La poesia come forma della verità. Stelvio Di Spigno, La nudità, Ancona, peQuod Edizioni, 2010
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di Giuseppe Panella
Nella sua lunga e accurata postfazione a La nudità di Stelvio Di Spigno, non a caso intitolata “Una strategia di dissolvimento”, Fernando Marchiori scrive utilmente, riquadrando in prima istanza il percorso intellettuale e poetico dell’autore napoletano :
«Al movimento del soggetto verso l’esterno, verso la diaspora nel mondo, corrisponde un uguale e contrario movimento del mondo “verso l’interno”, verso il “dentro di noi” : “In noi le isole dell’afa si trasformano in pietra” (Gaeta) ; “Fa freddo e piove molto / nella mia vita” (Canone fraterno). Ma è chiaro che “dentro di noi” è un posto che non ci appartiene più – se mai ci è appartenuto – dal momento che io adesso è fuori. E quello risucchiato “in noi” è solo il mondo della nostra rappresentazione, rispetto alla quale il soggetto diviene estraneo, straniero. Lo scambio di posizioni lascia il soggetto irrelato e disperso in un mondo inconosciuto, mentre risucchia il mondo creato a nostra immagine e somiglianza nel luogo di una presunta – presuntuosa – soggettività, autosufficiente nella sua insignificanza. Perciò può essere che non lo riconosciamo : “vedremmo che il mondo non tornerà lo stesso, / non ci assomiglia più, si è ritirato in noi” (Deflusso). Quel “dentro”, la parte più nostra del noi, non è più “noi”. Siamo rovesciati in fuori, sbattuti fuori. Vediamo dall’altra parte. Ci avviciniamo all’animale rilkiano. Diventiamo mondo. E non è dato saperlo» (p. 82).