Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)
di Giuseppe Panella
Preferisco il rumore del mare… su Cantieri di Cinzia Bertoncini (Firenze, Edifir, 2006)
“Fabbricare fabbricare fabbricare
Preferisco il rumore del mare
Che dice fabbricare fare e disfare
Fare e disfare è tutto un lavorare
Ecco quello che so fare”
(Dino Campana)
La poesia, come la vita d’altronde (anzi soprattutto come la vita) è un cantiere i cui lavori non termineranno mai (anche dopo la scomparsa ad uno a uno dei capomastri che lo dirigono e degli operai che vi lavorano). Essa consiste in una sorta di continuo fabbricare ed elevare edifici di parole che pure continuamente si disfano e continuamente vengono ricostruiti da artefici pazienti e desiderosi di continuare ad erigere i propri castelli di espressioni significanti. Cinzia Bertoncini è esplicita al riguardo e non nasconde la natura di cantiere della propria pratica di poetessa attenta e minuziosa nell’enucleare e mettere in valore gli elementi decisivi della propria proposta di scrittura. Essa sa che in quel cantiere vengono costruiti gli edifici di parole che costellano la strada che conduce verso il compimento della vocazione poetica e laddove essi cadono o si sfaldano una nuova costruzione verbale è pronta a sostituirla. Cinzia Bertoncini è ben consapevole della natura transitoria e tuttavia irreversibile delle costruzioni della poesia e sa bene che il viaggio che essa compie verso l’ignoto non può che essere di sola andata, una corsa irresistibile senza ripensamenti verso lo svelamento di quel mistero che costituisce il destino della scrittura poetica e nasce dalla diversità del linguaggio che permette di considerarlo tale. Si veda ad esempio un testo come: