IL TERZO SGUARDO n.50: Rossana Cavaliere, “Leonardo Sciascia e le immagini della scrittura. Il poliziesco di mafia dalla letteratura al cinema”

Rossana Cavaliere, Leonardo Sciascia e le immagini della scritturaRossana Cavaliere, Leonardo Sciascia e le immagini della scrittura. Il poliziesco di mafia dalla letteratura al cinema, Pisa, Felici, 2015

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di Giuseppe Panella*

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Leonardo Sciascia è stato tra gli scrittori italiani più importanti del Novecento quello che è stato maggiormente prediletto dai registi e dai produttori cinematografici. Quasi tutta la sua opera romanzesca è stata trasferita sullo schermo sia al cinema che in televisione, con risultati spesso pregevoli e importanti (anche se talvolta non graditi dall’autore stesso che ne parlò, in relazione alla loro uscita, in termini poco elogiativi1). Inoltre l’aspirazione di Sciascia sarebbe stata quella di diventare egli stesso un cineasta anche se tale desiderio non si sarebbe potuto realizzare mai. In uno scritto pubblicato poco prima della morte e poi rifluito in Fatti diversi di vita civile e letteraria2, il valore dell’esperienza e della scrittura cinematografica andava al di là del puro e semplice “piacere dello spettatore” per divenire una vera e propria metafora della conoscenza.

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LE PROFEZIE DI COSMOPOLIS. Dal romanzo al film

  «Ce grand malheur de ne pouvoir être seul»

(La Bruyère)

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di Giuseppe Panella

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Primo tempo: Don De Lillo

 

«Ogni volta che in un film io uccido qualcuno, si tratta veramente della ripetizione della mia morte» (David Cronenberg, L’ horreur intérieure: les films de David Cronenberg )

La frase di Jean de La Bruyère posta in apertura è la stessa che fa da epigrafe a uno dei più conosciuti e suggestivi racconti di Edgar Allan Poe, L’uomo della folla e il cui contenuto ispirò il saggio sui passages di Walter Benjamin (le ragioni di questa mia predilezione saranno chiare presto). Nel romanzo di Don DeLillo, infatti, pubblicato in Italia nel 2003 da Einaudi, nella buona traduzione di Silvia Pareschi, appena pochi mesi dopo la sua uscita negli Stati Uniti, anche il protagonista Eric Packer è un “uomo della folla”.

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Giorgio Fornoni,” Ai confini del mondo. Il viaggio, le inchieste, la vita di un reporter non comune”

Giorgio Fornoni, Ai confini del mondo. Il viaggio, le inchieste, la vita di un reporter non comune, DVD+libro, Chiarelettere Editore, 2010, 18,60 €, LIBRO: pref. Dominique Lapierre, Postfazione Valerio Massimo Manfredi, pp.160, DVD: a cura di Gianandrea Tintori,

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di Francesco Sasso

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Giorgio Fornoni vive ad Ardesio, provincia di Bergamo, professione commercialista, e tra il 1993 e il 2010 ha realizzato più di cento videoreportage e inchieste, filmando guerre, insurrezioni, traffici illeciti, epidemie, violazioni dei diritti civili, emergenze sociali ecc. Senza tessera da giornalista, ha girato il mondo a sue spese, andando in quei posti dove la guerra annienta interi popoli, dove l’uomo sfrutta l’altro uomo, dove regna l’incubo, la violenza e il dolore. Giorgio Fornoni ha seguito la sua indole, cioè il bisogno di sapere, di vedere con i propri occhi, di testimoniare, di incontrare l’altro nella sofferenza e di stargli vicino. Ecco, dunque, che i suoi viaggi “ai confini del mondo” lo hanno portato dovunque. Ha percorso in lungo e in largo la Russia, l’intero continente africano, l’Asia tutta, gli Stati Uniti, il centro e sud America, il Medio Oriente. Ha intervistato capi guerriglia, personalità di primo piano della cultura, per esempio il Dalai Lama, Anna Politkovskaja e altri. Ha trattato molti temi: dall’Aids alla proliferazione nucleare, dall’inquinamento alla corruzione, dalla guerra al mercato della droga. Insomma, una persona coraggiosa che di sé dice:

 

«Mi interessa la precarietà dell’uomo. Non riesco a immaginarmi lontano dall’umanità che soffre»

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IL TERZO SGUARDO n.30: Una vita nel cinema e per il cinema. Marino Biondi, “Fellini: il sogno italiano. Cinquant’anni dalla “Dolce vita””

Una vita nel cinema e per il cinema. Marino Biondi, Fellini: il sogno italiano. Cinquant’anni dalla “Dolce vita”, Cesena, Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2010

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di Giuseppe Panella*


Sono già passati cinquant’anni da quel 5 febbraio del 2010 in cui La Dolce Vita fu proiettato per la prima volta a Roma e il suo fascino di film epocale non è ancora stinto e trascorso sugli scaffali delle Cineteche in cui  vengono conservati i film non più distribuiti nelle sale. Si trattò davvero (e la consapevolezza di questo suo destino era già presente nelle menti di chi lo vedeva per la prima volta) di un film destinato a costituire un punto di passaggio nell’immaginario collettivo e nella cultura sociale del suo tempo. Ci fu chi ne parlò male e lo criticò severamente bollandolo come film immorale e da censurare per i suoi contenuti negativi e nichilistici (la parte più retriva del clericalismo italiano ma non tutti i cattolici, soprattutto quelli più aperti al dialogo iniziato con l’elezione al soglio pontificio di Giovanni XXIII; molti esponenti della sinistra delusi dall’abbandono definitivo del neorealismo da parte di Fellini, ma non Elio Vittorini, ad esempio, cui il regista riminese aveva proposto la parte dell’intellettuale suicida Steiner).

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IL TERZO SGUARDO n.24: Lo specchio del mondo e il sogno della visibilità assoluta. “Idee di cinema”, a cura di Giovanni Maria Rossi e Chiara Tognolotti

Lo specchio del mondo e il sogno della visibilità assoluta. Idee di cinema, a cura di Giovanni Maria Rossi e Chiara Tognolotti, Milano, Il Principe Costante Edizioni, 2010

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di Giuseppe Panella*

«Ho sempre creduto che il cinema, con il suo tremendo potere visuale, fosse il mezzo di espressione perfetto. Tutti i miei libri precedenti a Cent’anni di solitudine sono come intorpiditi da quella certezza. C’è uno smodato desiderio di visualizzazione dei personaggi e delle scene, un calcolo millimetrico dei tempi… e perfino l’ossessione di indicare i punti di vista e l’inquadratura» – ha dichiarato Gabriel García Márquez in un’intervista rilasciata poco dopo la pubblicazione di Cent’anni di solitudine (in A. Durán, Conversaciones con Gabriel García Márquez in “Revista Nacional de Cultura” (XXIX), luglio-settembre 1968).

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Leggere il futuro attraverso il passato:”La strada di Levi” (DVD) + “Da una tregua all’altra” (libro)

La strada di levi (DVD) + Da una tregua all’altra (libro), Chiarelettere, Milano, 2010, €24,00

FILM: La strada di Levi, regia di Davide Ferrario e Marco Belpoliti

LIBRO: Marco Belpoliti – Andrea Cortellessa, Da una tregua all’altra, Chiarelettere, Milano, 2010, pp.258

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di Francesco Sasso


Primo Levi (1919-1987) scrisse La tregua nel 1963. In questo romanzo, l’autore racconta la libertà recuperata dopo Auschwitz e l’avventuroso rientro in Italia attraverso un’Europa devastata dalla guerra, in un racconto dove l’euforia per la liberazione s’intreccia con la memoria dello sterminio e i lutti provocati dal conflitto. Nelle pagine di Levi, un gruppo di ex-prigionieri attraversano la Bielorussia, l’Ucraina, la Romania, l’Ungheria, l’Austria e la Germania. Ed è lo stesso percorso che il regista Davide Ferrario e lo scrittore Marco Belpoliti intraprendono oggi, sulle tracce di Levi in un’Europa trasformata dopo il crollo del muro di Berlino e la fine del Comunismo.

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IL TEMPO DELLA FELICITA’. Tempo ultimo e tempo dell’inizio nell’opera di Marcel Proust (e di Gilles Deleuze). Saggio di Giuseppe Panella

«… Si potrebbe confrontare la vita con una stoffa ricamata della quale ciascuno nella prima metà dell’esistenza può osservare il diritto, nella seconda invece il rovescio: quest’ultimo non è così bello, ma più istruttivo, perché ci fa vedere l’intreccio dei fili»

(Arthur Schopenhauer,  Aforismi sulla saggezza del vivere)

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di Giuseppe Panella*

 

 

1. Il tempo alla fine

«L’anno in cui ho lavorato su Alla ricerca del tempo perduto è stato il miglior anno di lavoro della mia vita» (1). E’ una dichiarazione molto significativa e del tutto probante.

Quella di Pinter è un’espressione di felicità che intreccia produttività letteraria ad ermeneutica del testo: trasformare Alla ricerca del tempo perduto in una sceneggiatura è stato, per il compianto commediografo inglese, il modo più adeguato di “capire” il testo, decostruirlo, riscattarlo dalle zone d’ombra della sua incomprensione possibile. Una forma di lettura “interna”.

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La libera Repubblica dell’Isola delle Rose. “Isola delle Rose” (DVD+libro)

Isola delle Rose, cofanetto dvd (145 minuti) + libro (p.79), NdA press, 2010, € 17,90

FILM: regia di Roberto Naccari e Stefano Bisulli, sceneggiatura di Giuseppe Musilli, Vulmaro Doronzo, Roberto Naccari e Stefano Bisulli

LIBRO: Giuseppe Musilli

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di Francesco Sasso

Nella primavera del 1968, un’isola di ferro e cemento sorse dal nulla a poche miglia dalla costa riminese, in acque internazionali, e proclamò l’indipendenza dall’Italia. Ma il sogno durò 55 giorni.

La vicenda poco nota dell’Isola delle Rose, piattaforma costruita in tre anni circa da un ingegnere bolognese di nome Giorgio Rosa, è raccontata in un agile volumetto e nel bel documentario in dvd edito da NdA press.

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IL TERZO SGUARDO n.11: “Draquila – L’ Italia che trema” di Sabina Guzzanti ovvero il “bon sens” per immagini

Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)

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di Giuseppe Panella

Draquila – L’ Italia che trema di Sabina Guzzanti ovvero il bon sens per immagini


«Come si è potuti riuscire a persuadere esseri ragionevoli che la cosa più incomprensibile era per essi la più essenziale?»
(Paul-Henry Thiry barone d’ Holbach, Il buon senso)

La speranza si affaccia sullo schermo sotto forma del volto sorridente di Raffaele Colapietra, anziano professore di Storia Moderna assai noto a livello locale, che racconta come abbia insistito a rimanere nella sua vecchia casa lesionata nonostante le ingiunzioni e le valutazioni terroristiche ricevute sullo stato dell’edificio. La casa tiene ancora e le riparazioni, sia pure costose, gli hanno permesso di salvaguardare mobili e ricordi, soprattutto l’ampia e amata biblioteca. Ma non tutti sono stati così fortunati nell’Aquila distrutta dal micidiale terremoto del 6 aprile del 2009. Continua a leggere “IL TERZO SGUARDO n.11: “Draquila – L’ Italia che trema” di Sabina Guzzanti ovvero il “bon sens” per immagini”

IL TERZO SGUARDO n.10: Lo sguardo di Ipazia. John Toland, “Ipazia. Donna colta e bellissima fatta a pezzi dal clero” e “AGORA”, regia di Alejandro Amenábar

Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)

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di Giuseppe Panella


Lo sguardo di Ipazia. John Toland, Ipazia. Donna colta e bellissima fatta a pezzi dal clero, trad. it. e cura di Federica Turriziani Colonna, Firenze, Clinamen, 20103; AGORA, regia di Alejandro Amenábar, sceneggiatura di Alejandro Amenábar e Mateo Gil, 2009

Scrive John Toland all’inizio del suo breve rapporto su vita e morte di Ipazia, filosofa vissuta ad Alessandria d’Egitto tra il 370 e il marzo del 415 dopo Cristo, una delle figure più straordinarie della cultura ellenistica e donna di rara intelligenza e bellezza:

«Quello che vi narro è un racconto breve ma ricco, come i libri degli antichi, sulla vita e sulla morte di Ipazia; e la mia narrazione canterà per sempre la gloria del suo sesso, e la miseria del nostro: perché le donne non hanno certo pochi motivi per stimare se stesse, e ciò perché è esistita una donna così poliedrica e senza il minimo difetto (e forse l’unica mancanza alle sue innumerevoli perfezioni fu proprio il non avere alcun difetto), che gli uomini devono vergognarsi; se ne possono trovare infatti alcuni, tra di loro, di un’inclinazione così brutale e selvaggia che, lungi dall’applaudire con ammirazione tanta bellezza, tanta innocenza e tanta conoscenza, macchiano con le proprie barbare mani del sangue di una donna di tal fatta, segnando in modo indelebile le proprie empie anime con assassinii dal sapore di sacrilegio. Ad escogitare una morte così terribile fu un vescovo, un patriarca, anzi un santo; ad eseguire la sua implacabile furia, il clero. Nella storia che vado ricostruendo non tralascio di considerare che, tra gli autori, ci furono anche tutti i suoi contemporanei e l’intero panorama culturale della sua epoca (non voglio infatti omettere nulla di ciò che so). Tra questi, un suo collega, e anche un suo allievo. Ma quel che c’è di più odioso e scellerato è legato agli storici ecclesiastici considerati ortodossi nella loro epoca, così come accade, il più delle volte, nella nostra»(1).

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