UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (EDMONDO DE AMICIS)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli Bocca editore, Milano, 1899

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EDMONDO DE AMICIS.

Biella, settembre del ’94.        

La valle del Cervo che da Biella sale fino ad Andorno e più su fino alla Balma e a Campiglia distante appena tre ore di mulo da Gressoney, è forse la più quieta e la più libera delle valli Biellesi. Dopo Biella gli alti camini delle manifatture scompaiono, e appena sotto Andorno riappariscono più rari tra le robinie, i pioppi e i faggi; dopo Andorno il tramway corre in una gola stretta ora dalle rocce e dalle acque cadenti, ora da brevi prati verdissimi, eguali, tonduti come in un parco, vigilati da pioppi altissimi pallidi nel tronco e nelle fronde. Raramente, si scorge qualche donna intenta a raccogliere erba o legna, o a lavare panni genuflessa su la roccia verso l’acqua limpida. Una serie continua di paesaggi alpestri verdi, quietissimi, che hanno per isfondo i monti e in alto in alto un arco di cielo chiaro.

E si desidera per tutta la via ardentemente di escire dal piccolo tramway sconnesso e sbuffante per poter liberamente «udire il silenzio» che quasi fa sacre tutte quelle fresche solitudini alpestri.

Alla stazione della Balma, che è l’ultima, trovai Edmondo De Amicis, coi suoi due figli, due ragazzi alti e validi come il padre loro. Il capitan cortese ha l’aspetto ancora giovine e salutevole, e non mostra affatto in sembiante quella stanchezza e quella incerta salute da cui tutti derivano il ritardo nella pubblicazione del Primo maggio. Ha i baffi grigi, folti, corti, rilevati, la fronte ampia, le ciglia lunghe e gli occhi assai placidi e benigni. Portava un largo cappello di paglia e vestiva a lutto.

Ci incamminammo verso Campiglia discorrendo. Continua a leggere “UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (EDMONDO DE AMICIS)”

UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (ENRICO A. BUTTI)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli Bocca editore, Milano, 1899

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ENRICO A. BUTTI.


Cerro, agosto del ’94.

Da Laveno (sul lago Maggiore) giunsi la mattina per barca a Cerro. Enrico Butti al timone, Luciano Zuccoli ed io ai remi. Non rammento una mattinata più fresca e più gioconda: il cielo tutto sereno, il lago (noi costeggiando eravamo nell’ombra) verso Pallanza tutto d’argento abbagliante, le rive verdi qua e là macchiate di rupi grigie o di case bianche, la istessa barca nostra tutta nuova fiammante coi cuscini rossi e il legno giallo, i nostri animi giovini festosi fiduciosi.

Tutto il giorno, sedendo sotto il bel pergolato della villa o passeggiando giù per la spiaggia pietrosa o salendo verso una fonte limpida su pel monte nel bosco, noi tre parlammo d’arte. Né io rammento d’aver mai parlato d’altro con Enrico Butti.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (CESARE CANTÙ)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli Bocca editore, Milano, 1899

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CESARE CANTÙ.

Milano, agosto del ’94.1

Quando giunsi a Milano e domandai a qualche collega notizie di Cesare Cantù, nessuno me ne seppe dir nulla. Un editore (gli editori han fama di conoscere punto a punto il movimento letterario) mi rispose seriamente:

— Ma Cantù non è morto?

E pazientemente dovetti, innanzi tutto, scoprire l’indirizzo di lui. Poi, quando ebbi saputo che egli abitava in via Morigi, dovetti immaginare il miglior modo per penetrare fino a lui.

Per due giorni, alla sua porta, una domestica mi rispose che egli era in letto e, fino a nuovo ordine del suo medico, non si sarebbe alzato.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (FEDERICO DE ROBERTO)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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FEDERICO DE ROBERTO

Milano, agosto del ’94.

È un giovane di appena trent’anni, bruno, elegante, ha il monocolo. Parla con accento siciliano, e nel valido manipolo dei romanzieri siciliani, sebbene così giovane viene terzo, subito dopo il Capuana e il Verga. In questo mio soggiorno egli è stato uno dei tre o quattro compagni più cortesi e più cari e più assidui, così che quello che qui riassumo a mo’ di intervista è stato invece argomento di discussioni lunghe, diverse, appassionate.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (MARCO PRAGA)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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MARCO PRAGA.

Milano, agosto del ’94.

L’ho incontrato al Savini. Parla poco, anzi gli amici intimi mi han detto che non ama parlare d’arte. È alto, biondo, esile, ben elegante e… per chi se ne occupa, è un ciclista appassionato. Ho voluto «intervistarlo» perché egli ha fama di essere stato un innovatore nel teatro italiano, ma certo non ho trovato in lui l’entusiasmo dell’apostolo. Per scuotere una sua apparente indifferenza alla discussione, ho attaccato il suo ultimo dramma direttamente cosi:

— Perchè hai scritto L’Erede? Ha avuto una causa estetica questo ritorno all’antico, tanto più strano in te che tra gli altri eri stimato modernissimo?

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Nei dintorni del «Trionfo della morte» di d’Annunzio. Romanzo, malattia e musica

Nei dintorni del «Trionfo della morte» di d’Annunzio. Romanzo, malattia e musica


di Manuele Marinoni (Università degli studi di Firenze)

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L’esplorazione dell’interiore formalizza, dalla planimetria dei nervi e dal conseguente universo patologico, nella seconda metà dell’Ottocento, nuovi protocolli ermeneutici utili alla memoria narrativa, nella più ampia observation clinique. Se ciò ha permesso a Bertrand Marquer di parlare, su vasta scala, di romans de la Salpêtrière1 è perché una moderna sinergia disciplinare s’è canalizzata verso un orizzonte storico preciso, al servizio di limiti e sconfinamenti della Nervenschreiben.

E così, individui nevrastenici, ipersensibili, alienati, sonnambuli, e quant’altro, sono divenuti soggetti di ispezioni del profondo; di analisi che tramutano i risvolti del patologico in una vera e propria rêverie. Tutto ciò, nella cultura fin-de-siècle, non produce alcun attrito né cortocircuiti, anzi fornisce ulteriori alibi all’estetica del corpo diafano, della psiche notturna, dell’animo fuorviato e, ancor più significativo, regala altri sistemi d’appoggio alle simmetrie del simbolico. La suite della decadenza trova in tal modo nuovi spazi e nuove ragioni per approfondire e scomporre le fuggevoli corruzioni che s’insinuano tra piacere e dolore2.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (GIOVANNI VERGA)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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GIOVANNI VERGA.

Milano, agosto del ’94.

Vedo che sfortunatamente questi miei colloquii vanno perdendo la poesia del luogo: dai verdi fiumi e dalle azzurre montagne della valle vicentina son venuto a cadere qui tra il caldo estivo e i costumi cittadineschi. Cosi spesso per appagare la memoria mia, mentre parlo coi miei interlocutori, cerco — se li amo — di figurarmeli in un paese capace di loro, fuori dai velluti del caffè Savini o dal giardinetto posticcio del Cova.

E appunto al Cova ho parlato col Verga, e io pensavo a un bel paesaggio siciliano un po’ selvaggio adatto alla Cavalleria rusticana o alla Lupa; e invece i camerieri attorno mormoravano con pronte moine la minuta del pranzo e un’ orchestruccia nascosta lamentava proditoriamente i casi di Leonora e del Trovatore.

Qui al Cova, sebbene l’estate decimi ogni radunata, si riuniscono a desinare in una bella tavolata, il Verga, il Boito, i Treves, il de Roberto, il Torelli-Viollier, il Butti e qualche altro che per un giorno o due gli affari urbani distolgono dalla quiete dei laghi o delle alpi.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (PAOLO LIOY)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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PAOLO LIOY.

Vicenza, agosto del ’94.

«Domani mattina, se ti piace, scendi alle sei su la riva del fiume Retrone, sùbito fuori della città. Mi troverai là. Chiacchiereremo in sandalino, risalendo la corrente.»

Questo strano e piacevole invito mi scrisse Paolo Lioy quando io, appena giunto a Vicenza, gli ebbi chiesto un’ora di colloquio.

Il mattino apparve purissimo e fresco; il Retrone dalle limpide acque verdastre scendeva senza parvenza di correntìa sotto la luce fredda; e in fondo tra i due argini erbosi ed arborati una nebbia bassa e tenuissima fumava. L’argine era alto e tutto verde così che quando mi trovai con Paolo Lioy giù presso le acque, il saggio così rinchiuso era nuovo e freschissimo. Anche qualche signora ci raggiunse, e in breve tutta una flottiglia di sandalini azzurri risali diritta la quieta corrente. Nulla del paesaggio dentro quelle alte rive boscose compariva, ma l’orizzonte era chiuso da un gomito del fiume dove il giuncheto basso luccicava a mo’ di smeraldo per il sole che fra i tronchi dei salici e degli albanacci passava a ravvivarlo.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (ANTONIO FOGAZZARO)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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ANTONIO FOGAZZARO.

Seghe di Velo, agosto del ’94.

Dopo Schio s’entrò nella verde valletta dell’Astico, dove fuor dai pioppi e dalle robinie selvatiche emergevano a tratti case bianche dai tetti rossi strette a torno a un campanile. Nell’atmosfera pura e serena si sentivano le prealpi. Il treno radeva le falde dei monti che si facevano sempre più alti e rupestri.

Nel vagone non era con me che una signorina bionda, vestita di bianco, una fraülein che leggeva un grosso libro dal titolo tedesco. Le stazioni passavano, la ragazza non discendeva, e io sapevo che dopo Seghe di Velo vi era solo la stazione di Arsiero. Dove andava mai la piccola bionda vestita di bianco, sola, senza bagagli? Ella era troppo assorta nel suo libro perchè io osassi parlarle; appena guardava a volta a volta il paesaggio, quasi già le fosse notissimo. Pensai che anche ella andasse alla villa Fogazzaro, e come un lampo mi passò per la mente il ricordo del Mistero del Poeta. Che fosse Violet o Luisa, o una delle altre donne buone un po’ tristi che profumano quel libro carissimo? Chi sa: mi piacque figurarmela tale e chiusi il libro che leggevo, per meglio fantasticare. Ella guardò il mio libro chiuso, curiosamente (era un recente volume di psicologia del Sergi) e, quando ne ebbe letto il titolo, per un attimo mi guardò in viso un po’ stupita.

Forse anche ella si chiese se io mai andassi alla villa Fogazzaro. E, pur tacendo, ci intendemmo cosi.

Alla stazione — una minuscola stazione dove il capo è una donna e il personale è composto da un solo facchino — molte signore attendevano la mia compagna di viaggio e la accolsero con molti baci e molti lieti saluti. Un uomo cui domandai dove fosse un albergo e dove fosse la villa Fogazzaro, mi disse indicandomi il gruppo femminile:

— Quelle sono le signore Fogazzaro. Quello che avevo immaginato prendeva consistenza di realità.

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«Il pirata! Giammai!»: parola di negriero. Una causerie sull’universo piratesco salgariano a partire da “Gli scorridori del mare” (1900)

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L’intervento seguente è stato presentato agli Amici e Colleghi del panel 4/ «Pirati» e del gruppo di ricerca internazionale e interuniversitario animatore del Seminario «Altri briganti»*, il 18 gennaio 2022, in seno a una mezza giornata di studi on line di cui trovate qui sotto, dopo il mio articolo, il programma della stessa, e qui a lato la locandina del ciclo nel quale s’inseriva, insieme alle università e ai centri interuniversitari che sono alla base di questa bella iniziativa corale, collettiva, che dovrebbe poi finalizzarsi ulteriormente in un convegno, dal vivo, in quel di Bari, nel corso di un 2022 che tutti speriamo diverso e maggiormente frequentabile e percorribile in tutti i sensi.

Per rendere la mia causerie più leggibile si è prodotta una sola nota (il testo spiega il perché) e si sono ridotti al minimo i rinvii bibliografici, inseriti nel discorso stesso. Detto questo, mi permetto di rinviare fin d’ora alla densa Postilla bibliografica, che esplicita e completa i rinvii bibliografici del mio saggio introduttivo, I cannóni del cànone salgariano, a Emilio Salgari, Il ciclo del Corsaro Nero. Il Corsaro Nero, La Regina dei Caraibi, Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, Introduzione di Luciano Curreri, Einaudi («ET Biblioteca», 56), Torino 2011, pp. XXIII-XXVIII.

Una bozza di questo intervento è stata caricata su ORBI per una decina di giorni, a partire dal 14 gennaio 2022, in accesso ristretto, cioè a disposizione dei colleghi dell’ULIEGE e, a richiesta, per tutti i colleghi e amici interessati, del Seminario e non, per un centinaio di visite tra visualizzazioni e telescaricamenti (e ringrazio in particolare, per il feedback, Gianluca Albergoni, Alex Bardascino, Alberto Maria Banti, Willy Burguet, Fabio Danelon, Lea Durante, Roberto Fioraso, Vittorio Frigerio, Gian Luca Fruci, Claudio Gallo, Stefano Jossa, Andrea Montanino, Fabrizio Scrivano, Gianni Turchetta, Michele Ziviani).

L. Curreri (Aywaille, Belgium, 24 gennaio 2022).

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D’Annunzio e il non-finito. Appunti di lettura sulla “Violante dalla bella voce”

D’Annunzio e il non-finito. Appunti di lettura sulla Violante dalla bella voce.

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di Manuele Marinoni (Università degli studi di Firenze)

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Assai di recente è stato edito un manipolo di appunti dannunziani dedicati a una progettata e mai portata a termine raccolta di Studi su Gesù. Ci informa il curatore dei testi che «l’insieme di scritti, appunti, taccuini, parabole […] specificamente dedicati a Gesù» copre «un arco di scrittura che va dagli esordi giornalistici a Il libro delle Vergini del 1884 e su fino al Libro segreto del 1935»1. Non è certo questo il primo caso di una costellazione testuale a cui il poeta si è dedicato per decenni lasciando in sospeso il progetto di partenza. L’esempio richiamato mostra in modo evidente uno degli aspetti più complessi del cantiere dannunziano. Sappiamo infatti molto bene che il non-finito è una delle caratteristiche più importanti di tale cantiere, e che, al di là di ogni eventuale – difficile da credere – progettualità del caso (da confrontarsi, invece, il caso Gadda)2, è possibile rinvenire una casistica assai ampia di processualità creative che proprio del non-finito rappresentano l’evoluzione interna.

Da quando la filologia si è adoperata al fine di perlustrare le molteplici aree del lavoro dannunziano (Ciani, Gibellini, Riccardi, Montagnani, etc.)3 è emersa l’immagine di uno scrittore che dava al testo prima ancora che un valore simbolico (certo fondamentale) un valore, diremmo, empirico. Anche pochi appunti, poche frasi, magari in stile nominale, persino costituiti da soli elenchi di sostantivi, o da piccole descrizioni rubate allo spirito di osservazione, come esercizi della memoria, potevano occorrere in momenti di nuova spinta creativa anche a distanza di parecchi lustri. I primi testimoni di tutto ciò, come ben noto, sono da anni i due ponderosi volumi dei Taccuini, accanto ai quali vanno tenute le infinite lettere. Senza scomodare ulteriormente la teoresi di Genette, o di chi per lui, sappiamo anche che la maggior parte di queste testimonianze racchiude di per sé un valore testuale molto alto. Non credo, per fare un esempio, sia possibile leggere per intero i taccuini dannunziani come leggiamo un Journal di fine ottocento, o un diario novecentesco, ma questo assunto, se ricondotto a una precisa dialettica, non nasconde l’ipotesi che nei taccuini siano presenti felici tratti di scrittura che, di per sé, non esiteremmo a ricondurre a stile e forma degli stessi Journaux o ad altri esemplari diaristici. Sono, per lo più, appunti visivi, talvolta già declinati secondo l’indice simbolico, campioni di plurime possibilità del descrittivo, sottratti a una predilezione per il particolare plastico. I Taccuini sono, in effetti, un esempio concreto di «memoria materiale» che, in quanto tale, torna all’uso ogni qualvolta d’Annunzio ha sentito la necessità di recuperare immagini, campioni visivi o tessere descrittive.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati” (ENRICO PANZACCHI)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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ENRICO PANZACCHI.

Bologna, agosto del ’94.

Enrico Panzacchi è l’uomo più simpatico di tutta Bologna. Arguto e gioviale, parlatore e discutitore cortese e convincente, entusiasta come un poeta ma talvolta sottile come un critico, egli riassume le qualità dell’ideal tipo bolognese; anzi dirò che molti hanno plasmato quel tipo a imagine e similitudine di lui così che egli a Bologna appare come il solo bolognese autentico.

Ieri mattina, male sfuggendo sotto i portici, l’afa imminente, giunsi alla Accademia di belle arti dove egli dirige la famosa Pinacoteca e insegna Estetica.

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“D’Annunzio tra Lombroso, Ribot e Dostoevskij. L’esperimento del Giovanni Episcopo”. Saggio di Manuele Marinoni

D’Annunzio tra Lombroso, Ribot e Dostoevskij. L’esperimento del Giovanni Episcopo

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di Manuele Marinoni* (Università degli studi di Firenze)

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Raggiunta la fama internazionale, divenuto ormai maestro indiscusso dell’antropologia criminale, Cesare Lombroso si chiedeva, al tramontare del secolo, quali fossero le ragioni per cui «il vero si accetta dai romanzieri e non dagli scienziati»1. Lo studioso era in tal senso conscio della diffusione di un genere allora di grande successo, quello che Carlo Dossi circoscriveva nelle formule del «romanzo criminale» e della «cronaca ergastolina». E che, dai protocolli della nuova disciplina scientifica, addirittura Dante venisse dichiarato epilettico, e che a Cristo venissero diagnosticate «allucinazioni acustiche», sono argomenti che non devono certo stupire, ripensando l’estatica fascinazione che il teatro dei nervi offriva alle più inquiete e acute sensibilità della cosiddetta fin-de-siècle. Sono la rêverie dell’allucinazione, l’attenzione per un formulario dell’eccesso e del periferico della coscienza, l’interesse per le zone umbratili della psiche – in sintesi la retorica del delirio, per dirla con Juan Rigoli2 – a rinfocolare i palinsesti narrativi di una letteratura tanto aperta quanto disposta a polemizzare con tensioni e proposte scientifiche coeve, specie quelle radicate nel bisogno di osservare e analizzare il comportamento individuale e collettivo dei campioni sociali.

Dai registri criminologici proveniva così una casistica di fenomeni comportamentali, individuali e collettivi di fondamentale importanza per la metamorfosi del personaggio di romanzo di quel periodo. E se da un lato le nuove prassi scientifiche garantivano puntuali prospetti comportamentali, tra allucinazioni, dissociazioni, alienazioni, vagabondaggi patologici, riduzioni del senso morale, e quant’altro, dall’altro sovvenivano dettagliate ispezioni interiori dalla più moderna e agguerrita narrativa russa, accolta anzitutto in terra di Francia, a corroborare il costituirsi di una ricchissima letteratura della degenerazione3.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati”. (GIOSUE CARDUCCI)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

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GIOSUE CARDUCCI.

Bologna, agosto del ’94.

Fin dal bel principio purghiamo dalle ortiche il campo dove la grande rovere si innalza. Letterati e pubblico di tutta Italia, ancora memori d’altri tempi, credono che Bologna sia l’Atene italiana, il centro illuminante, l’essenza quinta del profumo poetico nostro.

Otto e anche dieci anni fa ogni più bel tropo sarebbe stato giustificato. Le pubblicazioni letterarie di Nicola Zanichelli furono iniziate nel 1874 coi Funeralia del Panzacchi; e, verso quel tempo, lo stesso Panzacchi, in una sala dell’Archiginnasio, per una conferenza presentò al pubblico bolognese tra molto plauso Enotrio Romano, quasi annunciando habemus ponteficem. Infatti nel 1876 lo Zanichelli pubblicò le Nuove poesie del Carducci. Poi nel 1877 i Postuma dello Stecchetti (e fu il primo elzevir di quell’editore) mossero tanto romore di fama intorno all’autore, allo Zanichelli ed a Bologna intellettuale che la cosi detta chiesuola apparve formata.

Da allora intorno ai tre, Giosuè Carducci, Olindo Guerrini, Enrico Panzacchi, e imitatori e ammiratori, e amici e nemici vicini e lontani convergettero; e l’ultima raccolta fu quella che intorno al Carducci riunì i migliori e più giovani discepoli suoi. Guido Mazzoni, Severino Ferrari, Giovanni Pascoli, Giovanni Marradi, Corrado Ricci e qualche altro. Il Carducci o per via o in campagna o in casa d’amici o dallo Zanichelli o al caffè ammaestrava, leggeva, criticava, addestrava tutti quelli ottimi con amore di padre e di maestro.

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UGO OJETTI, “Alla scoperta dei letterati”. (Introduzione)

UGO OJETTI, Alla scoperta dei letterati. Colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, Oliva, D’Annunzio, Fratelli bocca editore, Milano, 1899

pagine mancanti

[…] giornalisti politici, ora femine, ora preti cattolici. Appena due o tre sono colti e sinceri; ma le lor voci, per la permanente scissione etnica dell’ancor vano regno d’Italia, non sono intese oltre i termini della regione che è loro. Così generalmente avviene che gli altri pseudo-critici, non sapendo parlare, sputino su tutto e su tutti e, ora che i preti non sono più in onore, gridino — come quelli una volta solevano — il pulvis es sopra ogni opera nuova. Del resto, anche se migliori e più franchi ve ne fossero, dove scriverebbero essi? Sono i giornali politici barbariche rocche chiuse dove è difficile entrare per chi nobilmente in sua lingua scriva della patria arte e delle lettere patrie (troppo i politicanti sono nemici della grammatica e temono il paragone); sono le riviste rare e o giovani e ignote e passeggere, o vecchie e superstiziose e pedanti; sono i libri difficili a farsi perchè gli editori italiani non intendono che la critica storica e sono per lo più poveri e miopi. Dove scriverebbero i critici, se mai sapessero scrivere? Così avviene che, per mancanza di araldi, il letterato venga in fama solo dopo molte prove quando pure non giaccia fino dal primo armeggiare spaurito dalla solitudine ambiente; così avviene che il pubblico, pure lentamente abbandonando i libri di Francia per quelli d’Italia e anche i cattivi per i buoni, non veda tutto insieme il mutamento e séguiti anch’esso cui arretrare davanti a un libro italiano, e accordandosi al raglio dei prelodati critici, faccia la smorfia: — Ohibò!

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Leopardi e i costumi degli italiani

Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, a cura di Vincenzo Guarracino, La nave di Teseo, Milano, 2021, pp. 416, € 17,10

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di Renato Minore

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Qualunque sia la loro classe di appartenenza, le “classi superiori” non meno che il “popolaccio”, gli italiani sono oggi i più cinici del mondo. “Ridono della vita: ne ridono assai più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza che non fa niun’altra nazione”. “Il più savio partito è quello di ridere indistintamente e abitualmente d’ogni cosa e d’ognuno, incominciando da sé medesimo”, celando la propria disperazione dietro una maschera, se non di tetra indifferenza, almeno di dolente impassibilità e spaesamento, di fronte a un quadro disarmante di arretratezza. Si potrebbe continuare sulla stessa lunghezza d’onda: così la pensava Giacomo Leopardi nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, breve trattato di filosofia politica, in cui analizza qualità e vizi che contraddistinguono il nostro carattere nazionale. Vitaliano Brancati lo considerava un “piccolo capolavoro” paragonabile al Principe di Machiavelli,“ un modello di saggistica, di prosa vigile e acuta”.

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Remainders n.18: Silvio Pellico, “Le mie prigioni”

Silvio Pellico, Le mie prigioni, Ed. Mursia, 1981, pp. 226.

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di Francesco Sasso

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Silvio Pellico (1789-1854), autore della Francesca da Rimini e di parecchie altre tragedie, aderente alla Carboneria, fu arrestato e condannato a morte, ma poi inviato allo Spielberg, dove maturò quel suo splendido libro, Le mie prigioni, che pubblicò due anni dopo la liberazione dal carcere. In carcere per dieci anni, l’autore ritrova la fede cattolica.

L’esperienza di dieci anni di carcere politico è decisiva per il nuovo orientamento spirituale del Pellico (si converte la fede cattolica), ma anche per il suo destino di artista, giacché dal racconto di essa derivò il capolavoro della letteratura memorialistica del nostro primo Ottocento: Le mie prigioni.

Le mie prigioni, pubblicato a Torino nel 1832 e poi accresciuto di dodici nuovi capitoli nell’edizione francese del 1843, non nacquero dal proposito polemico di segnalare all’esecrazione del mondo civile la tirannia austriaca e la barbarie dei suoi sistemi carcerari, e neppure mossero dall’intento di fare del recluso dei “Piombi” e dello Spielberg un’esemplare figura di martire ed eroe, ma ebbero per fine quello di edificare religiosamente il lettore attirandolo sulla vicenda di un’anima che dall’esperienza del dolore s’innalza alla conquista della fede e s’apre umanamente alla comprensione e al perdono. Da qui il respiro pacato del racconto, e quella luce mite e serena che avvolge anche i suoi tratti più mesti e li colora di una trepida speranza cristiana. È da questi processi che deriva il rilievo umano e poetico delle figure di Schiller, della Zanze, di Maddalena, del piccolo sordomuto, di Maroncelli, e dell’Orboni. Continua a leggere “Remainders n.18: Silvio Pellico, “Le mie prigioni””

“Ofelia” di Luigi Capuana (a 100 anni dalla morte): parapsicologia e… gelosia

J. E. Millais, Ophelia, 1851-‘52
J. E. Millais, Ophelia, 1851-‘52

Ofelia di Luigi Capuana (a 100 anni dalla morte): parapsicologia e… gelosia

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di Stefano Lanuzza

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È proprio e sempre il normativo teorico del Verismo positivista illustrato dalle crestomazie letterarie quell’eclettico Luigi Capuana (Mineo, 1839 – Catania, 1915) che, ancora prima di pubblicare il romanzo parapsicologico Il marchese di Raccaverdina (1901), introducendo la raccolta di fiabe C’era una volta… (1882) smentisce i fondamenti veristi, fissati sul finire del 1870 e prossimi al Naturalismo francese, dichiarando certa sua predilezione per un “mondo meraviglioso di fate, di maghi, di re, di regine, di orchi, di incantesimi”?
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Remainders n.14: Alessandro Manzoni, “I promessi sposi”

i promessi sposiAlessandro Manzoni, I promessi sposi

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di Francesco Sasso

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Alessandro Manzoni (1785-1873) nasce a Milano dal conte Pietro e da Giulia Beccarla, figlia di Cesare. Della vita del Manzoni sappiamo molto e tante sono le biografie a riguardo. Eppure egli è forse uno degli scrittori italiani in cui è più difficile ricostruire la vita interiore.

Tra il 1821 e il 1823 il Manzoni attese alla stesura del suo romanzo storico I promessi sposi, che, unendo fantasia e storia, rispondeva ai canoni dell’arte romantica e, sempre nel ’23, scrisse la Lettera sul romanticismo per rispondere al marchese Cesare d’Azeglio, che si stupiva del fatto che un grande poeta come lui aderisse alla scuola romantica; nel 1827 pubblicò il suo capolavoro, che però rivide accuratamente negli anni successivi per dargli la miglior forma linguistica e che ripubblicò in forma definitiva a Milano, in dispense, dal 1840 al 1842.

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IL TERZO SGUARDO n.35: Sondaggi leopardiani e ritrovamenti (veri o presunti). Lorenza Rocco Carbone, ““L’Italia agli Italiani”. Versi inediti veri o presunti di Giacomo Leopardi” & Novella Bellucci, “Il “gener frale”. Saggi leopardiani”

Sondaggi leopardiani e ritrovamenti (veri o presunti). Lorenza Rocco Carbone, “L’Italia agli Italiani”. Versi inediti veri o presunti di Giacomo Leopardi, con una prefazione di Pasquale Maffeo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011; Novella Bellucci, Il “gener frale”. Saggi leopardiani, Venezia, Marsilio, 2010

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di Giuseppe Panella*

Saranno davvero di Giacomo Leopardi (e scritti nel 1836 poco prima della morte) i versi riportati nel cuore del saggio ad essi dedicati da Lorenza Rocco Carbone? Probabilmente non si saprà mai con certezza in assenza di una documentazione filologicamente corretta e adeguatamente commisurata all’oggetto che li concerne. Sarebbe tuttavia magnifico se questi versi scritti sull’onda della notizia di una sottoscrizione (Leopardi o chi per esso dice “soscrizioni”) in favore della costruzione di un monumento in onore della grande soprano francese Maria Malibran da poco deceduta a Manchester il 23 settembre 1836 fossero effettivamente del poeta di Recanati. L’autore dei versi si dice costernato da questa prospettiva quando, invece, uomini ben superiori per cultura e per importanza nazionale sono stati affidati all’incuria sepolcrale delle fosse comuni:

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“Storicità e letterarietà nella poesia di Giuseppina Turrisi Colonna”. Saggio di Giovanni Inzerillo

turrisi colonna

di Giovanni Inzerillo

 

«Raccolta nelle domestiche pareti, con la coscienza de’ più tenaci, studia il passato, irrompe contro le prave usanze, ripudia le cure femminili, colla mente risale, infiammata di gloria, a’ più splendidi momenti della vita italica, ed evoca le memorie degli eroi, vedendo gli uomini del suo tempo tralignati ne’ conviti, ne’ balli e negli amori. Tali sentimenti erano in lei sedicenne».

Così Francesco Guardione traccia un breve profilo della Turrisi Colonna, una ragazza appena sedicenne ma dall’animo di donna, capace di dedicare la sua breve vita a due grandi amori: la poesia e la patria.

Le poesie della Turrisi Colonna scritte in un periodo compreso tra il 1836 (ad appena 14 anni pubblica infatti l’Inno a San Michele) e il 1846 (nel 1841, a soli 19 anni, pubblica il suo primo volume), hanno una interessante storia editoriale, che vale la pena di citare, tra le due diverse aree geografiche di Palermo e di Firenze.

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L’Anarchia secondo Errico Malatesta

Vorrei parlarvi di Errico Malatesta (Santa Maria Capua Vetere, 1853 – Roma, 1932). Egli è stato uno dei più attivi esponenti del movimento anarchico del suo tempo. Arrestato diverse volte durante l’arco di tutta la sua vita, per un totale di più di dieci anni di carcere e 35 anni esatti (metà della sua vita) di esilio. Ha viaggiato molto in Europa e in America, ha organizzato manifestazioni, congressi, fondato importanti riviste. Vasta la sua produzione teorica tradotte in tutto il mondo. Il suo impegno congiunto a quello di Cafiero, Bakunin e Costa fece sì che il socialismo, in Italia, nascesse anarchico.

[QUI] potete leggere una buona nota biografica.

Questa settimana ho letto tre volumi scritti da Malatesta e disponibili su Liber Liber [QUI] con licenza copyleft: Anarchismo e democrazia (Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlini), L’anarchia, il nostro programma e, non ancora terminato, Rivoluzione e lotta quotidiana (scritti scelti).

In L’anarchia, il nostro programma Malatesta espone il programma Anarchico in modo chiaro, a volte illuminante. Ma il testo non è un’asettica dichiarazione d’intenti, bensì una lucida disamina del pensiero e del movimento anarchico. Inoltre, il napoletano tenta di estinguere il pregiudizio del senso che il pubblico dava e dà alla parola anarchia: ossia, anarchia uguale disordine sociale.
Tuttavia egli non nasconde le difficoltà e le incognite di una società anarchica.

Anarchismo e democrazia raccoglie una serie di lettere aperte di Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlini pubblicate su alcuni quotidiani dell’epoca.
Siamo nel 1897-98, Malatesta è impegnato in modo così vitale nella polemica con Merlini a proposito delle elezioni politiche che si sarebbero tenute nel marzo del 1897: l’antiparlamentarismo di Malatesta contro il parlamentarismo di Merlini. Da qui i due compagni/rivali iniziano a discutere sulla necessità o meno delle candidature protesta (Malatesta era fermamente contrario ad esse), riflettono di questioni di tattica e principi anarchici, e sulla concezione integrale dell’Anarchia da parte di Malatesta.

Ultimo scritto: Rivoluzione e lotta quotidiana (scritti scelti) è un’ampia raccolta di saggi e articoli di Malatesta. E’ certamente il titolo più importante fra i tre elencati sopra. Ciò nonostante evito ogni commento, poiché sono ancora immerso nella lettura del volume.

Per concludere, gli anarchici sono uomini che hanno sentito i richiami ideali più generosi e universali e che si votarono alla Giustizia, alla Libertà, all’Amore. Alcuni deviarono in malo modo. Altri dedicarono l’intera esistenza all’ideale Anarchico.

Se vi interessa saperne di più, vi consiglio il volume di Manlio Cancogni dal titolo Gli angeli neri. Sotto titolo: Storia degli anarchici italiani da Pisacane ai circoli di Carrara.

Lessi Cancogni nel 2003. Egli racconta, attraverso brevi profili bibliografici dei principali esponenti del movimento anarchico, la storia dell’anarchia in Italia. Scritto in modo semplice, si legge come fosse un romanzo.

f.s.

[Errico Malatesta, Anarchismo e democrazia (Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlini), L’anarchia, il nostro programma e Rivoluzione e lotta quotidiana (scritti scelti), on-line su Liber Liber]

 

[Manlio Cancogni, Gli angeli neri. Storia degli anarchici Italiani, ed. Ponte alle grazie, 1998, pag.141, Lire 25.000]

D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME. L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni di Giuseppe Panella (3)

 

D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME.

L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni (3)

 

 

di Giuseppe Panella

 

 

(La prima parte dell’articolo è apparsa qui, mentre la seconda parte è apparsa qui)

 

3. La tragedia del Sublime e il recupero del mito:  Fedra

 

Tra il 1908 e il 1909, D’Annunzio concepisce il suo omaggio al mito tragico greco (personalissimo e destinato a un travolgente insuccesso). Concluso nel 1904, per volontà di lei, il rapporto con Eleonora Duse e dopo una serie di relazioni non altrettanto significative come quest’ultima sotto il profilo della collaborazione artistica, stavolta la sua Musa ispiratrice sembra Nathalie de Golouleff :

 

«La notte fra il 2 e il 3 febbraio 1909 verga l’ultima cartella del manoscritto della tragedia, tracciato in poche decine di giorni (e notti) laboriosissimi, dedicando l’opera “così nobile e così severa” all’amata del momento, Nathalie de Goloubeff, da lui ribattezzata Donatella Cross. Con l’amante parigina, cui ha spesso descritto la sua nuova fatica, legge la tragedia a Cap d’Antibes, fra il 18 e il 24 febbraio : ella se ne infiamma al punto da proporsi con incauta ambizione come interprete scenica, e si accinge a voltarla in francese (La versione, cui è interessato anche Ricciotto Canuto (33), uscirà per le mani più esperte di André Doderet). La tragedia, ce lo conferma anche il figlio del poeta e primo Ippolito, Gabriellino, fu dunque composta con ritmo frenetico “nelle condizioni più avverse alla meditazione e al sogno, in un periodo acerbissimo della sua crisi finanziaria”. Le lettere al Treves forniscono, fra le assillanti richieste di soccorso in denaro, le tappe di un lavoro febbrile» (34).

Nonostante siano preponderanti le necessità economiche e il suo ritmo di scrittura venga definito da tutti i suoi studiosi a tambur battente, Fedra è, tuttavia, una tragedia meditata a lungo, fortemente voluta e niente affatto imbastita in velocità per cercare di rimandare il più possibile il collasso finanziario. Ma il risultato effettivo della pièce sarà catastrofico. Il debutto, pur avvenuto nella prestigiosa sede della “Scala” di Milano, fu un disastro. Lo stesso D’Annunzio se ne disse deluso in maniera assoluta (35). Da allora, il testo, nonostante una ripresa romana al Teatro Argentina del 25 maggio 1909 ad opera della stessa compagnia e il melodramma che Ippolito Pizzetti ne ricavò nel 1914, non sarà più riproposto in maniera definitiva. Anche la critica dannunziana (nonostante spunti importanti in alcuni volumi a lui dedicati (36)) si è mai risolta a prendere sul serio il testo tragico del poeta abruzzese.

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D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME. L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni di Giuseppe Panella (2)

D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME.

L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni (2)

 

di Giuseppe Panella

 

(La prima parte dell’articolo è apparsa qui.)

 

2. Il desiderio e l’arte come forme del Sublime: La Gioconda

 

I temi poi espressi e rilevati nella spesso perfetta campitura di Alcyone si ritrovano, in toni certo più turgidi e sovente solo ammiccanti ed allusivi, in un testo drammatico messo in scena poco prima dell’emergenza lirica della poesia delle Laudi (come si è avuto l’opportunità di dire prima).

Si tratta di La Gioconda, scritta nel 1898 alla Capponcina di Settignano in Firenze e rappresentata nel 1899, con esito incerto e accoglienza tiepida del pubblico in quello stesso periodo ad opera della Compagnia Zucconi-Duse costituita per l’occasione (insieme a La Gioconda era stata prevista la messa in scena anche di La Gloria che però cadde miseramente a Napoli e non fu più reinserita nel cartellone). Entrambe le opere drammatiche erano state scritte, peraltro, per la Duse e legate alla sua interpretazione (lo stesso era accaduto per le altre opere di teatro scritte da D’Annunzio nel periodo 1892-1899: La Città morta, Il Sogno di un mattino di primavera e Il Sogno di un tramonto d’autunno, tutte pièces poi riproposte con molta difficoltà in seguito da altre attrici).

In questo testo teatrale a metà tra la tragedia e la commedia borghese basata su un ménage à trois compaiono quali protagonisti sullo stesso piano tre personaggi: lo scultore Lucio settala (che adombrerebbe lo stesso D’Annunzio), sua moglie Silvia (raffigurazione coniugale di Maria Gravina, la precedente compagna del poeta al quale darà due figli) e Gioconda Danti (possibile maschera artistica di Eleonora Duse).

Ma, ovviamente, non è questo il nodo più significativo intorno al quale far ruotare una possibile interpretazione dell’opera  (tutt’al più lo sarà in chiave puramente storico-aneddotico, non estetica).

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D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME. L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni di Giuseppe Panella (1)

D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME.

L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni (1)

 

di Giuseppe Panella

 

«Oggi due cose sembrano moderne: l’analisi della vita e la fuga dalla vita. Poca è la gioia dell’azione, dell’accordo delle forze interne ed esterne della vita, dell’imparare a vivere del Wilhelm Meister e del corso del mondo shakespeareiano. Si anatomizza la propria vita psichica, o si sogna […]. Nelle opere dell’artista più originale che possegga al momento l’Italia, di Gabriele D’Annunzio, queste due tendenze si cristallizzano con una particolare acutezza e chiarezza : le sue novelle sono protocolli di psicopatia, i suoi libri di poesia sono scrigni di gioielli ; nei primi domina la terminologia rigorosa ed oggettiva dei documenti scientifici, ne secondi, invece, un’ebbrezza quasi febbrile di colori e di stati d’animo»

(Hugo von Hofmannsthal, Gabriele d’Annunzio, I)

 

«Il suo sentimento della vita e del mondo non si è acceso al contatto della vita  e del mondo, bensì al contatto delle cose artificiali: della più grande opera d’arte, il “linguaggio”, dei grandi quadri della grande epoca e delle altre opere d’arte minori»

(Hugo von Hofmannsthal, Gabriele d’Annunzio, II)

 

1. La poesia come registro delle immagini del mondo: la ricerca di senso nell’Alcyone

 

Proprio nel momento in cui il suo editore Giuseppe Treves lo sollecitava e premeva (con la forza contrattuale che poteva esercitare sul poeta in perenne crisi economica) perché concludesse e gli consegnasse il promesso romanzo Il Fuoco (la storia neppur tanto romanzata dell’amore impetuoso per Eleonora Duse basata sui suoi sviluppi più intimi e più privati), D’Annunzio decide che è tempo di tornare al primo amore: la poesia. E’ dal 1893 che non pubblica più versi e che si è dedicato interamente alla prosa sia  nel romanzo che nella scrittura teatrale. Come scrive Federico Roncoroni nella sua Introduzione all’edizione dell’Alcyone da lui curata  per la collana degli Oscar Classici Mondadori :

 

«Poco importa, del resto, stabilire perché D’Annunzio si sia messo, proprio ora, a fare poesia. La questione, oltre tutto, non ha fondamento scientifico né potrebbe portare a conseguire risultanze valide e soddisfacenti. Comunque, quale ne sia stata la causa, questo ritorno alla poesia avveniva, per così dire, nella pienezza dei tempi. D’Annunzio vi perveniva, dopo tanta prosa, forte di non trascurabili esperienze teoriche e pratiche maturate proprio negli anni che vanno dal 1891-1893, data di composizione delle liriche della sua ultima raccolta poetica – il  Poema paradisiaco -, a questo 1899. In proposito, anzi, si può dire che tutta la produzione letteraria che inizia con Le vergini delle rocce e culmina nel Fuoco, praticamente già realizzato anche se non ancora compiuto, ha costituito, nell’ambito dell’attività dannunziana, un momento risolutivo dalle conseguenze necessariamente innovative. Con Le vergini delle rocce, con le opere teatrali, con Il fuoco e, anche, con le parallele esperienze sentimentali e politiche, D’Annunzio rivela di aver finalmente e decisamente individuato nel mito del superuomo e, per quel che riguarda il fatto essenziale e importantissimo dell’espressione e dello “stile”, nella poetica che esso sottende, quel criterio di interpretazione della realtà che aveva a lungo cercato nel suo vario e proficuo tirocinio sperimentale» (1).

  Continua a leggere “D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME. L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni di Giuseppe Panella (1)”