Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)
di Giuseppe Panella
Io canto me stesso… Introduzione alla poesia di Benedetto Di Pietro (Canto del mio dire, Milano, Casa Editrice Prometheus, 2008)
«Io canto l’individuo, la singola persona, / Al tempo stesso canto la Democrazia, la massa. // L’organismo, da capo a piedi, canto, / La semplice fisionomia, il cervello da soli non sono degni / della Musa : la Forma integrale ne è ben più degna, / e la Femmina canto parimenti che il Maschio. // Canto la vita immensa in passione, pulsazioni e forza, / Lieto, per le più libere azioni che sotto leggi divine si attuano, / Canto l’Uomo Moderno»
(Walt Whitman, “Io canto l’individuo” in Foglie d’erba, trad. it. di Enzo Giachino)
1. Un canto libero per far fronte al mondo
Fin dall’inizio del suo nuovo libro di poesie, Di Pietro si proietta inarrestabilmente in una dimensione e in un assoluto di canto. Il suo intento, largamente confessato sin dall’inizio, è quello di liberare attraverso la poesia il proprio spazio di osservazione e di giudizio.