Critico militante solo a favore della letteratura. Saggio di Stefano Lanuzza

Critico militante solo a favore della letteratura

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di Stefano Lanuzza

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Geno Pampaloni (1918-2001)

Diversamente da un’affermazione di Pietro Citati secondo cui “Pampaloni non era un critico: ma uno scrittore che si nascondeva” (invero, è un po’ se stesso che Citati… cita), Pampaloni ha le qualità di scrittore pertinenti a un vero critico esperto del canone letterario. A raccoglierne i saggi più belli, “che sono molti, […] ci accorgeremmo” aggiunge Citati “che il romanzo scritto da Geno Pampaloni sulla letteratura italiana moderna rivaleggia con quelli di Pavese, di Bassani, di Cassola, di Calvino” (“Corriere della Sera”, 14 novembre 2011).

Mai dichiaratamente engagé, Pampaloni s’affranca dai moduli dello storicismo, del marxismo, della stilistica, del formalismo, dell’avanguardismo, dello strutturalismo, della semiologia, della filologia, della psicanalisi…; e, convinto della funzione soprattutto civile della critica, interpreta meglio dell’ideologizzante filoneorealista Carlo Salinari il decisivo libro di Alberto Asor Rosa Scrittori e popolo (1965) che giudica sfavorevolmente i provincialismi del populismo e ridimensiona il ruolo dell’impegno sociopolitico degli scrittori. Poiché – rivendica Asor Rosa – “il fatto estetico ha proprie leggi, non confondibili con quelle della politica”.

Libero critico per lettori liberi e possibilmente competenti, così rari nell’italico popolo di non troppo antica alfabetizzazione, Pampaloni scansa in linea di principio le ideologie che vorrebbero prescindere dal merito di un’opera e, pur senza derogare dal ruolo di cronista letterario “giornaliero”, sintetizza la propria nobile opinione della letteratura nel ritratto ‘a specchio’ di Pietro Pancrazi critico-scrittore (saggio pubblicato sul n. 4, aprile 1953, della rivista “Il Ponte” fondata nel 1945 da Piero Calamandrei) e nell’aureo Modelli ed esperienze della prosa contemporanea, incluso nel volume Il Novecento (1987) della Storia della letteratura italiana di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno. 

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‘TRASPOSIZIONE’ DI UN CAPOLAVORO. Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo in lingua tedesca

Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Frankfurt, S. Fischer Verlag, 2015, traduzione di Moshe Kahn

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di Isabella Horn

Dal 19 febbraio 2015, a quarant’anni dalla sua pubblicazione in lingua originale (Milano, Mondadori, 1975), campeggia nelle librerie tedesche, stampato dall’editore Fischer, il monumentale romanzo di Stefano D’Arrigo Horcynus Orca, romanzo tra i maggiori della letteratura novecentesca.

Quasi dimenticato in un’Italia che legge poco e, se e quando legge, preferisce letture facili e veloci, il libro di D’Arrigo – fonte di poesia per una ristretta cerchia di lettori ‘forti’ – è stato a lungo considerato scoraggiante se non addirittura disperante per chiunque avesse voluto tentare l’impresa di ‘traghettare’ l’opera verso le sponde di un’altra lingua. Con le sue innumerevoli innovazioni, locuzioni gergo-dialettali, creazioni, rivisitazioni e reinvenzioni lessicali, suggestioni onomatopeiche, periodi ondeggianti e spesso baroccamente dilatati, Horcynus Orca presentava ostacoli insormontabili: appariva, insomma, un’opera intraducibile.

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