“L’epica storica di Fenoglio” e “Appunti sulla tradizione delle Rime di Aretino: le antologie a stampa (e una rara miscellanea di strambotti)”

L’EPICA STORICA DI FENOGLIO di Alberto Casadei

Dalla prospettiva di Fabrice del Dongo, così appare la morte in battaglia a Waterloo.

Ce qui le frappait surtout c’était la saleté des pieds de ce cadavre qui déjà était dépouillé deses souliers, et auquel on n’avait laissé qu’un mauvais pantalon tout souillé de sang […].Une balle, entrée à côté du nez, était sortie par la tempe opposée, et défigurait ce cadavre d’une façon hideuse ; il était resté avec un œil ouvert (Stendhal, La Chartreuse de Parme, cap. 3, ed. H. Martineau, 59).


Per chi era partito con l’idea che la morte sul campo fosse prima di tutto« bella », ossia eroica e fonte di gloria, il disinganno non potrebbe essere più completo. Il corpo disfatto dell’umile soldato non ha niente di solenne, non ha il potere di cancellare la sua materialità, soprattutto nei tratti più degradati o spaventosi (la sporcizia dei piedi, l’occhio rimasto aperto).Insomma, nessuna sovra interpretazione epica, ossia di un’ideologia della vittoria creata per esaltare la forza di un intero popolo attraverso i suoi eroi, può servire a modificare la percezione diretta della brutale consistenza della corporeità priva di vita : quanto rimane di un combattente sconfitto.

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Marco Faini, ‘Appunti sulla tradizione delle Rime di Aretino: le antologie a stampa (e una rara miscellanea di strambotti)’, in Dentro il Cinquecento. Per Danilo Romei (Manziana: Vecchiarelli, 2016), pp. 97-142.

Le rime di Pietro Aretino costituiscono un corpus di ragguardevoli dimensioni all’interno del quale è possibile distinguere tra due gruppi ben identificabili di testi. Il primo di tali gruppi è quello costituito dalle rime attualmente leggibili nel tomo primo delle Poesie Varie curato da Giovanni Aquilecchia e Angelo Romano per l’Edizione Nazionale delle Opere.

Sono, queste, opere la cui concezione appare unitaria – si pensi alla giovanile Opera nova, ai celeberrimi Sonetti soprai XVI modi o, ancora, alle Stanze in lode di Madonna Angela Serena o agli Strambotti a la villanesca– tanto da potersi considerare vere e proprie raccolte d’autore, con una tradizione testuale ed editoriale ben riconoscibile. I testi pubblicati da Aquilecchia e Romano nonesauriscono però la totalità delle poesie aretiniane, molte delle quali ebbero trasmissione incluse in altre sue opere, in primo luogo le Lettere e le Sei giornate, o nelle numerosissime scelte antologiche che affollavano il panorama editoriale medio cinquecentesco.

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