Remainders n.11: Calpurnio Siculo, “Egloghe”

Calpurnio Siculo, Egloghe, trad. Maria Assunta Vinchesi, BUR, 1996

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di Francesco Sasso

Non sappiamo nulla della vita di Calpurnio Siculo, forse un letterato di umile condizione, che probabilmente dovette vivere durante i primi anni del regno di Nerone. Di lui ci sono rimasti sette egloghe, nelle quali viene celebrato il principato di Nerone, considerato come una nuova età dell’oro. Il poeta aspira ad ottenere la protezione dell’imperatore, e perciò non gli lesina le adulazioni. Tuttavia, l’anelito di una nuova era di pace e di giustizia me lo rendono caro, come pure un certo gusto coloristico e la propensione al patetico. La materia espressiva resiste al tempo e lo sforzo creativo di un lontano uomo di cui nulla ci è dato sapere, riprende a vivere dentro di noi.

f.s.

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ALLEGATI: Tradizione bucolica e programma poetico in Calpurnio Siculo. Saggio di Enrico Magnelli (pdf)

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Remainders n.2: Cicerone, “Lettere”

Cicerone, Lettere, introduzione di Luca Canali, trad., comm. e scelta di Riccardo Scarcia, BUR, 1981, p.320

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di Francesco Sasso

Le Lettere di Cicerone, oltre ad essere un documento e una fonte preziosa per la conoscenza delle vicende politiche e della società romana dell’epoca, hanno la vivacità di una narrazione avvincente in cui si racconta l’esistenza di un uomo alla ricerca di un equilibrio tra le alterne vicende di un’epoca turbinosa, da Catilina a Ottaviano. Infatti le Lettere, selezionate e tradotte da Riccardo Scarcia per l’edizione BUR, ci presentano l’autore latino sotto una luce non sempre favorevole.

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IL TERZO SGUARDO n.19: “Wunderkammern” – un libro che sarebbe piaciuto a Borges. Gervasio di Tilbury, “Il libro delle meraviglie”

Wunderkammern – un libro che sarebbe piaciuto a Borges. Gervasio di Tilbury, Il libro delle meraviglie, a cura di Elisabetta Bartoli, premessa di Francesco Stella, Pisa, Pacini Editore, 2010

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di Giuseppe Panella*

E’ ben noto ormai che il progresso scientifico e delle sue scoperte (che non sembrano ormai più così prodigiose a chi le osserva dall’esterno senza rimanerne attoniti come accadeva un tempo) sia nato dallo “spirito di Taumante” ovvero dalla meraviglia (come dicono congiuntamente Aristotele nella Metafisica, Descartes nelle Passioni dell’anima e Michel de Montaigne in un suo celebre essai).

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L’Universale espresso da Catullo.

di Francesco Sasso

I liber catuliano è formato da carmi di genere e metri diversi fra loro: i primi sessanta, di cui alcuni brevissimi, sono vari per metro e stile, in cui predominano argomenti legati all’esperienza personale del poeta (amori, nemici, polemica letteraria, amici); segue la parte centrale (dal 61 al 68), il gruppo dei poemi maggiori, in cui l’apparato mitologico e l’erudizione sono presenti in modo massiccio; chiudono la raccolta (cc. 69-116) gli epigrammi brevi in distici elegiaci nei quali ritornano gli argomenti legati all’esperienza personale del poeta. I carmi della prima e della terza sezione non si distinguono sostanzialmente per il contenuto, in quanto sono tutti di argomento personale. La raccolta è preceduta da una dedica a Cornelio Nipote.

Se pieni di dottrina sono i carmi dotti, di spontaneità dolorosa invece quelli autobiografici, di arguzia, di violenza, di malinconia e di vivacità quelli dedicati ai nemici e agli amici, tali da darci un perfetto quadro dell’animo di un uomo eccezionalmente geniale e sensibile. Infatti in Catullo, vita e letteratura sono strettamente legate.

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“La metafora nel Medioevo latino” di Umberto Eco

La metafora è il più importante dei tropi, ovvero l’elemento più tipico del linguaggio poetico. Ma la metafora abbonda anche nella lingua quotidiana, tanto che alcune metafore sono divenute consuete. Vi segnalo quindi il saggio La metafora nel Medioevo latino di Umberto Eco pubblicato dalla rivista Doctor Virtualis, No 3 (2004).

Abstract

La metafora nella tradizione retorica medievale. Filosofia, teologia e limiti del discorso metaforico. Metafora, allegoria e simbolismo. Tommaso, Dante e lo pseudo Dionigi

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Eco, U. (2008). 3. La metafora nel Medioevo latino. Doctor Virtualis, 0(3). Recuperato 2009-12-19, da http://riviste.unimi.it/index.php/DoctorVirtualis/article/view/51/79

 

f.s.

“Poeti latini tradotti da scrittori italiani contemporanei” a cura di Vincenzo Guarracino

letteratura latina

Recensione/schizzo

di Francesco Sasso 

Nel 1993 la Bompiani pubblicò due volumi intitolati Poeti latini tradotti da scrittori italiani contemporanei a cura di Vincenzo Guarracino. La raccolta è utile traccia che sintetizza bene la produzione lirica latina dalla poesia arcaica fino al re Visigoto Sisebuto: oltre 150 poeti latini tradotti da 157 poeti e scrittori italiani, se non ho contato male. 

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“Cato Maior de Senectute” di Marco Tullio Cicerone

Cicerone- Cato Maior de Senectute

di Francesco Sasso

Cato Maior de Senectute (L’arte di invecchiare) di Marco Tullio Cicerone è un’operetta in cui parla quasi costantemente il vecchio Catone (Scipione Emiliano e Lelio gli altri due personaggi), che loda la vecchiaia e ribatte le accuse che vengono generalmente rivolte:

 

«E dunque, quando rifletto dentro di me, trovo quattro cause per cui la vecchiaia appare infelice: la prima è che distoglie dalla vita attiva, la seconda è che rende il corpo sempre più debole, la terza è che priva il vecchio di quasi tutti i piaceri, la quarta è che non è molto lontana dalla morte. Di queste cause, se volete, vediamo quanto ciascuna sia importante e quanto sia giusta» (pag.43)

 

 Mantenendo il discorso sul tono di una serena conversazione, egli dibatte una ad una le quattro cause e nega che la vecchiaia e la morte debbano essere considerati un male, poiché

 

«Rimane intatta ai vecchi l’intelligenza, a patto che rimangano fermi gli interessi e l’operosità, e questo non solo in uomini illustri e famosi, ma anche in chi ha avuto una vita riservata e quieta» (pag. 47)

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“Miles gloriosus” e “Amphitruo” di Plauto

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di Francesco Sasso

Le opere degli scrittori latini sono bagliori di una lontananza che non si può raggiungere, ma che si può scrutare. E’ di questi giorni la lettura di due opere teatrali di Tito Maccio Plauto (nato intorno al 255 a.C., morto nel 184 a.C.), autore latino che si dedicò particolarmente alla commedia. Tutte le notizie su di lui sono vaghe, incerte e probabilmente messe insieme tardi: a lui furono perfino attribuite centotrenta commedie, dalle quali poi Varrone ne trasse ventuno sicure, le stesse che sono giunte fino a noi.

 

Prima di conversare intorno alle due opere lette (Amphitruo e Miles gloriosus), desidero divagare un poco su alcuni aspetti del teatro antico.  Per prima cosa, sappiate che esisteva una espressione giuridica che considera le opere letterarie come res nullius; di conseguenza, quando un testo letterario diventava di proprietà del regista (in quel tempo non esisteva la figura del regista come la intendiamo oggi, ma era il capocomico) questi poteva introdurre tutte le modifiche desiderate: né Plauto né altri autori di teatro vi avrebbero trovato alcunché da ridire. Quindi il manoscritto dell’autore aveva una destinazione scenica e l’autore si disinteressava di una diffusione “letteraria” delle sue opere.

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“Arte allusiva” di Giorgio Pasquali

In un articolo del 1942, intitolato Arte allusiva e pubblicato su “L’Italia che scrive” (ora ristampato in Pagine stravaganti, II ediz., pp.275-282), Giorgio Pasquali così condensava il senso delle sue ricerche sulla poesia augustea:

 

«in poesia culta, dotta io ricerco quelle che da qualche anno in qua non chiamo più reminiscenze, ma allusioni, e volentieri direi evocazioni e in certi casi citazioni. Le reminiscenze possono essere inconsapevoli; le imitazioni, il poeta può desiderare che sfuggano al pubblico; le allusioni non producono l’effetto voluto se non su un lettore che si ricordi chiaramente del testo cui si riferiscono… Quel procedimento è (nella poesia augustea) essenziale. Anche se gli avvocati, medici, preti che per secoli hanno letto a scuola Virgilio e Orazio e l’hanno mandato a memoria non se ne sono accorti; quei due poeti, per tacere dei minori, presuppongono che il lettore abbia in mente, anche in particolari minuti, Omero ed Esiodo, Apollonio e Arato e Callimaco e chissà quanti Alessandrini, dei Romani per lo meno Ennio e Lucrezio, ma anche propri contemporanei».

  

L’allusione solo in rari casi consiste nella pura e semplice ripresa di un verso o di un’espressione di un modello; ciò era considerato troppo banale dai lettori latini; i procedimenti più frequenti sono quelli della variatio in imitando (ad es. Orazio, Epod.16, 33 che allude a Virgilio, Bucol. 4, 22) e dell’oppositio in imitando (si allude al contesto di un modello, ma si attribuisce a tale contesto il valore opposto)

f.s.

Octavia di Seneca

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La tradizione manoscritta attribuisce a Seneca una tragedia praetexta, l’Octavia, che ha per soggetto l’infelice vicenda della prima moglie di Nerone, ripudiata e poi uccisa dall’imperatore, che si era invaghito di un’altra donna; fra i personaggi figura lo stesso Seneca e per alcuni studiosi questo è un indizio della non autenticità dell’opera: nessun autore drammatico dell’antichità, infatti, aveva mai rappresentato se stesso nei suoi lavori. Inoltre, l’Octavia non può essere di Seneca perché contiene delle predizioni esatte sul modo della morte di Nerone e, come sappiamo, alcuni anni prima Seneca ricevette dall’imperatore l’ordine di darsi la morte.

 

«[…] L’Octavia pseudosenechiana, pur informandosi al dettato aristotelico per i caratteri ed il contenuto, innova, presentando la superiorità del personaggio storico su quello mitico, propone un nuovo modello di comportamento scenico e morale e denuncia i limiti del verosimile.» [1]

Tuttavia, è opera non adatta alla rappresentazione scenica, ma è testo che si presta alla lettura. Infatti l’enfasi, i toni macabri, la ricerca del pathos sono artifici particolarmente adatti a colpire l’attenzione e l’immaginazione dell’ascoltatore grazie alla forza espressiva della parola.

 

Inoltre è possibile scorgere alcune anticipazioni del teatro elisabettiano, come, per esempio, la comparsa in scena dell’ombra di Agrippina, madre e vittima dell’imperatore romano. A me ricorda tanto il fantasma del padre in Amleto.

Nota

[1] PASQUALINA VOZZA, “Paradigmi mitici nellOctavia“, in “L’Antiquité Classique”, LIX, 1990. pp.113-138.

f.s.

[Seneca, “Octavia” in Tutte le tragedie, trad. Ettore Paratore, pp. 575-627, Newton Compton editori, 2006, € 7,00]

Breve annotazione sul paesaggio bucolico nell’opera di Virgilio

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Il paesaggio bucolico nell’opera di Virgilio concorre ad approfondire i sentimenti dei personaggi: ciò è particolarmente evidente nella I ecloga, dove sono messi a contrasto Titiro, il pastore fortunato che grazie all’intercessione di un potente, definito deus, ha potuto conservare la propria terra, e Melibeo che, invece, incarna la sorte degli agricoltori italici, costretti a cedere il loro campi ad un impius miles e ad emigrare con le loro povere masserizie.

Vale la pena di ricordare in proposito le parole con cui Eduard Fraenkel sottolinea l’importante novità della poesia virgiliana: «La facilità di dare espressione in poche parole ai tratti caratteristici di un determinato paesaggio e di svegliare nel lettore una ricchezza di sensazioni che nel suo spirito si collegano direttamente con questo particolare paesaggio, questa facoltà […] non è mai esistita nella poesia antica, neppure in quella greca, con la stessa forza come nella poesia augustea. Mai prima la rappresentazione del colore e dell’atmosfera di un paesaggio per mezzo dei suoni e del ritmo, è riuscita così perfettamente come negli ultimi versi della I ecloga di Virgilio» (1).

 

(1) E. FRAENKEL, Carattere della poesia augustea, in «Kleine Beitrage», II, Roma, 1964, p. 228.

f.s.

Il ratto dal serraglio. Euripide, Plauto, Mozart, Rossini di Cesare Questa

Recensione/schizzo #17

Cesare Questa, nel suo volume Il ratto dal serraglio, ha analizzato con molta finezza l’intreccio di una commedia di Plauto, di una tragedia di Euripide, di una commedia di Menandro, per passare poi, addirittura, a Mozart e a Rossini, notando delle costanti nell’intreccio del melodramma, della commedia e della tragedia antica.

Infatti, se dovessimo trovare un punto di confronto tra il teatro antico e quello moderno, non lo dovremmo certo ricercare sul terreno della nostra commedia, ma lo dovremmo rintracciare nel campo del melodramma.

f.s.

[Cesare Questa, Il ratto dal serraglio. Euripide, Plauto, Mozart, Rossini, ed. Quattroventi, 1997, pag. 216, € 18,00]

 

Stroncatura di Polibio

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Ho scovato questa stroncatura nel libro che sto leggendo: Storia di Roma (1831) di Jules Michelet. Quest’ultimo cita la stroncatura di Polibio a proposito dell’origine di Roma.

Polibio era un greco di Megalopoli, condotto a Roma come ostaggio nel 166 a.C. dopo la sconfitta di Pidna. Scrisse 40 libri di Storie che narrano le vicende di Roma dalle origini fino al 144 a.C.

 
<<Si vorrà sapere – dice Polibio, lib. III, – il perché io faccia qui menzione di Fabio. Io giudico il suo racconto non già tanto verosimile da dover temere che gli si dia fede, perché quanto egli ha scritto ha talmente poca consistenza, che i lettori avvertiranno bene, senza che io ne parli, il poco fondamento che si può fare su di un autore la cui caratteristica è la leggerezza; ma debbo avvertire quelli che lo leggeranno di badare meno al titolo del libro che al contenuto di quello, perché vi sono persone, le quali, ponendo maggiore attenzione alla qualità dello scrittore che non ai fatti narrati, credono di dover accettare tutto quanto egli dice, per il solo fatto che egli è stato contemporaneo e, per giunta, senatore. Quanto a me, così come ritengo di non dovergli negare ogni fede, non voglio neppure che gli si creda al punto da non fare più uso del proprio giudizio; bensì intendo che il lettore, dalla natura stessa delle cose riferite, giudichi da sé quanto ne debba credere>>
(JULES MICHELET, Storia di Roma, Rusconi ed. 2002, pag.79)

f.s.

Il criterio di originalità nella letteratura latina

(appunti)

Nessun autore antico ha mai pensato che “originalità” si identificasse con la creazione di nuove tematiche e di nuovi generi letterari. E’ nella lingua che, per gli autori latini arcaici, consiste l’originalità della propria opera.

Il criterio romantico dell’immediatezza non ha alcun peso nel mondo romano, in cui un’opera letteraria è frutto di una lunga ed attenta elaborazione. Il testo romano muove sempre da uno o più modelli; da essi trae il materiale che rielabora più o meno liberamente: nella sua piena libertà di contaminazione, rielaborazione, variazione delle fonti, oltre che nell’aggiunta di motivi nuovi e nell’uso accorto del mezzo stilistico consiste, in definitiva, la sua “originalità”: il criterio dell’originalità proprio del nostro modo di pensare non costituisce affatto una preoccupazione per il letterato romano, per cui vale, invece, il canone dell’imitazione.

f.s.