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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Le parole del tempo e la letteratura. Gualberto Alvino. La parola verticale. Pizzuto, Consolo, Bufalino, con una prefazione di Pietro Trifone, Napoli, Loffredo, 2012
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di Giuseppe Panella*
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La poesia e la letteratura è composta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e gli stati d’animo. Ma, a parte l’aspetto affettivo e dei sentimenti espressi in ragione di essi, è intrinsecamente costituita di parole. Nell’analisi della scrittura letteraria non si può fare a meno di soffermarsi su di esse, sulla loro natura, sulla loro vita, sulla loro origine, sulla loro specificità. Di conseguenza, i poeti e gli scrittori possono usarle attingendole al parlato quotidiano, all’usuale composto utilizzato per comunicare ogni giorno con gli altri in tutte le situazioni concrete del vivere associato oppure attingere al grande patrimonio lessicale della tradizione culturale cui tutti partecipiamo ma di cui molto spesso ci dimentichiamo invece di usarlo. Gualberto Alvino ha deciso di dedicare la sua operosità erudita e la sua sapienza di studioso alla ricerca delle occorrenze linguistiche presente nelle opere di tre grandi autori meridionali (tutti siciliani, per l’esattezza) e di verificarne la puntualità, l’invenzione e, come dice il titolo della sua raccolta di saggi, la “verticalità”. Ma Alvino non solo ha portato a termine questa sua ricerca nella modalità sua propria di filologo (e cioè di “lettore lento” – come scrive Nietzsche nella sua Prefazione a La nascita della tragedia) ma l’ha anche arricchita con un saggio, un Dialogo tra lo Scettico e il Fautore, in cui giustifica more teoretico l’assunto della sua prospettiva di studi.
Gualberto Alvino, La parola verticale. Pizzuto, Consolo, Bufalino, prefazione di Pietro Trifone, Napoli, Loffredo Editore-University Press, 2012, pp. 174, € 16,80.
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di Antonino Contiliano
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Non sempre appaga lettori e critici leggere opere letterarie insolite, che sconvolgono i canali della scrittura consolidata e quelli dell’attigua comunicazione narrativa e critica orizzontale (lineare), in quanto – come scrive l’autore nella Premessa – sono irregolari e con, nel bagaglio, una variegata e complessa struttura linguistico-stilistica. Se poi l’urto avviene con la lingua liscia, semplificante e accuratamente deprivata di pieghe e “invenzione” – che la parola letteraria invece cerca, inseguendo la materia con opzioni formali tutt’altro che scontate e di facile accesso –, allora certa prosa letteraria e la parola verticale che le dà vita – geometria stilinguistica non lineare –, come scrive lo stesso Alvino, «fa saltare le sinapsi» (p. 90) e ne richiede di nuove. Qui i contenuti hanno la sostanza che la forma dell’autore ha costruito e coagulato in quel testo sicuramente particolare e non disponibile per un soggetto che non si muova con sensibilità, intelligenza e apertura all’ascolto e alla com-prensione dell’intera costruzione letterario-poetica, la quale si presenta e s’impone con un’architettura nuova e originale. Se non si sta in questo “fra”, nessuna spiegazione plausibile, o comprensione ragionata (non necessariamente seguita da un accordo) e interpretazione contestuale e attualizzante troverebbe passaggi di penetrazione praticabili (pur conflittuali) per la ricerca del senso.
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