Mauro Germani, Tra tempo e tempo, Readaction ed., Roma 2022, pp.100, € 14,50
di Rinaldo Caddeo
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Con una prosa limpida, urgente, essenziale, Mauro Germani ci conduce per mano, con garbo, ma senza risparmiarci nulla delle cose che contano, (le perdite, i guadagni, le zone morte, le oasi di pace), nella vita di un uomo, lungo le piazze, le strade, gli angoli reconditi della propria anima, con un percorso circolare e circolatorio.
La prima frase del libro («Sempre più spesso mi rifugio nelle chiese») e l’ultima («Con una speranza che è grido e, insieme, preghiera») ne racchiudono una sintesi. Forse per la prima volta il lemma mistero, così funzionale, nella sua polivalenza, a tutta la ricerca di Germani, riceve un inequivocabile approdo religioso: la rivelazione (si veda, in particolare, il capitolo Il velo e i segni). Ma non è certo l’unico senso.
Si tratta di un libro d’ore e d’incantesimi, di ricordi e di presagi, di ferite aperte e rimarginate. Un libro di sogni liberatori e di incubi ricorrenti, del buio della notte, del vuoto enorme delle navate delle chiese e delle luci accese dietro le vetrate.
Un libro di apparizioni e sparizioni, di attese e di abbandoni febbrili.
I deuteragonisti di questi micro-drammi sono i morti e i vivi, la madre, gli amici, le parole della memoria, le immagini dell’infanzia e un variegato ma interconnesso panorama di letture, sollecitazioni e assimilazioni di pensiero, arte, letteratura. Testori, Nietzsche, San Giovanni della Croce, Epicuro, Kirkegaard, Heidegger, Jaspers, Montini, Giorgio Gaber, i film di Sergio Leone, i racconti di Dino Buzzati, sono solo alcuni degli interlecutori che entrano in risonanza creando un microcosmo inconfondibile.
Di Buzzati si narra un sintomatico e comicissimo incontro mancato. La conclusione è ineccepibile: «Quando, una ventina di anni fa, raccontai il fatto ad Almerina (la vedova dello scrittore), lei scoppiò a ridere ed esclamò: “Questo episodio sarebbe piaciuto molto a Dino!”» (pag.30).
In questo volume autobiologico, prima ancora che autobiografico, l’incontro e l’esperienza della scrittura rivestono un rilievo capitale. Vi sono descritti con stilnovista congruenza (io mi son un che quando Amor m’ispira noto e a quel modo ch’ei ditta dentro, vo significando, Dante). Questa cogenza multipla, originaria e definitiva, attraversa tutta l’opera di Germani: «Improvvisamente prendevo il mio quaderno e scrivevo, scrivevo. Ero una specie di alunno di me stesso (di un me stesso ignoto), oppure di un maestro invisibile, sconosciuto, che mi dettava le parole. La mia era una forma di liberazione e al tempo stesso di obbedienza: liberazione dal mondo e dalle sue regole e obbedienza a un’altra voce, a un Altro, che era fuori e dentro di me. Una specie di sortilegio, un’avventura dell’anima.» (Pag.22).
In questa disamina non mancano ragionate rinunce, puntualizzazioni, dissensi, sdegni. L’autore si leva qualche sassolino dalle scarpe: «Credo che la sofferenza della mia parola sia sempre stata diversa. E poi non penso proprio che “la poesia salva la vita”, come afferma qualcuno. Quali poteri avrebbe? Perché volerla mitizzare e scriverla addirittura con la lettera maiuscola? C’è chi si fregia del nome di “poeta”, come se fosse un’anima superiore, uno che si è votato a una causa eccelsa e “combatte” con la parola per la parola. E, contemporaneamente, si promuove sui vari social, mediante post di ogni tipo, o video-letture, in cui recita i propri versi, annuncia le proprie pubblicazioni e la partecipazione a numerosi eventi (alcuni dei quali veramente risibili, per non dire peggio). È un continuo mettersi in mostra, un voler essere presenti ovunque e comunque. È – a mio giudizio – una vera e propria pornografia disgustosa.» (Pag.32). Parole forti ma ben calibrate.
Di altra natura la ricerca e la testimonianza di Mauro Germani: «Io, ormai, preferisco starmene in disparte. Ritornare alla fabbrica delle tende [richiamo a un ricordo paradigmatico], che non c’è più, e cercare di capire, di capirmi. Aspettare, finché ho tempo, sotto il cielo di questa sera che guardo e che mi guarda.» (Pag.33).
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