Un’utopia?

UN’UTOPIA? Un articoletto, forse un raccontino, che ha la sola ambizione di non volere offendere nessuno (1).


di Luciano Curreri (ULIEGE)

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Avrei voluto scriverlo subito, questo articoletto, questo raccontino, poi ho finito per aspettare quattro settimane circa. Oggi è il primo maggio, ho un po’ di tempo e penso sia giusto impegnarlo. Non tutti saranno d’accordo, lo so già, ma non si scrive mai per tutti, anche quando si ha l’intenzione di pubblicare (2).

Il 5 aprile scorso un’orsa, battezzata Jj4 (ma anche conosciuta, antifrasticamente, come Gaia) ha attaccato un giovane uomo, Andrea Papi, che correva nella Val di Sole, nei boschi sopra il paese di Caldes. L’aggressione si è rivelata mortale.

Non è mia intenzione farmi portavoce di una verità (io sto con gli orsi) o dell’altra (io sto con Andrea), né dei tanti discorsi ibridi, frutti di più o meno significative ‘negoziazioni’, tese comunque a ridurre o il bosco a misura d’animale o a misura d’uomo, o magari anche ad assoggettare l’animale a modalità umane: ‘non si tratta di vendetta ma di giustizia’, ‘se è un recidivo lo si abbatte’, ‘se non lo abbattiamo lo trasferiremo, o esigeremo che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere’.

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Guerra all’Europa

Guerra all’Europa

(Dal III cap. del libro inedito De Ukrajina. Il “piano” del sofo e dello zar)


di Stefano Lanuzza

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EUROPA CONTROEUROPA

Dopo Napoleone Bonaparte desideroso d’unificare l’Europa comprendendovi anche la Russia, c’è Victor Hugo che, il 21 agosto 1849, alla Conferenza Internazionale sulla Pace tenuta a Parigi, preconizzava una nascita degli “Stati Uniti d’Europa” che doveva favorire l’armonia universale: “Verrà un giorno” enunciava “in cui la guerra sembrerà così assurda fra Parigi e Londra, fra Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino da sembrare impossibile esattamente come, ai giorni nostri, lo sarebbe una guerra fra Rouen e Amiens, fra Boston e Philadelphia. Verrà un giorno in cui la Francia, tu Russia, tu Italia, tu Inghilterra, tu Germania, voi tutte, nazioni del Continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi stringerete in un’unità superiore e costruirete la fratellanza europea, così come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, la Lorena, l’Alsazia e tutte le nostre province si sono fuse nella Francia. Verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e le menti, che si apriranno alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto, dal suffragio universale dei popoli, dal tribunale arbitrale di un Senato grande e sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, la Dieta per la Germania, l’Assemblea legislativa per la Francia. […] Verrà un giorno in cui vedremo gli Stati Uniti d’Europa”.

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“Epigrafi” per il II cap. (“Echi di guerra”) del libro inedito “Il ‘piano’ del sofo e dello zar”

Epigrafi per il II cap. (Echi di guerra) del libro inedito Il “piano” del sofo e dello zar.


di Stefano Lanuzza

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L’invasione illegale russa è una violazione dell’Articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite, che vieta la minaccia o l’uso della forza contro l’integrità territoriale di un altro Stato.

Se per decidere ‘se debba esserci o no la guerra’ viene richiesto il consenso dei cittadini, allora la cosa più naturale è che, dovendo decidere di subire loro stessi tutte le calamità della guerra (il combattere di persona; il pagare di tasca propria i costi della guerra; il riparare con grande fatica le rovine che lascia dietro di sé e, per colmo delle sciagure, ancora un’altra che rende amara la pace, il caricarsi di debiti che, a causa delle prossime nuove guerre, non si estingueranno mai), rifletteranno molto prima di iniziare un gioco così brutto” (Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 1795).

Se tutti andassero in guerra solo in base alle proprie convinzioni, le guerre non ci sarebbero più” (Lev Tolstoj, Guerra e pace, 1865-1869).

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Perché non ci devono vedere – o sentire – arrivare? Sparse riflessioni inattuali su un ‘modo di dire’ attualissimo, che forse non è solo una citazione

PERCHÉ NON CI DEVONO VEDERE – O SENTIRE – ARRIVARE?

Sparse riflessioni inattuali su un ‘modo di dire’ attualissimo, che forse non è solo una citazione.


di Luciano Curreri (ULIEGE)

A Luisa, Mea, Lucrezia e Ludovica, le donne che amo

e che mi hanno sempre sentito o visto arrivare.

«Anche stavolta non ci hanno visto arrivare» (Elly Schlein); «perché sì, spesso non ti vedono arrivare» (Giorgia Meloni). Dietro queste frasi è, in prima istanza, la citazione del titolo di Lisa Levenstein, They Didn’t See Us Coming. The Hidden History of Feminism in the Nineties (2020). Su «la Repubblica» del 7 marzo 2023, in un articolo di Raffaella De Santis, si legge che Schlein ha colto il messaggio di Levenstein (parola d’autrice), perché allude a quel movimento, a quella base che l’ha sostenuta, mentre Meloni non avrebbe parlato che di sé stessa, cioè come singola donna. Possibile. Ma non è ciò che mi interessa. Come non mi interessa pensare che dall’origine comune della citazione si possa solo dedurre che analisti e politologi stavano guardando dalla parte sbagliata, quella dei maschi. E poi a me, e ad altre persone come me, sembra stupefacente che si ritenga ancora una novità il guardare solo in una direzione – tipico di alcuni colli ingessati – e l’ascesa di donne più o meno ‘giovani’ (metto gli apici perché l’aggettivo non ci dà più un’idea chiara, tanto la nostra ‘età di mezzo’ è stata dilatata), viste e considerate le grandi figure femminili che hanno fatto la storia della politica e della cultura (anche la sopravvivenza del femminismo dal basso, dopo la cosiddetta fine della storia, oltre che dell’impegno e dell’utopia, e cronologicamente ben prima di #metoo, non è del tutto una novità assoluta).

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Echi di guerra

Echi di guerra

A Mario Quattrucci (1936-2022), scrittore


di Stefano Lanuzza 

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Leggi anche I “Piani” del sofo e dello zar

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L’invasione illegale russa è una violazione dell’Articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite, che vieta la minaccia o l’uso della forza contro l’integrità territoriale di un altro Stato.

Gli uomini sono mistici della morte dei quali bisogna diffidare. […] Hitler non rappresenta l’apice, ne vedremo di più epilettici […]. L’unanime sadismo attuale muove innanzi tutto da un desiderio del nulla profondamente radicato nell’Uomo e soprattutto nelle masse di uomini, una specie di impazienza amorosa, più o meno irresistibile, unanime, di morire. […] Come distrazione ci sarà lasciato soltanto l’istinto di distruzione” (Louis-Ferdinand Céline, Omaggio a Zola, 1933).

La cartolina qui / mi dice terra terra / di andare a far la guerra / quest’altro lunedì. / Ma io non sono qui, / egregio presidente, /
per ammazzar la gente / più o meno come me. / […] / Per cui se servirà / del sangue ad ogni costo, / andate a dare il vostro / se vi divertirà” (Boris Vian, Le Déserteur, 1956).

Quando la violenza irrompe nella pacifica vita degli uomini, il suo volto arde di tracotanza ed essa porta scritto sul suo stendardo e grida: ‘IO SONO LA VIOLENZA! Via, fate largo o vi schiaccio!’. Ma la violenza invecchia presto, […] e per reggersi, per salvare la faccia, si allea immancabilmente con la menzogna. Infatti la violenza non ha altro dietro cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza” (Aleksandr Solženicyn, Vivere senza menzogna, 12 febbraio 1974).

Non c’è niente di nobile nell’usare le armi e le arti della guerra per appropriarsi della terra altrui” (Morihei Ueshiba, L’arte della pace, 1992).

talpa cieca / duce di blatte / il mondo prega / che tu / schiatti. / Innaffia di sangue la sorella / la terra del mio cuore. / Si dilapida la Russia spargendo i suoi semi: / denti marci di drago” (Vera Pavlova, Versi del tempo di guerra, in Voci russe contro la guerra, Università di Torino, 2022).

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I “Piani” del sofo e dello zar

I “Piani” del sofo e dello zar


di Stefano Lanuzza 

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Eccellenze, gentiluomini, nobili, cittadini! Che cos’è dunque il nostro Impero Russo? Il nostro Impero Russo è un’entità geografica, ossia una parte d’un noto pianeta. L’Impero Russo comprende: in primo luogo la Grande, la Piccola, la Bianca e la Rossa Russia; in secondo luogo i regni di Georgia, Polonia, Kazàn’ e Àstrachan’; in terzo luogo… Ma eccetera eccetera eccetera. Il nostro Impero Russo consiste in una moltitudine di città: capitali, provinciali, distrettuali, autonome; e inoltre: nella metropoli e nella madre delle città russe. La metropoli è Mosca; e la madre delle città russe è Kiev (Andrej Belyj, Pietroburgo, 1916).

In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi mettono in pericolo la continuazione dell’esistenza dell’umanità, noi rivolgiamo un pressante appello ai governi di tutto il mondo affinché si rendano conto e riconoscano pubblicamente che i loro obiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale, e li invitiamo, di conseguenza, a cercare mezzi pacifici per la soluzione di tutte le questioni controverse (dalla “Dichiarazione sulle armi nucleari” firmata da Albert Einstein e da altri scienziati, e inviata il 9 luglio 1955 ai capi di Stato e di governo degli Stati Uniti, URSS, Cina, Gran Bretagna e Francia).

Una mattina mi son svegliato / o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao / una mattina mi son svegliato / e ho trovato l’invasor (Bella ciao. Inno della Resistenza, s. d.).

ALEKSANDR DUGIN

Elaborazioni di pensiero con prevalenti toni messianici rigidamente dogmatici o solo apodittici, talora prepotenti “piani” sono quelli prospettati da Aleksandr Dugin (Mosca, 1962), sofo-politologo russo, nazionalista nostalgico dell’imperialismo zarista e d’una Russia composita multietnica sconfinata, autoritaria conflittuale repressiva, avidamente imperialista eppure supremamente presente nella cultura europea con la sua letteratura, la musica classica, la danza, l’arte figurativa, l’architettura, i musei, il folklore.

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Per un’est-etica-politica militante s-militarizzata de-localizzazione

Verso Kabul- acrilico su tela 40×40- di Giacomo Cuttone

Per un’est-etica-politica militante s-militarizzata de-localizzazione


di Antonino Contiliano

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i russi russi timeo Cri-mea

e cri cri in suso i Nato-fusi

dona ferentes e tombaroli sono

e dell’archeologia insapiens usura

Steli

Non è né insolito né nuovo che – in funzione analitico-intellettuale – i quadri concettuali e il lessico teorico-conoscitivo trasmigri da un campo ad altro del sapere. Così il concetto di isotopia dal linguaggio della fisica passa a quello della poesia; l’onda sonora armonica di Louis De Broglie dalla musica passa alla fisica quanto-relativistica; l’equivalenza dalla geometria e dall’economia passa alla scrittura poetica. Egualmente, poi, le similitudini, le metafore, le analogie e le anomalie … dalla produzione letterario-poetica passano a quella delle indagini conoscitive e della scienza (in genere). Dal canto nostro pensiamo, invece, di far trasmigrare il termine “delocalizzazione” dal campo dell’economia-finanziaria (propria al pensiero unico del neoliberismo capitalistico globalizzato) a quello (in genere) dell’estetica, dell’arte e della poesia: lo riscriviamo come de-localizzazione. Come dire che le parole non si possono brevettare (non c’è il copyright). Non sono proprietà esclusiva del linguaggio del modello di un sistema (capitalistico o altro …). Parafrasando “Humpty Dumpty”, interrogato da Alice sulle parole che hanno significati così diversi (Lewis Carrol, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò), Humpty Dumpty ribatte che il problema è uno solo. Prendere posizione. Chi decide che! Chi è il padrone della lingua? Tutto qui! Così può succedere che chi – sotto il dominio di un regime identitario (Herbert Marcuse, Arte e rivoluzione) – dice pace, libertà e autonomia per mettere fine a una sporca guerra, in realtà significhi altro (vedere l’attuale guerra giocata in Crimea…). Il mettere fine alla guerra, infatti, significa «esattamente ciò che il governo belligerante sta facendo, anche se può essere in realtà tutto il contrario, e cioè intensificare il massacro invece che estenderlo; la libertà è esattamente ciò che il popolo ha sotto l’Amministrazione, anche se può essere in realtà tutto il contrario»1.

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Primo Levi

(27 gennaio Giorno della Memoria. Quando il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa, che avanza verso la Germania, libera il campo di concentramento di Auschwitz)

Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tornando a sera / Il cibo caldo e visi amici: // Considerate se questo è un uomo…” (P. Levi, Shemà, 10 gennaio 1946); “[…] guardavamo i soldati tedeschi che passeggiavano per le vie con aria innocua, e ci capitava di osservare fra noi: ‘Eppure sono uomini che ci rassomigliano: come possono fare quello che fanno?’. Eravamo fieri di noi, perché riuscivamo a non capirli” (J.-P. Sartre, Prefazione a H. Alleg, La Question, 1958).


di Stefano Lanuzza 

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Italianista, critico letterario, filologo e autore di poesie nel vernacolo del nativo paese di Piossasco nel nord-ovest piemontese, Giovanni Tesio pubblica recentemente, con Lindau, il romanzo di formazione Gli zoccoli nell’erba pesante (2018) e, per le edizioni novaresi Interlinea, un personale, sapiente “sillabario” (Parole essenziali, 2014) seguito dai versi dialettali con autoriale testo italiano Nosgnor (2020). Fino al magnifico volume di saggi La luce delle parole (2020), propizia dichiarazione d’un “amore mai deluso” – per cosa se non per la letteratura?

S’aggiungano le impegnate antologie Nell’abisso del lager. Voci poetiche sulla Shoah (2019) e Nel buco nero di Auschwitz. Voci narrative sulla Shoah (2021), sistematica dilogia redatta sulla scorta d’una confraternita di testimoni – narratori e poeti che prendono la parola smentendo l’intemerata di Adorno secondo cui, dopo Auschwiz, non avrebbe più senso scrivere poesie… Invece non si censura la poesia che, secondo l’oggi negletto Benedetto Croce, è autonoma, scevra d’ogni condizionamento e perfino definizione: ché altro essa non sarebbe se non sé stessa o ‘cosa in sé’.

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L’assegno è del Professore! Lo strano caso dei concorsi per gli Assegni di Ricerca

di Giovanni Inzerillo

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Le classifiche mondiali non consolano; nessuna delle Università italiane, stando all’ultima proiezione stilata dal «Times» nel 2012, si piazza entro il centesimo posto, compresa la vetusta mater bolognese o «La Sapienza» capitolina che già solo per il nome dovrebbe meritarsi il primato, seppure dopo i recenti scandali di assunzioni parentali facili che hanno coinvolto il Rettore.

La notizia in fondo può scoraggiare ma nemmeno così tanto se si considerano i parametri con cui queste statistiche vengono effettuate: l’offerta formativa, l’innovazione della ricerca, l’influenza delle pubblicazioni, la percentuale dei laureati e degli abbandoni, dell’età di conseguimento del titolo e dei fuori corso, persino la qualità dei dormitori e delle mense. Un po’ troppo fumo, forse. Basterebbe confrontare i nostri programmi accademici con quelli di molte altre Università estere, persino tra le più prestigiose, per comprendere che l’Italia non merita affatto i bassi posti in classifica e che i nostri studenti escono tutt’altro che sconfitti nel confronto coi colleghi stranieri. Conosciamo meno lingue, bene forse nessuna, è vero, siamo dotati di poco spirito pratico infarinati, come siamo, di dottrine e concetti teorici, ma siamo indubbiamente assai intelligenti e dotti, questo almeno ce lo si deve riconoscere.

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Il sistema ciellino in Lombardia. Articolo di Giorgio Morale

Propongo qui un articolo uscito sulla rivista «Lo Straniero», a. XVI, n. 144, giugno 2012, pp. 55-60. Lo stesso è uscito in rete il 19 giugno 2012 su La Poesia e lo spirito. Ringrazio Giorgio Morale per l’autorizzazione a pubblicare il suo articolo su Retroguardia. (f.s.)

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Il sistema ciellino in Lombardia
di Giorgio Morale

Canzoni e fumo
ed allegria
io ti ringrazio sconosciuta compagnia.
Non so nemmeno chi è stato a darmi un fiore
ma so che sento più caldo il mio cuor
so che sento più caldo il mio cuor.

Questa canzone piaceva ai ragazzi di Comunione e Liberazione (CL), che sul finire degli anni Ottanta la cantavano in apertura dei loro raduni. Era il pretesto per l’intervento di don Giussani, che metteva i puntini sulle i: a chi ha sete non basta un succedaneo. Continua a leggere “Il sistema ciellino in Lombardia. Articolo di Giorgio Morale”

In memoria di Wisława Szymborska

«Se mi fa paura la morte? Per me la morte non esiste. Esiste un certo fatto penoso, nel senso del dolore. Quando penso alla morte, penso alla sofferenza, non alla morte come tale. La morte semplicemente non c’è. Non so… una volta sognai che ero morto. Somigliava molto alla realtà. Avvertii una liberazione, una leggerezza incredibile. Forse proprio questa sensazione di libertà e leggerezza mi diede l’impressione di essere morto, sciolto da tutti i legami con il mondo. Spesso l’uomo confonde la morte con la sofferenza. Forse, quando la incontrerò faccia a faccia, avrò paura, penserò diversamente… è difficile dirlo»
(Andrzej Tarkovskij)

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di Giuseppe Panella

E’ troppo presto ancora per fare un discorso generale sulla sua poesia (anche se la casa editrice Adelphi ha pubblicato tutte le sue poesie già dal 2009 (1) e una valutazione generale sulla sua opera sarebbe forse possibile).
Quando la Szymborska ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1996, il suo era un nome quasi totalmente sconosciuto in Italia come annotò, con pochissima “carità poetica”, il “Corriere della Sera” dando notizia della sua vittoria (2). Le edizioni italiane delle sue opere poetiche sono, in realtà, praticamente tutte successive al Nobel (3) e il suo nome, popolarissimo in Polonia dove i suoi libri vendevano come i romanzi di successo (4), continua a essere noto soltanto agli iniziati.
Lei stessa lo ammetteva con la consueta fine e smaliziata ironia di sempre:

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Crepuscolo del berlusconismo: e poi?

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di Giuseppe Panella

«Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione»
(Carl Schmitt, Teologia politica)

Le dimissioni di un premier non sfiduciato dalla maggioranza che lo sostiene in Parlamento sono, nell’ambito di una repubblica parlamentare non presidenziale, un caso anomalo e comunque di estrema rarità: un simile evento presuppone e profila l’esistenza di uno “stato d’eccezione”.  E’ quanto è accaduto in Italia quando il 12 novembre del 2011 il Premier è salito al Quirinale per rassegnare il proprio mandato istituzionale nelle mani del Presidente della Repubblica.
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