Poesia realistica e sensuale (‘200)

In questo spazio elettronico abbiamo già accennato al Dolce stil novo, cioè la lirica del duecento che vide nell’amore l’essenza della perfezione morale umana e della donna colei che influisce beneficamente sull’uomo, ispirandogli i sentimenti più puri ed elevati che lo conducono a Dio.

E’ però naturale che i poeti di questo periodo trovassero motivo di poesia non solo dall’amore, ma anche dai vari fatti della vita quotidiana: quindi accanto alla poesia idealistica dello Stil novo meritano un cenno quella realistica e quella sensuale, anche se poco studiata sui banchi di scuola e da alcuni ritenuta di non molto valore.

Già il Guinizelli aveva scritto un sonetto di scherno contro una vecchia rabbiosa, il Cavalcanti si era trattenuto a vagheggiare più che la donna amata altre figure femminili o a profilare scherzosamente la caricatura di una gobetta, Lapo Gianni aveva sognato una vita lieta su una terra piena di gioie, Cino da Pistoia di saziare un’ora di ribellione con distruzioni e colpi di spada e Dante stesso, dopo di loro, indulgerà a rime sensuali.

Coltivarono particolarmente questo genere di poesie il fiorentino Rustico di Filippo, il senese, Cecco Angiolieri e Folgore da San Gemignano. Il primo è famoso per i suoi sonetti di caricatura, l’ultimo per aver scritto, in una collana di quattordici sonetti, le gaie occupazioni e i divertimenti, nelle varie stagioni, di una lieta brigata di giovani.

f.s.

Guido Cavalcanti (‘200) …eran solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse

Adoro le liriche di Guido Cavalcanti (1260 circa- 1300), indubbiamente il miglior poeta del gruppo Il dolce stil novo, fu famoso presso i contemporanei per quella canzone Donna me prega che costituisce un vero trattato sull’amore, visto nelle sue cause, virtù, potenza, effetti e così via, e che a noi, oggi, suona astrusa e arida.

Noi ammiriamo invece il Cavalcanti per quelle rime in cui trema un amore appassionato e struggente, per la spontanea delicatezza delle sue ballate, per lo sgomento che gli incute la presenza dell’amata, per la profonda malinconia della famosa ballata Perch’io no spero di tornar giamai; qui noi sentiamo il poeta veramente uomo, che come noi trema, palpita, soffre, ammira la bellezza ora della natura, ora di una pastorella scherzosa, e spesso dubita, tant’è vero che le <<sue speculazioni- dice il Boccaccio- eran solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse>>.

f.s.