiva e completa ma è tale (vera) perché io so, conosco (è cioè compatibile con le conoscenze di ciascuno (l’individuo non onnisciente della logica epistemica!).

Ora, per concludere il passaggio, l’intero percorso del lavoro de “l’ultima poesia”, delineato dalla Policastro con i suoi rimandi (fonti, lezioni, documenti, citazioni, incontri, traduzioni), non pare lontano, secondo chi scrive, dal poter considerare i testi poetici-non-poetici della nuova sperimentazione (e della ricerca) simili alle composizioni (sempre determinabili) dell’“insieme generico” o vuoto. Il vuoto-pieno e senza una definizione, come nell’assiomatica dei numeri naturali del matematico e logico italiano Giuseppe Peano sono i termini non definiti di zero, successivo e numero naturale. Un analogo vuoto è il vertice del cono rovesciato e senza base della teoria dei “tipi/livelli” di Bertrand Russel. Il vuoto, ancora, sotto cui potrebbe essere ri-declinato il nome “poesia” come un insieme generico (assumibile come entità primitiva e non definita in prima istanza). Un genere degenere, un anomalo, le cui composizioni di volta in volta sono scelte libere di elementi intrecciati e mescolati come l’onda-corpuscolo della fisica quantistica. Una rappresentazione fluido-termodinamica in espansione e capace di rendere visibile l’intuizione concettuale paradigmatica della poesia-insieme-generico (genere non definito aprioristicamente, vuoto), mentre i suoi livelli successivi vi sarebbero ritagliati a colpi di cut-up e montaggio.

Il libro della Policastro, in tal senso, guardando l’indice, sembra argomentato come una rete di nodi generatori che relazionano passaggi e scelte differenziali orientate all’integrale-poesia. Il mondo che non ha muri da installare e confini da reticolare per fermare le correnti migratorie dei migranti. Se l’indice ci dice di una premessa (“Per una poesia contemporanea”), dei nomi, della bibliografia e dell’appendice ragionata, dice così anche di quattro capitoli con titolo (che sembrano definire un insieme di esperienze) e di paragrafi numerati individuanti delle specificità (insiemi di elementi testuali non riducibili ad un’unica logica, ma eterogeneità e mescolamenti):

SCOMPOSIZIONE E RICOMPOSIZIONE NELLA POESIA DEGLI ANNI SESSANTA (I.1. Nella “Palus Putredinis” di Laborintus, I. 2. Contaminazioni e conglomerati: lo choc dei Novissimi, I.3. Fuori dai confini, fuori-formato, I.4. I linguaggi del caos nella poesia di Nanni Balestrini); CORPI E ANTICORPI DAGLI ANNI SETTANTA AGLI ANNI ZERO (II.1. Poesia per il corpo, poesia per la voce, II.2. Questa non è una performance: reading vs installazione);

RITORNO AL CUT-UP: LA POST-POESIA DEGLI ANNI DIECI (III.1. Campionatura e montaggio del testo-mondo, III. 2. La vita circolare degli oggetti: Tarkos e Quintane precursori della “prosa in prosa”); APPROPRIAZIONE E RIMOZIONE: L’AVANGUARDIA NELL’ETÀ DEL REMIX (IV. 1. La poesia circostante, IV. 2. I Novissimi 2.0: poesie per gli anni Duemila, IV.3. L’ultima poesia: dalla riduzione del sé all’estroversione del selfie, IV.4. Effetti di prosa in prosa: poeti dopo il diluvio).

Il tempo, come l’espansione e l’evoluzione dell’universo, non ha un termine ultimo né per le sue forme materiali e immateriali, né per i linguaggi che le categorizzano e le predicano nelle formalizzazioni dei numeri o delle lettere. Numeri e lettere non sono altro che segni e gradi di libertà per dire ciò che è allotrio, e perché Deucalione e Pirra – scrive Policastro –, scampati al diluvio, continuano a vivere e a trasformare il materiale e l’immateriale del fare poesia ibridandone l’intreccio come strategia di sopravvivenza della “poesia ultima” e non solo quella degli «“ultimi arrivati”». Gli scampati, continua l’autrice, «più saldi nel naufragio delle forme e dei generi […] senza dissipare o rinnegare l’eredità delle sperimentazioni più o meno recenti, riscriveranno il dopodomani […] del “capitolo poesia” riguadagnando l’interesse e l’onestà di dire le cose come stanno, senza l’imbroglio del poetico ingenuo e, all’opposto, senza la coazione all’impersonalità. […] che sappiano estrarre e valorizzare un senso (o “sentimento”) del tempo […] mischiando forme, strumenti e linguaggi e adattandoli all’idea della creazione/ ispirazione in regime di soggettività dialogica o multipla o plu­rale, e non per forza come marca di eccezionalità e investitura misticheggiante o solipsistica»13.

Il diluvio non ha prodotto l’estinzione della poesia, così come la contraddizione e i conflitti delle teorie nei fondamenti della matematica non ne hanno decretato il fallimento.

La nascita (1963) del metodo del forcing e dell’insieme generico – opera del matematico americano Paul Cohen – ha generato una pluralità di metodi ed esiti diversi da quelli obbligati dalla logica bivalente (V/F) classica (oggettiva e deterministica: niente vaghezze e incertezze).

Gilda Policastro, dal canto suo, in risvolto di copertina, ricorda l’esperimento elettronico del 1961 di Nanni Balestrini. Il poeta antesignano del cut-up e «inventore di un algoritmo per ricombinare stringhe di testo al calcolatore […] come un campo aperto di verifica e possibilità […] contaminato da linguaggi e contesti del presente, andando dalla videoarte a Instagram».

Possibilità, contaminazioni, ibridazioni … logiche temporali e probabilità nel mondo della poesia come infinito in fieri (potenziale?).

Non saranno certamente i flussi automatizzati degli algoritmi del digitale capitalistico a fermare la creatività e l’azione bolscevica della poesia. I processi di soggettivazione straniante non mancano!

Marsala, dicembre 2021


NOTE

1 Gilles Deleuze- Felix Guattari, Ricordi di uno stregone. II, in Mille Piani- Capitalismo e Schizofrenia, Vol. I., Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1987, pp. 353, 354.

2 Maria Luisa Dalla Scabia Chiara, Recenti mutamenti di prospettiva nella problematica fondazionale, in Logica, Mondadori, Osca Mondadori, Milano, 1979, p. 203

3 Gilda Policastro, L’ultima poesia- Scritture anomale e mutazioni di genere dal secondo Novecento a oggi, Mimesis / I sensi del testo, Milano, 2021, pp. 121, 122, 123.

4 Maria Luisa Dalla Scabia Chiara, cit, p. 102.

5 Ivi, p. 57.

6 Gilda Policastro, cit., p. 171.

7 Alan Badiou, Elogio delle matematiche, Mimesis, Milano 2017, p. 26

8 Ibidem.

9 Stefano Lanuzza, Critico militante – solo a favore della letteratura, in Senza Storia- ’900 e contemporanei della Letteratura italiana, Oèdipus edizioni, 2021, p. 32.

10 Gilda Policastro, cit., pp. 159-60.

11 Maria Luisa Dalla Scabia Chiara, cit, p. 103.

12 1- Risvolto metaletterario (riflessione «sul rapporto dei diversi livelli testuali», perché ogni strumento viene vagliato in rapporto al sistema letterario vigente e in rapporto al processo di contrasto.); 2 Valenza critica implicita (la scrittura sperimentale «contiene un risvolto di critica verso la letteratura e il linguaggio in genere»); 3 Ironia e parodia (come polemos e antagonismo, o «forma di distanziamento, di straniamento»); 4 Frammentarietà (i testi sperimentali, essendo analitici e composti di tasselli eterogenei, si configurano come una «costellazione, se non una galassia, di tasselli semantici (frasi o addirittura singole parole) di cui il lettore è chiamato a indagare la connessione» razionalizzante ricorrendo alle possibili associazioni offerte anche dalla logica del sapere “retorico”) ; 5Montaggio (dell’organizzazione dei frammenti eteroclitici, strategicamente, se ne occupa il «montaggio (tecnica principe della modernità radicale) […] con le sue interruzioni, giunzioni o rotture, […] l’esistenza di un ritmo non armonioso, dissonante, zoppicante o quant’altro».); 6 Allegorismo (essendo asimmetrico il rapporto tra le cose, le idee prefigurate e i processi articolatori in azione, benjaminamente, il significato allegorico nei testi sperimentali «non è affatto scontato nell’allegorizzante: come significato gli compete ciò che l’allegorista gli assegna, […] lascia vedere il processo, l’“ostentazione della fattura”».); 7 Disparità di materiali (i materiali usati per la costruzione dei testi sperimentali sono di provenienza sia esterna che interna. «I materiali di provenienza esterna vengono dalla cultura collettiva e per essi è prevalente un trattamento critico-ironico. I materiali di provenienza interna, invece, derivano soprattutto dall’esercizio della psicoanalisi: sono frammenti onirici o brandelli di associazioni automatiche».), 8Trattamento dell’io (l’io, comunque operatore, della pratica sperimentale subisce «una radicale riduzione […] malgrado tutto al centro della scena, viene eroso dall’interno, mostrando il carattere costruito e plurale di qualsiasi identità»).

13 Gilda Policastro, cit., p. 172.

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