MINDFIELD – CAMPO MENTALE di Gregory Corso

Recensione/schizzo #15 

Ho terminato la lettura di Mindfield – Campo mentale di Gregory Corso. Il volume è un’antologia di poesie autobiografiche in chiave surreale e immaginosa curata dall’autore americano nel 1989.

Sono versi luminosi, quelli di Gregory Corso, che, con la loro schietta trasparenza e semplicità, evidenziano l’intero percorso mentale (e creativo) dell’autore americano. Il tono è di tenero stupore. Eppure, ciò che mi ha maggiormente colpito, leggendo Mindfield, è la vigorosa fede che Corso aveva della Poesia.

Tuttavia, alcune liriche sono appesantite da citazioni e richiami oscuri che, tra l’altro, a me pare ridurre l’atto poetico a ingenuo sfoggio enciclopedico da parte dell’autore.

Il volume costa poco, sei euro, e ciò è un bene per il lettore e la poesia. Credo che la traduzione non sia proprio impeccabile, ma qui il mio giudizio è superficiale come il mio inglese.

Infine, ho letto sulla rivista Fili d’aquilone un bel saggio su Mindfield di Alessio Brandolini. Questa è anche l’occasione giusta per segnalarvi una pregevole rivista di poesia.

f.s.

[Gregory Corso, Poesie. Mindfield- Campo mentale, trad. Massimo Bacigalupo, Newton compton, 2007, Pag. 525, euro 6]

Beat Generation & bop

Beat

Fin dal suo atto di nascita, il linguaggio della Beat Generation è stato linguaggio musicale. I riferimenti di Kerouac & soci erano Charlie Parker e Thelonious Monk, Miles Davis e Art Blakey, Charlie Mingus e Dizzy Gillespie. Ritmo della sintassi, struttura associativa e spesso analogica della frase venivano da lì, dalla nuova forma bop del jazz del dopo-guerra.
Il linguaggio poetico ne fu straordinariamente rivitalizzato, ridinamizzato, ‘una botta di adrenalina’ – per parlare la lingua del presente. Il “beat” del tempo musicale era il deterrente giusto per pensare veloce, scrivere veloce, guidare veloce, vivere veloce “from coast to coast”. A metà degli anni ’50 da San Francisco a New York, in locali che si chiamavano The Cellar, Five Spot, Village Vanguard, Six Gallery, si moltiplicavano i readings musicali di Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso, Orlovsky, Rexroth etc. Erano serate e nottate, spesso memorabili, in cui affiancati da band di be-bop, i poeti della nuova America sperimentavano la forza orale dei loro versi sulla base delle improvvisazioni della musica, dei cambi di umori (anche etilici) del momento, degli imprevedibili cortocircuiti con la platea.

[Ho scovato queste righe fra i miei appunti. Purtroppo non ricordo la loro origine ]

f.s.