Mihai Eminescu incontra Friedrich Hölderlin
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di Domenico Carosso
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Tenterò, in poche pagine, di far incontrare con Hölderlin, Mihai Eminescu (1850-1889), il poeta romeno nato in Bucovina, di cui cantò «il genio romantico, i monti tra la luce,/ le valli tra i fiori,/ i fiumi rimbalzanti tra picchi dirupati,/ le acque che risplendono qual freschi diamanti/ oltre i campi, lontano». Molti elementi accomunano i due poeti: l’acqua, il fiume, e la montagna, poi la Terra, i morti e il passato (per Hölderlin, l’antica Grecia), che vivifica e alimenta il presente, gli dèi e il riferimento religioso, Dio e la Natura.
Intanto, l’acqua dei monti, del lago o del mare, elemento della vita e difesa contro il nulla, che nel suo divenire tutto travolge, ha un suono guaritore, così come il fiato di Dioniso e le corde di Apollo, cioè il flauto e il violino, aiutano a guarire da ogni male, e permettono l’esplorazione di chi, poeta, scultore o musicista, tende a concentrare, per salvarle, tutte le forme umane in una.
E questo è anche il lavoro delle Muse, figlie di Armonia. E la musica, musa, in greco moĩsa, viene dalla radice indo-germanica ma(n), pensare e conoscere, che diventerà il latino mens. Le muse sono il pensiero che si fa parola, canto e danza, in quel tempo e in quello spazio che, tra luce e oscurità, chiamiamo ritmo.
Così, il numero, espressione visibile del ritmo, governa il moto degli astri e la loro rotazione attorno al Polo celeste; secondo Pindaro con la musa venne al mondo la parola, la parola addormentata che diventa l’inizio del mondo.
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