Camilleri, Montalbano e il ‘vigatèse’
_____________________________
di Stefano Lanuzza
.
Il vigatese? “Una lingua inventata, in continua mutazione, infedele a se stessa. C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine ci si è accorti che non è siciliano. I primi a capirlo sono stati proprio i miei amici in Sicilia. Ma unni a pigghiasti‘sta parola? Non esiste!” (A. Camilleri, “Il Venerdi/La Repubblica”, 21 luglio 2017).
Premessa
Il 17 giugno 2019, colpito da un infarto dopo che venti giorni prima, cadendo in casa, si provoca la rottura del femore, Andrea Camilleri, nato a Porto Empedocle nel 1925, lascia la vita in un ospedale romano dopo una lunga, iniqua agonia confortata dall’affetto dei parenti e di molti amici e lettori.
Insofferente di simile contesto, si segnala con un ‘coccodrillo’ preventivo e di cattivo gusto il direttore editoriale di un giornale della filiera paraleghista-sovranista il quale, il 19 giugno, deplorando che lo scrittore abbia “rivendicato fino all’ultimo la sua adesione al bolscevismo”, aggiunge: “Tuttavia l’arte non ha bandiere, e quella di Camilleri va riconosciuta per quello che è: mirabile. Non tutta, ma quasi” (dove, ndr, il ma quasi manda un cacofonico suono di ciabatte). Continua: “L’unica consolazione per la sua eventuale dipartita è che finalmente non vedremo più in televisione Montalbano, un terrone che ci ha rotto i coglioni…”. Per concludere con un soverchio e fuorviante esorcismo: “Questa comunque è una opinione personale e scherzosa, in me Camilleri suscita ammirazione, è un grande scrittore, e bisogna ricordare che la lingua italiana è nata in Sicilia, solo dopo abbiamo adottato quella Toscana. E i siciliani parlano meglio di qualunque altro italiano. E scrivono meglio degli altri italiani”.