Alberto Toni, “Tempo d’opera”. Introduzione di Roberto Deidier

[Pubblichiamo l’introduzione di Roberto Deidier al volume di poesia Tempo d’opera, da poco uscito per Il ramo e la foglia. Ringraziamo l’editore. Tempo d’opera è il libro postumo di Alberto Toni, scrittore e drammaturgo, esponente della scuola romana, morto nel 2019].

Alberto Toni, Tempo d’opera, a cura di Roberto Deidier, Il ramo e la foglia, p. 108, 13 euro


di Roberto Deidier

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In un pomeriggio del 1988 (l’estate si era conclusa da poco, ma il caldo non cessava) entrai nella vecchia Feltrinelli di via del Babuino, libreria piuttosto accogliente verso la poesia, anche quella dei piccoli editori. All’uscita avevo con me due volumi, uno considerato già un classico, l’altro dal titolo che segnava l’avvio di un percorso certo. Si trattava di Ora serrata retinae, con l’inconfondibile copertina gialla della collana curata da Valerio Riva, e di Partenza, nell’elegante confezione editoriale di Empirìa, che richiamava un sano artigianato tipografico. Sulla copertina grigia, che mi fece pensare alle Occasioni di Montale nella prima edizione degli anni Trenta, c’era una finestra socchiusa, che dava un’impressione di penombra. La poesia romana degli anni Ottanta mi veniva così incontro attraverso i suoi autori: li rivedo in una fotografia, Valerio Magrelli con gli inconfondibili baffi dietro cui camuffò a lungo i suoi vent’anni, e accanto a lui Alberto Toni, di tre anni più grande ma che sembra il più giovane tra i due, in una tenuta ancora adolescenziale e lo sguardo smarrito dietro i grandi occhiali, mentre il sorriso accennato di Valerio ostenta una sicurezza sorniona malcelata dalla timidezza.

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Francisco Soriano, “frammenti”. Un immaginario resistente fra tempo e spazio

Francisco Soriano, frammenti, Eretica Edizioni, 2022, pp.92, €15,00


di Paolo Lago

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I “frammenti” (così suona il titolo) che costituiscono questa raccolta poetica di Francisco Soriano sono legati fra di loro da un incessante movimento fra spazio e tempo e si uniscono sinuosamente fino a costituire l’aspetto formale di un poemetto il cui ritmo ora accelera, ora, invece, decresce e rallenta. Le stesse poesie appaiono come dei “cocci” (ricordiamo che Catullo chiamava i suoi versi nugae, “sciocchezze” e Petrarca proprio fragmenta, dei “frammenti” in volgare) raccolti lungo un incedere dalle parvenze picaresche, un incedere senza meta che conduce il poeta a un viaggio a metà fra reale e immaginario: “raccolgo i cocci. / mi accorgo – / sono poesie” – leggiamo nel primo componimento, che suona quasi come un proemio. Quei cocci raccolti per strada, lungo il cammino, vengono plasmati e riattaccati insieme come in un antico mosaico ricostruito, emerso dai sogni e da un immaginario che non si potrebbe definire altrimenti che resistente. È da questo immaginario che emergono i cocci e il poeta, come un archeologo incantatore, quasi come il Fellini fattucchiere e mago che oniricamente rievoca al cinema il mondo antico del Satyricon di Petronio, li ricuce insieme per creare quel piccolo gioiello che noi lettori abbiamo adesso sotto gli occhi: un poemetto, appunto, costruito solo con lettere minuscole (secondo uno stile che Soriano utilizza anche per i suoi suggestivi interventi su “Carmilla online”) che si muove sinuoso come un racconto che attraversa inesorabile, con il suo spirito contemporaneamente esangue e battagliero, una concrezione immaginaria di spazi e tempi.

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Il wu wei della poesia contro le guerre n.27: Giorgio Moio, “Un movimento curvilineo”. Lettura di Fabiola Filardo

Il wu wei della poesia contro le guerre a cura di Antonino Contiliano e Fabiola Filardo.

Giorgio Moio, “Un movimento curvilineo”. Lettura di Fabiola Filardo


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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (MARCO PRAGA)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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MARCO PRAGA.

Milano, agosto del ’94.

L’ho incontrato al Savini. Parla poco, anzi gli amici intimi mi han detto che non ama parlare d’arte. È alto, biondo, esile, ben elegante e… per chi se ne occupa, è un ciclista appassionato. Ho voluto «intervistarlo» perché egli ha fama di essere stato un innovatore nel teatro italiano, ma certo non ho trovato in lui l’entusiasmo dell’apostolo. Per scuotere una sua apparente indifferenza alla discussione, ho attaccato il suo ultimo dramma direttamente cosi:

— Perchè hai scritto L’Erede? Ha avuto una causa estetica questo ritorno all’antico, tanto più strano in te che tra gli altri eri stimato modernissimo?

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Il wu wei della poesia contro le guerre n.26: Antonio Porta, “Airone”. Lettura di Fabiola Filardo

Il wu wei della poesia contro le guerre a cura di Antonino Contiliano e Fabiola Filardo.

Antonio Porta, “Airone”. Lettura di Fabiola Filardo


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Nero Carlo Levi

Carlo Levi. Autoritratto, 1945
(Roma, Fondazione Carlo Levi)

Nero Carlo Levi


di Paola Bonazzi 

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Quando troverò un colore più scuro del nero, lo indosserò. Ma fino a quel momento, mi vestirò di nero” era solita proferire Coco Chanel. Da più di un secolo il nero è entrato nella moda come una tinta elegante, minimalista, persino sensuale. Ma il nero è stato, e lo è ancora, anche simbolo delle tenebre, della notte senza lume, il colore della miseria e morte. Nella sua assenza di colore, l’archetipo del nero allude all’assenza, e perciò al lutto, che di tutte le assenze è la più dolorosa. Il nero evoca anche l’universo prima che fosse nato, il caos primordiale avvolto in un manto di oscurità, prima della materia, prima della luce: il nero primordiale al tempo zero, ricco di potenzialità generatrici, come fecondo è il ventre oscuro della terra fertile e madre dove il seme, al buio, germoglia.

Il nero come simbolo di un tempo arcaico, il suo pulsare negli antichi riti di magia e di morte, è il nero che tanto frequentemente ritroviamo nell’opera di Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975): un nero che sottolinea quasi ossessivamente il carattere dei luoghi, aspri e primitivi, e di chi, uomini e animali, in quei luoghi vi conduce l’esistenza, suo malgrado. È il nero degli abiti delle donne, dei loro occhi pungenti, un nero doloroso, asciutto, profondo: “occhi neri, che i pianti di infinite vigilie fatto han vuoti, guardate nel profondo dell’anima”, scriveva nel 1935 durante il suo confino in Lucania, terra al principio del tempo, dimenticata dagli uomini e dove Dio non è mai arrivato (Cristo si è fermato a Eboli, 1945).

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Il wu wei della poesia contro le guerre n.25: Giovanni Lombardo, “Insensata”. Lettura di Fabiola Filardo

Il wu wei della poesia contro le guerre a cura di Antonino Contiliano e Fabiola Filardo.

Giovanni Lombardo, “Insensata”. Lettura di Fabiola Filardo


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