ESERCIZI DI LETTURA n. 2: La verità impronunciabile. Il silenzio della letteratura

La verità impronunciabile. Il silenzio della letteratura

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di Francesca Vennarucci

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Dolce e chiara è la notte e senza vento,

e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

posa la luna, e di lontan rivela

serena ogni montagna. […]

[…] Ahi, per la via

odo non lunge il solitario canto

dell’artigian, che riede a tarda notte,

dopo i sollazzi, al suo povero ostello;

e fieramente mi si stringe il core,

a pensar come tutto al mondo passa,

e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito

il dì festivo, e al festivo il giorno

volgar succede, e se ne porta il tempo

ogni umano accidente. Or dov’è il suono

di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido

de’ nostri avi famosi, e il grande impero

di quella Roma, e l’armi, e il fragorio

che n’andò per la terra e l’oceano?

Tutto è pace e silenzio, e tutto posa

il mondo, e più di lor non si ragiona.

[…]

(da La sera del dì di festa, di Giacomo Leopardi)

Dopo una giornata di festa, animata da suoni, grida, fragori, solo il canto dell’artigiano che torna a casa squarcia la profondissima quiete della notte. La coltre del silenzio già posa, densa e tangibile, so­pra i campi e in mezzo agli orti, avvolge le cose nell’oblio, cancella le voci del giorno respin­gendole in una dimensione irreale, dolorosa. Solo il canto notturno che a poco a poco si allontana ripopola il silenzio di voci, di grida, ma è un attimo: la luce uniforme e silenziosa della luna riprende a posare su tutto il mondo, lasciando lo sguardo dell’osserva­tore a vagare lontano e il suo animo in sub­buglio. E’ possibile notare immediatamente come la costruzione di que­sta po­esia poggi su un’opposizione dialettica: nel silenzio della notte appa­rente­mente quieta, inondata dalla chiarezza lunare, il canto dell’ar­tigiano ha il po­tere di evocare, non solo le voci del giorno appena tra­scorso, ma tutte le voci del mondo, le voci di un passato rumorosis­simo eppure inghiottito dal silen­zio del Tempo.

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“La «petite musique» di Céline”. Saggio di Domenico Carosso. (Parte II)

Louis-Ferdinand CélineLa «petite musique» di Céline (seconda parte)

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di Domenico Carosso

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Céline e Proust

Il riferimento a Proust è inserito nella presentazione che Céline fa dell’attività di Madame Herote, la quale

«Unissant les couples et les désunissant avec une joie au moins égale, à coups des ragots, d’insinuations, de trahisons, imaginait du bonheur et du drame sans désemparer. Son commerce n’en marchait que mieux».

Così Proust,

«Mi-revenant lui-meme, s’est perdu avec une extraordinaire ténacité dans l’infinie, la diluante futilité des rites et démarches qui s’entortillent autour des gens du monde, gens du vide, fantômes du désirs, partouzards indécis attendant leur Watteau toujours, chercheurs sans entrain d’improbables Cythères».1

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“La «petite musique» di Céline”. Saggio di Domenico Carosso. (Parte I)

celineLa «petite musique» di Céline (prima parte)

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di Domenico Carosso

Capire l’argot per leggere Céline non basta, tanto più che l’autore è consapevole del rapido invecchiamento di lingue e dialetti, che guarda con fastidio, come una possibile fonte di blocco mentale, come sanno i suoi lettori francesi. E d’altronde l’uso che Céline fa delle 37 varianti argotiche contate da Henri Godard, il suo maggiore studioso, non è mimetico, ma occasionalmente omeopatico, come dice bene il traduttore italiano Ernesto Ferrero, il migliore, con Gugliemi e Celati.

Il problema è andare verso l’asprezza tagliente di Céline, la densità fauve che caratterizza la sua pagina, tenendo conto che il suo intraducibile jazz è quello di chi è cresciuto sotto le vetrate del passage Choiseul, nel II Arrondissement, tra l’odore di orina, i merletti inamidati della madre Marguerite, le canzoni di Aristide Bruant, dure ed epiche, e di Fréhel, forti e commoventi. Nella voce stessa di Céline, nel suo modo di parlare e nella sua scrittura, c’è sempre il suono di una vecchia parlata da faubourg, un impasto di gerghi vari che per sonorità e cadenze non ha niente a che fare col francese scolastico.

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