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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Recensione/schizzo #16
Ho riletto Vecchio Angelo Mezzanotte di Jack Kerouac. Sono testi di prosa spontanea che lo scrittore americano scrisse su cinque taccuini nel periodo che va dal 1956 al 1959.
Per chi non lo sapesse, la prosa spontanea è una tecnica di scrittura in cui lo scrittore butta giù pensieri e immagini mentali, le quali fluiscono libere dal controllo della coscienza. (Vi confesso che sono anni che pratico la prosa spontanea).
Scrive Ann Charters nell’introduzione al volume:
« Quello che Kerouac aveva in mente era la creazione di una cronaca “di questa vita interiore che conduciamo, noi tutti, che utilizzi la cadenza metrica nella quale parliamo, e quelle inevitabili forme di prosa e poesia che provengono dall’unicità della rivelazione della mente che fedelmente annota i propri processi […]. La sua tecnica di prosa spontanea ebbe origine in seguito al consiglio datogli da un amico di “fare uno schizzo” delle immagini e delle scene cui aveva assistito, associandole poi liberamente alle parole nello stesso modo in cui i jazzisti improvvisato le loro melodie su una struttura armonica di partenza […] La tecnica buddista del “lasciare andare” rappresentò un aiuto per liberare la mente mentre era al lavoro sulle pagine di Vecchio Angelo Mezzanotte e annotava il flusso di parole che attraversavano la sua coscienza in risposta agli stimoli uditivi che gli provenivano dall’ambiente circostante».
Sfortunatamente è impossibile tradurre in italiano “la cadenza metrica” del parlato di Kerouac. Non è colpa del traduttore, ma il passaggio da una lingua all’altra frantuma inevitabilmente la trama sonora in cui la parola spontanea diviene rivelazione e delirio poetico. Quindi, se non amate la prosa illogica e soggettiva, non comprate questo libro.
f.s.
Jack Kerouac. Il violentatore della prosa, biografia letteraria pubblicata dalla Libreria Icaro Editore sull’autore del libro cult On the road, scritta da Rossano Astremo, cultore e studioso del movimento beat. Scrittura sperimentale, totale, rivoluzionaria, “Jack Kerouac ha violentato a tal punto la nostra immacolata prosa, che essa non potrà più rifarsi una verginità”. Queste parole sono di Henry Miller, padre indiscusso di quella generazione che negli anni Cinquanta ha determinato la messa in discussione del militarismo, del denaro, dell’ideologia del successo, di tutti quei temi centrali della ribellione giovanile del secondo Novecento. La Beat Generation di Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Neal Cassady, William Burroughs, però, non è stata solamente uno dei miti più affascinati dell’America contemporanea. Il saggio di Rossano Astremo, infatti, ricostruisce le tappe più importanti dell’esperienza scritturale di Jack Kerouac, capostipite del movimento beat, attraverso l’analisi non solo della sua vita, ma soprattutto della sua poetica, con un occhio di riguardo per “I sotterranei”, romanzo scritto in soli tre giorni che più d’ogni altro esemplifica il modo di scrivere dell’autore americano. “Kerouac parte da un abbozzo, da un’idea centrale, per poi lasciarsi andare, per poi scrivere sino allo sfinimento, seguendo le leggi dell’orgasmo, senza coscienza, tirando fuori quello che abbiamo di più nascosto, di più intimo e carnale, che una scrittura cosciente e razionale non potrebbe creare, ma solo censurare, obliare, cancellare”. Un viaggio, quindi, che passa attraverso la sua vita, la sua poetica, la sua scrittura, nell’intento di illustrare l’originalità e la tipicità dell’esperienza letteraria del Proust d’America.
f.s.
Beat
Fin dal suo atto di nascita, il linguaggio della Beat Generation è stato linguaggio musicale. I riferimenti di Kerouac & soci erano Charlie Parker e Thelonious Monk, Miles Davis e Art Blakey, Charlie Mingus e Dizzy Gillespie. Ritmo della sintassi, struttura associativa e spesso analogica della frase venivano da lì, dalla nuova forma bop del jazz del dopo-guerra.
Il linguaggio poetico ne fu straordinariamente rivitalizzato, ridinamizzato, ‘una botta di adrenalina’ – per parlare la lingua del presente. Il “beat” del tempo musicale era il deterrente giusto per pensare veloce, scrivere veloce, guidare veloce, vivere veloce “from coast to coast”. A metà degli anni ’50 da San Francisco a New York, in locali che si chiamavano The Cellar, Five Spot, Village Vanguard, Six Gallery, si moltiplicavano i readings musicali di Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso, Orlovsky, Rexroth etc. Erano serate e nottate, spesso memorabili, in cui affiancati da band di be-bop, i poeti della nuova America sperimentavano la forza orale dei loro versi sulla base delle improvvisazioni della musica, dei cambi di umori (anche etilici) del momento, degli imprevedibili cortocircuiti con la platea.
f.s.