STORIA CONTEMPORANEA n.23: Fotografia come narrazione. Stefano Bottini

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P)

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di Giuseppe Panella

 

Fotografia come narrazione. Stefano Bottini, Riflessioni illuminate (foto mai viste), Perugia, Percorsi d’Arte, 2008; Luce e riflesso. Un altro mondo tutto da scoprire, Perugia, Percorsi d’Arte, 2007; Scarzuola. Il sogno alchemico di Tomaso Buzzi, Perugia, Percorsi d’Arte, 2007.

A parte i soliti Leonardo da Vinci, Gerolamo Cardano, Giambattista Della Porta (e Giacomo Battista Beccaria che si firma latinamente il Beccarius  e che scopre l’azione del nitrato d’argento sulla luce nel 1757), l’inventore della fotografia è probabilmente Joseph-Nicéphore Niepce che nel 1822 (circa) fotografa una Tavola apparecchiata. E’ una fotografia che vista oggi sembra più un quadro o un’acquaforte che una vera e propria riproduzione di un’immagine reale. Ma è Louis-Jacques-Mandé Daguerre a risultare più noto di lui grazie alla macchina che ha costruito e che ha battezzato dagherrotipo. Il 7 gennaio 1839, il fisico e astronomo François Arago annuncia all’Accademia delle Scienze francesi la nascita della nuova invenzione con queste parole:

«Il signor Daguerre ha scoperto schermi speciali sui quali l’immagine ottica lascia un’impronta perfetta, schermi dove tutto quello che l’immagine conteneva viene riprodotto nei più minuti particolari con esattezza e finezza incomparabili»(1).

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“Critica e verità” di Roland Barthes

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[Ho riletto con piacere Critica e verità. Nonostante il tempo passato, ho trovato ancora apprezzabile l’idea che l’opera d’arte richieda una lettura in profondità che secondo Roland Barthes rimanda alle istanze della critica simbolica il cui principio è quello della pluralità, della verticalità dei sensi: della polisemia. Per una prima informazione sul “strutturalismo francese” dei vari Foucault, Lévi-Strauss, Lacan, Althusses, Genette, Greimas, Barthes, Derrida, Piaget si veda l’antologia curata da S. MORAVIA, Lo strutturalismo francese, Firenze, Sansoni, 1975. Di seguito, trascrivo la postfazione di Guido Neri a Critica e verità, edizione 1969. f.s.]

 

 

Di Guido Neri

 

 

Questo scritto è nato come replica al pamphlet Nouvelle critique ou nouvelle imposture (1965), in cui Raymond Picard, specialista di studi raciniani tra i più accreditati in Francia, aveva attaccato le analisi interpretative raccolte da Barthes nel volume Sur Racine. Barthes, estendendo il discorso a una denuncia polemica delle metodologie e del linguaggio messi in uso da quella che si è convenuto di definire la «nuova critica»: definizione evidentemente empirica e provvisoria, tanto è vero che gli esempi chiamati in causa da Picard (Charles Mauron, Jean-Pierre Richard, Jean-Paul Weber, oltre a Barthes) rispecchiano orientamenti diversi e, per molti aspetti, contrastanti, nel quadro di un movimento di idee ben più ampio e articolato.

Barthes non manca di rilevarlo, e allargando l’orizzonte del dibattito, riesce a sollevarlo fino a un’autonoma riformulazione teorica dei rapporti con il testo letterario (Scienza, Critica, Lettura), che costituisce l’esito costruttivo dell’intero episodio.

A prima vista, niente sembrerebbe più deprimente – dal punto di vista conoscitivo – di uno scontro polemico. L’occasione polemica è una tentazione, un tranello. Specie se lo sfidante ha la debolezza di trattenere la disputa nei termini rassicuranti e insidiosi di vecchio e nuovo. Si tratta invece, semplicemente, di una prova, e questo libro ne è una luminosa dimostrazione: prova non estranea, in sostanza, al rapporto – illiberale, imprevedibile, compromettente – che il pensiero critico vuole avere sempre coi suoi oggetti. I due tempi di questo scritto – controffensiva polemica e iniziativa teorica – obbediscono a un’unica moralità, che è quella dell’interpretazione. Prima ancora di affermare (e insieme precisare) i «diritti elementari della interpretazione» di fronte all’opera, Barthes si sente tenuto a rispettarne le obbligazioni, fornendo una diagnosi del discorso dell’interlocutore, traducendone gli alibi e i contesti ideologici

 

[Roland Barthes, Critica e verità, Einaudi editore, 1969, pp.70]

La teoria della letteratura e la sua storia

 di Giuseppe Panella

La teoria della letteratura e la sua storia

A proposito di Giovanni Bottiroli, Che cos’è la teoria della letteratura? Fondamenti e problemi, Torino, Einaudi, 2006, pp. 472

«Dimmi, perché lo stilema / il sintagma e l’idioletto / compaiono col fonema / in ogni tuo articoletto? // Perché ami tanto Jakobson / la metonimia e il significante / Claude Lévi-strauss and Sons, / il diacronico e il commutante? // Perché t’angoscia la differenza / tra fonetica e fonologia / E non puoi vivere senza Barthes e la semiologia?»

(Ennio Flaiano, L’uovo di Marx. Epigrammi, satire, occasioni)

E’ certamente molto importante il fatto che ogni tanto, nonostante il proliferare degli studi settoriali di ricerca, almeno qualcuno ci provi: dopo la buona riuscita del grosso volume di Adriano Marino (Teoria della letteratura, Bologna, Il Mulino, 1994) Giovanni Bottiroli si propone di rimettere insieme le molti parti che vanno a ricomporre l’edificio dei suoi diversi momenti di intervento sulla realtà della fabbrica letteraria, convergendo nei “fondamenti” (e nei “problemi” – così recita il titolo) per costruire un edificio nuovo (o almeno parzialmente nuovo). Studioso soprattutto di retorica, teorico dello stile ed assai affilato interprete dell’opera di Jacques Lacan per quanto compete la pratica della letteratura (una dimensione quest’ultima investigata a lungo dallo psicoanalista francese in maniera assai più compatta e significativa di quanto di solito si creda), Bottiroli tenta l’affondo della sintesi in un volume di ampia e rilevante significatività. Ma non vuole che si definisca affatto una “sintesi” il suo libro, bensì ribadisce che il suo intento è stato quello di redarre un’introduzione:

«Ho scritto questo libro perché credo che esista una forte richiesta di teoria, soprattutto presso i giovani: però l’accesso alla teoria non è facile, e non è immediato. I testi divulgativi, almeno a mia conoscenza, commettono l’errore di presentare delle sintesi – e in genere una sintesi, nonostante le buone intenzioni, non rende affatto comprensibile l’autore; ne fornisce solo un’idea, più o meno vaga. A ciò si aggiunge il difetto già segnalato da Hegel relativamente ai manuali di storia della filosofia: senza una prospettiva concettuale, la successione delle teorie appare come una disordinata “filastrocca di opinioni” (G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 20). Perciò ho deciso di scrivere un’introduzione e non una sintesi. Mi è sembrato indispensabile presentare, nella loro problematicità, i concetti che trasformano una visione in un programma di ricerca, e formano il terreno da cui nascono le tecniche. Non sarebbe stato possibile presentare  tutte le tecniche, cioè la ‘cassetta degli attrezzi’ della teoria letteraria; e in ogni caso sarebbe stato un errore dare la precedenza alle tecniche rispetto alle prospettive e ai problemi. Nella mia esposizione, ho scelto il tono della lezione universitaria, e ne ho mantenuto le caratteristiche: un filo conduttore sempre riconoscibile, una modularità evidenziata anche dall’indice tematico, il ricorso a schemi, talvolta ripresi e rielaborati, la frequenza degli esempi – non soltanto esempi didascalici, ma abbozzi di una possibile analisi testuale» (pp.XVII-XVIII).

 Il libro di Bottiroli vuole essere, quindi, un’introduzione alle teorie sulla letteratura piuttosto che una “nuova” interpretazione della stessa ma non rinuncia a cercare nelle pieghe della cultura novecentesca gli spunti adeguati a fornirla. Non è un caso che il volume si apra sotto il segno di Ferdinand de Saussure le cui teorie linguistiche sono fin troppo note perché sia necessario ripeterle o riassumerle nel contesto di una recensione. Il punto più  interessante riguardo questa scelta però è il fatto che le analisi del linguista ginevrino su langue e parole vengano accoppiate non solo alla ricostruzione linguistica dell’inconscio di Freud (e ovviamente di Lacan)  ma anche al pensiero estetico e linguistico-filosofico  di Heidegger.

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POTERE (EDITORIALE) E LETTERATURA: RIVINCITA DEL WEB E MORTE DELL’ AUTORE

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 [Il saggio “Potere (editoriale) e letteratura: rivincita del web e morte dell’autore” del professor Giuseppe Panella verrà pubblicato nel prossimo numero speciale de Il Ponte (rivista fondata nel ’45 da Calamandrei) dedicato alla letteratura in Italia oggi. f.s. ].

POTERE (EDITORIALE) E LETTERATURA: RIVINCITA DEL WEB E MORTE DELL’ AUTORE

di Giuseppe Panella

«Rivolevo indietro il mio libro perché mi piaceva scrivere. Mi piaceva avere un progetto da portare a termine e mi piaceva soprattutto se si trattava di un progetto difficile come scrivere un libro. Inoltre continuavo a non sapere chi avesse ucciso Wellington e nel mio libro c’erano tutti gli indizi che avevo scoperto e non volevo che venissero buttati via»
(Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte)

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1. Letteratura stampata on demand

Martedì 6 marzo di quest’anno il noto scrittore milanese Giuseppe Genna (1) annunciava, con molta fierezza e una punta di commozione, sul proprio sito web (denominato perlappunto GIUSEPPE GENNA) una notevole e avvincente novità editoriale:

«Svelo la sorpresa, che è tale per gli aficionados che frequentano questo sito e leggono i miei libri. Ho deciso di pubblicare, a puntate, i capitoli dell’inedito MEDIUM, che è il mio libro più intimo e scatenato. Al termine della pubblicazione, verrà reso disponibile il libro in forma integrale, in un file pdf scaricabile gratuitamente. Chi desiderasse avere la versione cartacea, il libro fisico vero e proprio, con tanto di copertina, da subito può ordinarlo cliccando qui o sulla cover a sinistra: costa 6.97 euro, il costo della nuda stampa, io non ci guadagno un centesimo. Il libro è pubblicato scavalcando ogni editore: non ha editore, viene stampato e spedito attraverso un sistema eccezionale di print on demand. E’ allestito un sito con contenuti speciali riguardanti MEDIUM: il progetto, cos’è questo , i personaggi principali, la colonna sonora del libro, brani scelti letti dal sottoscritto in mp3 e ulteriori info su come acquistare fisicamente il libro. MEDIUM per parecchio tempo contaminerà questo sito: è per me un progetto importante, un abbraccio fuori mercato tra autore e lettore, che si avvicinano senza filtri economici. Nel frattempo, continua la seconda stesura del nuovo libro a cui sto lavorando, ma per il momento la priorità è MEDIUM: un progetto che subitaneamente è stato realizzato e a cui tengo molto. Dal sito ufficiale di MEDIUM, desumo la pagina di spiegazione del progetto e la pubblico qui di seguito. Stay tuned. La rivoluzione è in corso d’opera: è l’opera.

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Il libro si consacra nella irrealizzabilità & Roland Barthes

Uno scrittore scrive un libro, ma questo diviene opera quando inizia a vivere, ossia inizia ad esser letto. Non tutti i libri nati saranno letti. Io mi chiedo: quanti libri pubblicati attendono di vedere la luce, ossia d’incontrare i propri lettori ideali? Quanti bei libri scompaiono dal mondo senza aver mai incontrato il lettore ideale? E’ possibile una tal estinzione culturale?
Tuttavia, un’opera si consacra nella irrealizzabilità: anche quando trova il suo lettore e viene letta non è mai stata letta, essendo la lettura un atto irripetibile. Parlo di divario tra Opera e discontinuità della sensibilità d’animo e intellettuale dell’individuo. E’ esperienza di tutti, i bei libri si rivelano in seconda o terza lettura, anche a distanza di due mesi, diversi, freschi, non di rado discordi con la precedente lettura. Mai che siano uguali a se stessi. Mai!
Alla fine mi risollevo dalla gradevole sconfitta di aver letto un libro per la quinta volta, “rileggendo”, e riportando qui per voi, alcune righe scritte da Barthes:

“[…] la visione realistica ed immediata, riferendosi ad una realtà alienata, non può essere in nessun modo una “apologia”: in una società alienata, la letteratura è alienata: non c’è quindi nessuna letteratura reale (foss’anche quella di Kafka) di cui si possa fare l’”apologia”: non sarà la letteratura a liberare il mondo. Tuttavia, in questo stato “ridicolo” in cui oggi ci ha posto la storia, ci sono molti modi di fare della letteratura: c’è la possibilità di una scelta, e di conseguenza c’è, se non una morale, almeno una responsabilità dello scrittore. Si può fare della letteratura un valore assertivo, sia nel riempimento, accordandolo ai valori di conservazione della società, sia nella tensione, facendone lo strumento di una lotta di liberazione; si può invece accordare alla letteratura un valore essenzialmente interrogativo; la letteratura allora diventa il segno (e forse il solo segno possibile) di quella opacità storica in cui viviamo soggettivamente; servito mirabilmente da quel sistema significante recettivo che a mio avviso costituisce la letteratura, lo scrittore può allora impegnare profondamente la sua opera nel mondo, nei problemi del mondo ma al tempo stesso sospendere questo impegno proprio dove le dottrine, i partiti, i gruppi e le culture gli suggeriscono una risposta. L’interrogazione della letteratura è allora, in un solo e identico movimento, infima (in rapporto ai bisogni del mondo) e essenziale (poiché essa è costituita da questa interrogazione). Questa interrogazione non è qual è il senso del mondo? Né forse: il mondo ha senso? Ma soltanto: ecco il mondo: vi è senso in esso? La letteratura è allora verità, ma la verità della letteratura è in questa incapacità a rispondere alle domande che il mondo si pone sui suoi mali, e insieme nel suo potere di porre domande reali, domande totali, la cui risposta non sia presupposta, in un modo o in un altro, nella forma stessa della domanda: impresa che forse nessuna filosofia ha realizzato e che allora apparterebbero, davvero, alla letteratura”.

R. Barthes, Saggi critici, Einaudi

f.s.