di Giuseppe Panella
A proposito di Traduzione e poesia nell’Europa del Novecento, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 862
«Le teorie della traduzione possiedono ormai una tradizione di studi ben salda; lo stesso si può dire delle teorie dell’interpretazione. Anzi, c’è da chiedersi se l’interesse per quell'”interprete”, che appare coinvolto in ruoli diversi: più “alto” nelle varie teorie dell’interpretazione (e dell’ermeneutica), più “basso”, pratico, legato quasi alla performance dell’oralità – nell’esercizio dell’interpretariato – e in quello pratico sui testi, non abbia finito per portare su troppe piste lo stesso traduttore. Sicuramente, dopo le più o meno recenti riflessioni sulla traduzione, il traduttore è consapevole del fatto che il suo destino dipende da questa sorta di doppia identità: per cui, più sa interpretare, più sa tradurre; non solo, ma sa anche che la sua è un’attività che si svolge in un universo totalmente ermeneutico. Tuttavia, il percorso che conduce al riconoscimento dell'”inscindibile alleanza” non è stato sempre piano e coincide, in pratica, con la storia delle teorie della traduzione: dove il profilarsi di un universo di interpretazione generalizzata (dovuto alla presenza delle molteplici operazioni di “trasferimento semantico” di cui parlerà Steiner) è sembrato talvolta poco avvalorante e comunque da evitarsi. Il fatto è che l’interprete ha evocato subito il gioco delle parti a teatro, inducendo spesso a pensare alle possibili deformazioni, o aggiunte, dannose per l’idea abbastanza diffusa di una utopica “invisibilità dell’interprete”» – scrive Enza Biagini a p. 55 del volume in oggetto (il titolo del suo intervento, non a caso, è “L’interprete e il traduttore”).
Tradurre è, dunque, interpretare un testo di cui si vuole rendere conto in una lingua che non è la propria – una definizione che scivolerebbe facile e corriva ma i problemi che comporta non sono affatto banali (né di facile soluzione).
Ad esempio, Jean-Charles Vegliante (nel suo “Traduzione e studi letterari: una proposta quasi teorica” – pp. 33-52) è ben consapevole della natura di “senso” (e non solo di “significato”) da attribuire alla contiguità e alla consonanza poetica di testi di diversa appartenenza linguistica.
Per questo motivo, la traduzione conferma la propria capacità di raggiungere quella dimensione di differenza che costituisce il valore “aggiunto” dell’attività del traduttore alla pura riproduzione del testo altro in una lingua altrettanto altra.
Tutto questo è tanto più valido quanto più è riferito alla dimensione della traduzione poetica .