Caos, decadenza e paesaggi morti nelle opere di Thomas Pynchon e William Burroughs

Thomas Pynchon. Tra gli scrittori che usano effettivamente la parola “entropia” nelle loro opere, Tanner elenca Norman Mailer, Saul Bellow, John Updike, John Barth, Walker Percy, Stanley Elkin e Donald Norman Barthelme, ma il suo esempio più importante è Thomas Pynchon. Come osserva Tanner, il primo racconto importante di Pynchos si intitola Entropy e contiene riferimenti specifici a Henry Adams. Nel romanzo forse più rappresentativo di Pynchon, V (1963), “ogni situazione rivela un qualche nuovo aspetto di decadenza e declino, un passo ulteriore verso il caos e la morte. Il libro è pieno di paesaggi morti di ogni tipo: dai mucchi di immondizia del mondo moderno all’aridità lunare del deserto” (Tanner, City of words, pag 157).

William Burroughs. In tutti i suoi libri, William Burroughs presenta una visione ossessionante e profondamente sconvolgente della decadenza e del sfacelo della civiltà, spezzando deliberatamente la logica e le sequenze attese del lettore, al fine di porre enfasi sulla natura caotica della realtà. Molte opere di Burroughs si rivelano essere resoconti quasi allucinante della violazione del paesaggio americano e della violenza, a stento dissimulata, che è alla base della vita della nazione.