Giovanni Inzerillo, “Dalla vita assassinato alla poesia. Il Canzoniere di puro disamore di Dario Bellezza,”

Giovanni Inzerillo, Dalla vita assassinato alla poesia. Il Canzoniere di puro disamore di Dario Bellezza, Franco Cesati Editore, 2019, pp.80, €10,00

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di Francesco Sasso

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Ad oggi di Dario Bellezza (1944-1996) ho letto rime sparse su riviste e antologie, nonostante da cinque anni un Oscar Mondadori (Tutte le poesie) campeggi intonso nella mia libreria. Lacuna che andrò a colmare presto anche grazie al bel saggio Dalla vita assassinato alla poesia. Il Canzoniere di puro disamore di Dario Bellezza di Giovanni Inzerillo.

Come ci suggerisce l’autore del saggio nell’Introduzione: «Nel condurre questo attraversamento di un’opera poetica vasta e complessa si è scelto di adottare un approccio di tipo cronologico che ne agevoli la lettura e di avvalersi di un’indagine volutamente intertestuale. Oltre a dimostrare come il percorso dell’autore si muova all’interno del panorama poetico di quegli anni e come spesso si distacchi, per poi in un certo senso riavvicinarsi, dalla corrente allora in circolazione, si è tentato di far comprendere come la scrittura dialoghi con gli autori italiani e stranieri di ogni epoca, ereditando soprattutto la recente tradizione di Pasolini e Penna, talvolta affiancandosi ai grandi modelli del passato quali Leopardi e Baudelaire.» (pag.12)

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Carlo Cassola, “Troppo tardi”. Il Realismo «nella luce della Resistenza»

Carlo Cassola, Troppo tardi. Il Realismo «nella luce della Resistenza»

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di Giovanni Inzerillo

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Pochi oggi leggono romanzi di Cassola, certamente assai meno rispetto al ventennio ’60-’80 in cui la sua fervida produzione narrativa è pure motivata da un successo di pubblico e di critica (basti ricordare l’assegnazione nel 1960 del Premio Strega a La ragazza di Bube; nel 1973 del Premio Selezione Campiello a Monte Mario e nel 1978 del Premio Bagutta a L’uomo e il cane). Un ventennio dunque di riconoscimenti e di successi editoriali che, nonostante il poco lusinghiero giudizio espresso da Pasolini il quale, criticando la “restaurazione dello stile” di alcuni scrittori, accusava Cassola di un maldestro recupero del Realismo negli anni in cui il “Fascismo era vinto”, ha permesso di inserire a pieno titolo lo scrittore romano tra i classici letterari italiani per poi escluderlo a posteriori dal canone del Novecento, canone che continua a suscitare discussioni, fastidi e malumori ma che, inutile negarlo, condiziona più o meno indirettamente le scelte didattiche, critiche ed editoriali italiane. Così, rispetto alla vasta produzione narrativa dell’autore ed escludendo La ragazza di Bube, sono poche le recenti ristampe ed è più facile trovare un suo romanzo tra le bancarelle dei mercatini di strada piuttosto che tra gli scaffali di una qualsiasi pur assortita libreria. Probabilmente a Cassola oggi questo interesserebbe poco se prendiamo per autentico, e non come una artificiosa captatio benevolentiae, quanto scrive nella Nota dell’autore che apre il romanzo Troppo tardi, ultimato nel 1971 e pubblicato nel 1975:

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Giuseppe Daddiego, “So contare i giorni”. La scrittura può salvare

Giuseppe Daddiego, So contare i giorniLa scrittura può salvare. Giuseppe Daddiego, So contare i giorni, Stilo Editrice, 2013, 108 pp.,€ 10,00

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di Giovanni Inzerillo

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Assai poco si parla pubblicamente di carceri e di detenuti. Eppure il degrado umano, l’abbandono sociale dei condannati, il sovraffollamento e lo stato di invivibilità dei luoghi di pena, l’alto tasso di suicidi di detenuti e di guardie carcerarie sono una questione ben nota in Italia – Pannella e i radicali docent. Pur se animati da valide motivazioni, gli scioperi della fame sembrano utili solo a far dimagrire i poveri malcapitati che protestano, detenuti compresi. E così, quelle brevi notizie, appena accennate in coda alle edizioni dei telegiornali, scivolano presto nel dimenticatoio. Perché, a voler essere onesti e un po’ sfacciati, non è neppure affar nostro; che marciscano pure in carcere questi delinquenti! In strada non li vogliamo mica! Se lo sono meritati! – pensa ma non dice la voce della nostra onesta coscienza.

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Leonardo Sciascia, Una storia semplice: ombre nella luce della verità

Leonardo Sciascia, Una storia sempliceLeonardo Sciascia, Una storia semplice: ombre nella luce della verità

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di Giovanni Inzerillo

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La assai ricca ed eterogenea produzione letteraria di Leonardo Sciascia si conclude col romanzo Una storia semplice pubblicato, per volere dello stesso autore, il giorno della sua morte, avvenuta il 20 novembre del 1989, e ispirato al furto del celebre dipinto di Caravaggio, Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, trafugato nell’ottobre del 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e da allora mai più recuperato.

Una sorta di testamento letterario, di epigrafe culturale, data l’essenzialità del romanzo, dove confluisce (e forse si comprende) l’intero e certamente complicato percorso narrativo di uno degli autori a furor di critica più rilevanti della seconda metà del ventesimo secolo. Nonostante la brevità che lo ha reso, al di là di qualsivoglia concettualizzazione culturale, uno dei testi più letti e conosciuti, specie tra i più giovani, dell’autore siciliano, Una storia semplice, come recita la quarta di copertina, è «una storia complicatissima». Un tipico giallo sciasciano che, tramite il rapidissimo susseguirsi di eventi e di colpi di scena, e la fugace apparizione di comparse (il prete, il professore, l’autista della Volvo, la moglie e il figlio della vittima), si risolve, come da protocollo, con la scoperta del colpevole dell’omicidio che apre la vicenda. Con una narrazione rapidissima e una prosa fluida e scorrevole Sciascia fissa, come a comporre disordinate tessere di un puzzle, piccole parti (i paragrafi in cui è diviso il testo) in un tutto ben definito ed omogeneo. È un racconto per immagini, non è un caso che la vicenda ruoti attorno a un misterioso dipinto scomparso (non citato sebbene se ne conosca l’ispirazione), che non lascia spazio a psicologie criminali o a complicate indagini investigative. Una storia semplice è, piuttosto, uno straordinario esercizio di bravura letteraria, una formula scientifica, un quesito aritmetico, un gioco di intelligenza che il lettore, ancor più che il brigadiere o il questore protagonisti delle vicenda, è chiamato a risolvere nel più breve lasso di tempo possibile. Recita ancora la quarta di copertina:

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Gianni Bonina, “Busillis di natura eversiva”: la politica in scena tra farsa e tragedia

Gianni Bonina, Busillis di natura eversivaGianni Bonina, Busillis di natura eversiva, Barbera editore, 2008, pp.189, € 14,00

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di Giovanni Inzerillo

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«Un paesino montano inscena il teatro, o teatrino, della storia non scritta dei Cruise in Sicilia, storia non vera ma verosimile e perciò come avvenuta: dramma o sceneggiata, opera dei pupi o pantomima di un destino collettivo. Molto siciliano. E dunque italiano.»

Così recita la quarta di copertina dell’esordio narrativo di Gianni Bonina (più recente è il romanzo dal titolo I sette giorni di Allah, Sellerio 2012) edito in origine dalla casa editrice Lombardi e poi ripubblicato per i tipi dell’editore Barbera.

L’arrivo del terrorista Monti a Roccasalva, come a richiamare la storia del palazzeschiano Perelà, apre la vicenda e scatena un funambolico susseguirsi di eventi: scuote il piccolo paese da sempre assuefatto alla statica immobilità del tempo; rompe l’omertoso silenzio dei suoi abitanti; turba le in-coscienze di potenti e prepotenti abituati alla rassegnata adulazione di popolari attenzioni. Come forze concomitanti, ma opposte, si scontrano Mafia e Terrorismo, di cui vengono messe in risalto le ideologie più che le ripercussioni. Ne nasce un busillis, un grattacapo, una questione ingarbugliata, dove si confondono le più svariate realtà geografiche – Sicilia, Roma e persino America –  e impronte culturali; perché in Sicilia, piccolo paese o grande città che sia, non esiste certo una sola peculiare identità e perché, citando le parole di Sciascia poste non a caso a epigrafe introduttiva, «la sola cosa che della Sicilia oggi si capisce è che non si capisce niente».

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Lorenzo Sani, “Più sangue, Larry”: le dinamiche del giornalismo moderno

Lorenzo Sani, Più sangue, LarryLorenzo Sani, Più sangue, Larry. Vita improbabile di un cronista di provincia, Laterza, 2006, pp. 263, € 9,50

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di Giovanni Inzerillo

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La notizia del brutale omicidio del tassista Roberto Tossani, uomo morigerato e dal carattere pacifico, sconvolge la vita tranquilla di un piccolo paese in Romagna e Larry, giornalista di una testata locale, dapprima inviato in loco per la stesura di un articolo sul club del liscio per la pagina vacanze, si trova coinvolto, suo malgrado, in un caso di cronaca nera. Perché, giornalisticamente parlando, di notizie «ne arrivano sempre di più e oggi ne arrivano talmente tante che non ci sarebbe nemmeno bisogno di andarsele a cercare».

Si dispiega così un caso giornalistico più che poliziesco. Accidentalmente infatti, e senza che l’attenzione si focalizzi sulle indagini giudiziarie vere e proprie, vanno via via componendosi le dinamiche del fatto, i retroscena, i primi sospetti poi definitivamente concentrati sulla figura di Ruben Incerti, una guardia giurata il cui ritratto di disperato, depresso e aspirante suicida cede presto il posto a quello di un potenziale serial killer: «Una persona senza speranza, già condannata e, per questo motivo, estremamente pericolosa» la cui «volontà suicida si trasforma e si trasferisce su uno sconosciuto».

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Gaetano Savatteri, “I siciliani”: la pazzia e la logica della contraddizione

Gaetano Savatteri, I sicilianiGaetano Savatteri, I siciliani: la pazzia e la logica della contraddizione

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di Giovanni Inzerillo

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Chiunque si accinga a leggere un saggio dedicato ai siciliani si aspetterebbe, probabilmente, specifiche osservazioni, concetti ben chiariti, altrettanto precise conclusioni; vorrebbe poter avere delle risposte per cementificare assunti preconcetti o per, una volta smantellati, giungere a nuove considerazioni. Sarebbe di certo un buon proposito destinato, però, a non sortire gli esiti sperati.

È impossibile, infatti, comprendere appieno, e qui la saggistica serve a poco, quali logiche sottendano alla Sicilia, terra benedetta dai suoi eroi, maledetta dalle sue sciagure, contraddetta dalla storia:

La Sicilia come luogo dove toccare terra e scoprire non le risposte, ma le domande immutabili e spietate della vita. La Sicilia come luogo dell’assoluto.

Basterebbe chiedere in giro per il mondo per sentire immediata la similitudine con la mafia ma capire la Sicilia è per tutti, intellettuali e non, italiani e stranieri, persino per gli stessi siciliani, una questione irrisolvibile. Vorrebbe dire, piuttosto, attribuire a tutti i costi senso alla contraddizione, determinatezza all’assoluto, discernimento nel più totale disordine.

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L’assegno è del Professore! Lo strano caso dei concorsi per gli Assegni di Ricerca

di Giovanni Inzerillo

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Le classifiche mondiali non consolano; nessuna delle Università italiane, stando all’ultima proiezione stilata dal «Times» nel 2012, si piazza entro il centesimo posto, compresa la vetusta mater bolognese o «La Sapienza» capitolina che già solo per il nome dovrebbe meritarsi il primato, seppure dopo i recenti scandali di assunzioni parentali facili che hanno coinvolto il Rettore.

La notizia in fondo può scoraggiare ma nemmeno così tanto se si considerano i parametri con cui queste statistiche vengono effettuate: l’offerta formativa, l’innovazione della ricerca, l’influenza delle pubblicazioni, la percentuale dei laureati e degli abbandoni, dell’età di conseguimento del titolo e dei fuori corso, persino la qualità dei dormitori e delle mense. Un po’ troppo fumo, forse. Basterebbe confrontare i nostri programmi accademici con quelli di molte altre Università estere, persino tra le più prestigiose, per comprendere che l’Italia non merita affatto i bassi posti in classifica e che i nostri studenti escono tutt’altro che sconfitti nel confronto coi colleghi stranieri. Conosciamo meno lingue, bene forse nessuna, è vero, siamo dotati di poco spirito pratico infarinati, come siamo, di dottrine e concetti teorici, ma siamo indubbiamente assai intelligenti e dotti, questo almeno ce lo si deve riconoscere.

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Ippolito Nievo nella magnifica Palermo. Una questione geografica della storia. Paolo Ruffilli, “L’isola e il sogno”

Ippolito Nievo nella magnifica Palermo. Una questione geografica della storia. Paolo Ruffilli, L’isola e il sogno

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di Giovanni Inzerillo

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Dopo vent’anni dalla prima biografia pubblicata per i tipi della Camunia col sottotitolo Orfeo tra gli Argonauti e in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, Paolo Ruffilli, sempre più affascinato dalla prosa, torna a scrivere su Ippolito Nievo, la cui controversa figura di eroe della storia e di letterato continua ad affascinare e far discutere. Ruffilli, che già nel 1991 aveva quindi tracciato una breve ma ricca biografia dell’eroe garibaldino morto nemmeno trentenne, corredata inoltre da un’appendice critica dei lavori letterari di Nievo, dai più ai meno noti (a parte le celebri Confessioni, si ricordano pure Antiafrodisiaco per l’amor platonico, Angelo di bontà, Il conte pecoraio – solo per citare alcuni romanzi), torna a insistere su un personaggio e su un periodo storico a lui caro come testimoniano, dello stesso autore, le curatele alle Confessioni e a un’antologia di scrittori garibaldini.

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“Il Serpente” di Luigi Malerba: una ipotesi surrealista

Il Serpente di Luigi Malerba: una ipotesi surrealista

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di Giovanni Inzerillo

In un articolo apparso su «Repubblica» l’8 ottobre 2009 intitolato La geniale arte della menzogna, Umberto Eco, pur creando una curiosa corrispondenza con la musica dei Beatles, in merito al Serpente utilizza la assai efficace metafora del «pesce che a poco a poco divora se stesso sino a svanire del tutto».

Siamo nel 1966, agli esordi della carriera letteraria di Malerba – di poco precedenti erano i bizzarri e secchi racconti della Scoperta dell’alfabeto pubblicati nel 1963 – e immediatamente dopo la Neoavanguardia che, come sostenuto dal compianto Alfredo Giuliani, già nell’anno della sua istituzionalizzazione palermitana in un cento senso si esaurì, sgretolando il suo consolidamento e decretando la sua fine.

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Luigi Romolo Carrino: “Acqua storta”. Per una regola di sopravvivenza

L. R. Carrino, Acqua storta, Editore Meridiano Zero, 2008, pp.123, € 9,50

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di Giovanni Inzerillo

 

Nello scenario di una Napoli stordita dai rumori degli spari e dalle colorite voci chiassose di chi la abita si sviluppa la vicenda e prende corpo una storia d’amore di cui è necessario preservare il silenzio. D’altronde è facile che le più nobili emozioni possano attecchire, con maggiore forza che non altrove, proprio laddove tutto ha silenzio di paura e di morte. Non stupisce dunque che sentimenti di amore incondizionato nascano proprio dietro al tabù del bigottismo e dell’oppressione e che sia possibile “dare ragione al male” persino dove tutto è imbrattato da “bicchieri di plastica, carta di giornale sporche di merda e siringhe usate”.

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Arcadie e disincanti. Sebastiano Vassalli poeta della Neoavanguardia. Saggio di Giovanni Inzerillo

Arcadie e disincanti.  Sebastiano Vassalli poeta della Neoavanguardia

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di Giovanni Inzerillo

Dire non significando nulla, dunque;

ma dire, appunto, per necessità di significare.

 

Pochi sanno, ad oggi, che Sebastiano Vassalli uno dei maggiori scrittori in prosa della nostra letteratura contemporanea, conosciuto esclusivamente per i suoi romanzi, abbia esordito nella veste di poeta. L’esordio vero e proprio avviene nel 1965 con Lui (egli) a cui segue, nel 1968 Disfaso, raccolta di poesie di chiara impronta neoavanguardistica. L’epigrafe, tratta dalla citazione di Franco Cavallo alla raccolta, ben sintetizza lo stile poetico del primo Vassalli, fortemente attratto dai giochi funambolici della Neoavanguardia e da uno sperimentalismo capace di sfruttare tutte le potenzialità della parola.

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Laura Pariani, “Milano è una selva oscura”. La storia raccontata da un barbone poeta

Laura Pariani, Milano è una selva oscura. La storia raccontata da un barbone poeta

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Mi son el pòer Dant in bolletta,
malattia ch’è sémper stada in frega
in chi se ciappa ‘l spass
de vèss poeta

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di Giovanni Inzerillo

L’ultimo della Pariani sin dal titolo rimanda alla più conosciuta citazione della nostra storia letteraria. Dante è pure il nome acquisito dal protagonista che, indossate le vesti di un barbone, con il Sommo ha tanto da condividere: anche lui ha subito ingiustizie, come lui ha a lungo vagabondato, ha scritto una silloge di poesie e ha vissuto una vita di emarginazione, di forzato esilio. Ancora una volta – ed è forse una delle peculiarità più affascinanti della scrittura della Pariani – come in altri precedenti romanzi, basti pensare a La signora dei porci, Il paese delle vocali e Quando Dio ballava il tango, i suoi personaggi lasciano scarso spazio all’autobiografismo. In occasione di un incontro con gli studenti dell’Università di Palermo del 16 aprile 2003 l’autrice stessa dichiarava:

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Vincenzo Latronico, “Ginnastica e Rivoluzione”: la rabbia della gioventù e la palingenesi impossibile

di Giovanni Inzerillo

Sento molti dire di aver fatto la rivoluzione. Si ingannano.

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In una Parigi metropolitana e urbana, depauperata del fascino da cartolina e della raffinatezza dei costumi che le si addice, si intrecciano storie di giovani assai diversi tra loro per provenienze e ideali, alcuni animati da un desiderio di riscatto sociale, altri ancora arresisi alla passività di una esistenza ancorata al ricordo e alla satura mediocrità. Ciò che li avvicina è lo stesso tetto della palazzina in cui vivono insieme e sotto cui trascorrono le giornate da emigrati, talvolta banditi ricercati dalla legge.

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David Leavitt, “La trapunta di marmo”. Storie di equivoci e di opposti


di Giovanni Inzerillo

Apparso in Italia nel 2001, contemporaneamente all’anno di pubblicazione americana, La trapunta di marmo raccoglie nove racconti sul “delicato tema delle relazioni umane”, come citato nella quarta di copertina. Sono storie contestualmente assai differenti tra di loro, ambientate in diverse aree geografiche e periodi storici.

Dall’America passando per l’Italia Leavitt compone e interpone, come fossero differenti strisce di tessuto unite a formare una “trapunta”, vicende equivoche e paradossali. Ma proprio come fatto da Tom, protagonista morto del racconto che dà il titolo all’intera raccolta, la composizione dei pezzi (e delle storie più in generale) si effettua secondo una geometria “precisa”:

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Hervé Guibert, “Le regole della pietà”: quando l’Aids diventa poesia

di Giovanni Inzerillo

 

Le protocole compassionel, ultimo romanzo di Guibert, apparso in Francia nel 1991 per le edizioni Gallimard venne pubblicato in Italia nel 1995 per i tipi della Marsilio con il titolo Le regole della pietà.

Autore assai discusso in Francia ancora oggi, specie a seguito della pubblicazione di La pudeur ou l’impudeur, agghiacciante documentario degli ultimi mesi della sua vita, in Italia di lui non resta che qualche timida ombra.

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Il piacere di leggere ovvero la scrittura impossibile. “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino

 

di Giovanni Inzerillo

 

Il piacere di leggere ovvero la scrittura impossibile. Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino.

 

     Pubblicato nel 1979 e presto diventato un caso letterario internazionale, il testo di Calvino non può essere facilmente definito come un romanzo in senso stretto. Sebbene il Novecento ci abbia abituato alla frammentarietà -fu la Coscienza sveviana il primo vero romanzo moderno in netto contrasto con la tradizione-, alla metaletteratura, allo sperimentalismo e al citazionismo, questo testo sembra andare oltre.

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QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.21: Ipotesi per un poeta. Giovanni Inzerillo, “La virtù della frivolezza. Saggio sull’opera di Paolo Ruffilli”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

  

di Giuseppe Panella

 

Ipotesi per un poeta. Giovanni Inzerillo, La virtù della frivolezza. Saggio sull’opera di Paolo Ruffilli, Introduzione di Daniele Maria Pegorari, Bari, Stilo Editrice, 2009

«Tessendo, neppure con troppa partecipazione del resto, l’elogio necessario della frivolezza, che è stata sempre la virtù dei grandi ingegni. Per pronunciare davvero il sublime, penso che occorra partire dal calco, dall’orma, da una traccia sottile. Per una legge dell’inversamente proporzionale: quanto più è basso il tono, tanto più alto è l’effetto. Non è che intenda, per carità, rinunciare alla “grandezza” delle cose. Ma trovo giusto rilevarla nella loro “piccolezza”. E mi piace soffiarci dentro quell’arietta frizzante che fa, del castello di Atlante, l’attracco delle astronavi per il resto dell’universo» (Paolo Ruffilli, Appunti per una ipotesi di poetica).

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“Storicità e letterarietà nella poesia di Giuseppina Turrisi Colonna”. Saggio di Giovanni Inzerillo

turrisi colonna

di Giovanni Inzerillo

 

«Raccolta nelle domestiche pareti, con la coscienza de’ più tenaci, studia il passato, irrompe contro le prave usanze, ripudia le cure femminili, colla mente risale, infiammata di gloria, a’ più splendidi momenti della vita italica, ed evoca le memorie degli eroi, vedendo gli uomini del suo tempo tralignati ne’ conviti, ne’ balli e negli amori. Tali sentimenti erano in lei sedicenne».

Così Francesco Guardione traccia un breve profilo della Turrisi Colonna, una ragazza appena sedicenne ma dall’animo di donna, capace di dedicare la sua breve vita a due grandi amori: la poesia e la patria.

Le poesie della Turrisi Colonna scritte in un periodo compreso tra il 1836 (ad appena 14 anni pubblica infatti l’Inno a San Michele) e il 1846 (nel 1841, a soli 19 anni, pubblica il suo primo volume), hanno una interessante storia editoriale, che vale la pena di citare, tra le due diverse aree geografiche di Palermo e di Firenze.

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