L’attesa, l’oblio. Daniela Dawan, Non dire che col tempo si dimentica, Venezia, Marsilio, 2010
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di Giuseppe Panella*
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Zakhor (ricorda!) è l’imperativo ebraico per eccellenza. Ma tkelouch el denia nassiana (non dite che col tempo si dimentica) è il suo sviluppo in termini umani e affettivi.
Il romanzo d’esordio di Daniela Dawan si occupa proprio di questo: l’impossibilità di dimenticare forgia e ricostruisce la catena del ricordo che permette ai viventi di non far precipitare i morti nell’oblio, rende ciò che è stato importante alla stessa stregua di ciò che sarà.
La storia narrata, infatti, si sviluppa su un doppio binario: il presente e la sua felicità consegnata alla storia d’amore tra la brillante pianista Anna Orvieto e l’altrettanto brillante fotografo Philippe e il passato in cui la fine della vicenda amorosa tra Cesare Orvieto, un prestigioso medico fascista di origine ebraica che opera a Tunisi e la pianista Augusta Levi si intreccia con la crisi del suo matrimonio e l’avvento delle leggi razziali promulgate nel 1938 dal governo Mussolini.