Stendhal in Sicilia. Per amore di Stendhal, Sciascia diventa napoleonico

Stendhal in Sicilia. Per amore di Stendhal, Sciascia diventa napoleonico

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di Francesco F. Forte

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«Non la finiremo mai con Stendhal» (Paul Valéry); «Ha saltato un secolo intero, il diciannovesimo» (Stefan Zweig); «un Eden delle passioni in libertà» (Julien Gracq); «O si è stendhaliani o non lo si è» (Émile-Auguste Chartier-Alain); “Stendhal for ever”: ex libris ricordato da Sciascia (si ama tutto di Stendhal»); «romanzo puro, e Stendhal ne è, giustamente, il campione, affabulatore mai domo» (Giovanni Macchia); «nella scrittura domina, travolgente e incontrastato, il puro gusto del racconto, della narrazione: uno stile da Mille e una notte» (Francesco Flora).

Per Leonardo Sciascia, ancora, «la gioia che dà Stendhal è imprevedibile quanto la vita, quanto le ore di una giornata e quanto le giornate di una vita». Una gioia che accompagna lo scrittore di Racalmuto attraverso gli stadi della giovinezza, della maturità e dell’affacciarsi della vecchiaia. In un testo del lontano 1978, apparso su Mondo Operaio, scrive, a proposito dei tre gradi dello stendhalismo: «Il più bel libro di Stendhal è l’Henry Brulard. Ci sono tre gradi dello stendhalismo. In un primo si crede che il più bel libro di Stendhal sia Il rosso e il nero; poi ci si converte alla Certosa di Parma; in un terzo grado, quando lo stendhalismo è arrivato alla sua perfezione, ci si convince che il suo più grande libro è la Vie de Henry Brulard».

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