Lettura d’autore: da un incontro con Giorgio Manganelli

[Il numero 44 di “Riga” è dedicato al centenario della nascita di Giorgio Manganelli. I due curatori, Andrea Cortellessa e Marco Belpoliti, riaggiornano con nuovi e corposi materiali il numero già uscito nel 2006. E ci permettono di ospitare stralci di un incontro realizzato in università da Manganelli il 19 aprile 1986 su invito di Mario Costanzo Beccaria, docente di Storia della critica letteraria. Attenzione, non è il Manganelli recalcitrante delle interviste, ma un Manganelli a ruota libera. a. i.]

.Mario Costanzo

In un articolo apparso di recente, Andrea Zanzotto si domandava se possa un poeta parlare di poesia o addirittura della propria poesia (o di che altro, semmai?).

In questi giorni, riordinando vecchie carte, relative agli anni Cinquanta, periodo in cui facevo tirocinio alla “Fiera letteraria”, ho ritrovato un biglietto di Montale che mi scriveva: “Non mi chieda, la prego, di parlare della mia poesia; meriti o non di essere detto poeta, a giudizio degli altri, perché il poeta è la sua poesia, o non è. E la poesia parla solo di se stessa, dice sempre e soltanto se stessa, appena per questo può avere e forse ha il diritto di rivolgersi ad altri esprimendo tante cose, anzi, tutte le cose”. (Le nomina e il nome agisce: ricorderete “Buffalo! – e il nome agì”).

Potrò scrivere, se vuole, qualche rigo su Gozzano, Sbarbaro, Solmi, Barilli, su me stesso no, o semmai solo da estraneo; proverò, infine, forse per non deluderla; ma anche Lei provi a intervistarmi pensando a me e aiutandomi a pensarmi come a un altro me stesso, al mio doppio, al mio sosia, ecco, come a uno pseudo-Montale”.

Starà alle vostre domande, sollecitazioni e, perché no?, anche provocazioni, snidare un po’ Manganelli e lo pseudo Manganelli.

 Giorgio Manganelli

Non ho la minima idea di quello che dirò, e cioè non ho un’idea molto precisa, perché sono venuto qui non sapendo esattamente di cosa avrei dovuto parlare se non di qualche cosa che si chiama letteratura, che è un coso in cui si entra da tutte le parti quindi non si sa quale porta sia da preferire o da considerare in qualche modo pregevole. Sapevo che il discorso doveva prendere le mosse dal saggio, dal tema del saggio, e da qui passare alla narrativa e alla discontinuità nell’ambito della narrativa, e m’è venuto in mente che il modo più semplice di spiegare che cos’è il saggio è di ricordare un’esperienza che certamente avete avuto tutti voi quando eravate al liceo, cioè di svolgere un tema e di vedere scritto in fondo, dal professore, “è fuori tema”. In quel momento voi avete scritto un saggio, cioè siete usciti da un tema, siete usciti da una linea di retta di percorso, avete abbandonato la coerenza del discorso in qualche modo ufficiale: si doveva parlare di un certo tema, voi avete parlato di altro. Il parlare di altro è molto interessante, forse molto più interessante di quanto non sia il parlare di qualche cosa che ci si propone.

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