STORIA CONTEMPORANEA n.91: Quel pasticciaccio brutto avvenuto a Lucca… Michele Cecchini, “Dall’ aprile a shantih”

Quel pasticciaccio brutto avvenuto a Lucca… Michele Cecchini, Dall’ aprile a shantih, Livorno, Erasmo Edizioni, 2010

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di Giuseppe Panella*


Datta. Dayadhvam. Damyata. / Shantih shantih shantih – sono i versi conclusivi di The Waste Land, il capolavoro poetico di Thomas Stearns Eliot del 1922. Shantih indica uno stato di assoluta pace interiore, di appagamento della mente rispetto al turbamento prodotto dai vritti, le onde-pensiero generate dall’avvicendarsi umano delle proiezioni di desiderio, quando esse cessano di agitare gli uomini che riescono a non ascoltare più la loro voce e le loro esigenze. Lo shantih è uno stato totale di negazione del futuro in nome di un qui e ora raggiunto attraverso sforzo concentrazione e riduzione drastica della volontà. Shantih, inoltre, è un termine usato alla conclusione di una upanishad, i testi di carattere filosofico che costituiscono la parte conclusiva dei Veda (in tal senso, infatti, è utilizzato da Eliot nel suo poema aurorale).

Ma perché questo termine sanscrito così connotato compare addirittura nel titolo del romanzo di esordio di Michele Cecchini?

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