Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P.)

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di Giuseppe Panella
6. Professore di desiderio – i due tempi di Gianni Conti: … odiata Claudia ti amo …, Firenze, Morgana Edizioni, 1993; Il professore, Firenze, Polistampa, 2008
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1. Quindici anni prima
Il primo tempo di Gianni Conti professore di desiderio è rappresentato proprio dalla sua prima prova narrativa (che data ormai a quindici anni fa) che arriva a sorpresa dopo una serie di scritti di più stretta osservanza storico-storiografica. Esso si pone, fin dall’inizio, sotto il segno di una dimensione scolastica che l’autore sembra, da un lato, disdegnare come non-luogo della vita perduta e, dall’altro, invece, assumere come metafora dell’esistenza (sua e altrui). Ciò è evidente in …odiata Claudia ti amo….
Io, naturalmente, non potrò mai esserne certo né è forse opportuno o necessario, d’altronde, che lo sia: l’Io affabulante del primo romanzo di Gianni Conti mi sembra essere concresciuto dallo stesso zigote da cui è nato lo Jamie Conway di Le mille luci di New York (trad. it. di Marisa Caramella, Milano, Bompiani, 1986), il primo romanzo pubblicato da Jay McInerney (e da cui lo stesso autore ha ricavato la sceneggiatura per il film di James Bridges prodotto nel 1988 e interpretato da Michael J. Fox). Tra i due romanzi non c’è alcun legame apparente – né di luogo (il libro di McInerney è tutto ambientato a New York e precisamente su quell’isolotto brulicante di arrampicatori sociali e di morta vitalità mondana chiamato Manhattan dai suoi primi coloni olandesi, quello di Conti, invece, vaga tra Sesto Fiorentino, Firenze, Prato e una vaga nebulosa esotica di luoghi meravigliosi denominati di volta in volta Bali, Hong Kong, Celebes, Bangkok, città e situazioni ideali dello spirito e non luoghi dell’esperienza) né di tempo (tutto serrato nel breve svolgersi di una settimana il testo di McInerney, diluito nella spazializzazione onirica della coscienza, sorta di vero e proprio itinerarium mentis in se ipsam l’apologo di Conti) e neppure di situazioni.
Eppure, se li si legge fianco a fianco, vi si ritrova un’identica allure, una sorta di ascendancy comune, un medesimo enduro fisico e spirituale, una pur simile Mitschuld.
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