“Guerre” di Louis-Ferdinand Céline. Appunti di lettura

Guerre di Louis-Ferdinand Céline. Appunti di lettura


di Luisa Crismani

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1. L’edizione.

C’è chi sostiene che gli inediti dovevano rimanere tali, magari raccolti in seguito tutti assieme in un lavoro critico, annotati… ma ci sarebbero voluti anni.

Gallimard, l’editore più importante dei francesi, non voleva aspettare. La bomba dei manoscritti ‘ritrovati’ esplosa nell’agosto 2021, con il mondo intero ancora sotto la cappa della pandemia, ma la guerra, quella nostra, di adesso, non c’era ancora… prima che se ne spegnasse l’eco, di quella bomba, (ormai tutto si consuma molto velocemente) ha deciso di pubblicare, con urgenza, nell’elegante collezione Blanche, copertina di una sobrietà raffinata (a Céline sarebbe piaciuta), bei caratteri (pessima rilegatura però: il volume si sfascia e chi legge con la matita in mano s’infastidisce).

E sono usciti Guerre (maggio 2022), Londres (ottobre 2022), a breve uscirà La volonté du roi Krogold , poi Casse-pipe…

Guerre ha avuto due ristampe in un mese, primo nella classifica di vendite! Un affare.

Anche se, una volta letto, e in corso di lettura, uno si chiede perché l’elenco dei personaggi (utilissimo in Céline) è così striminzito, e il lessico dell’argot così dimesso, superficiale, a volte inesatto, anche la grafica… sembra un elenco promemoria scolastico, per studiare i vocaboli. Catherine Rouayrenc, curatrice del lessico céliniano nella Pléiade è morta il novembre 2021, lei sì avrebbe fatto un buon lavoro!… Le note spesso inutili e ridicole (vedi p. 67). Affidata a Henri Godard, la cura sarebbe stata tutt’altra cosa (forse si è rifiutato di fare un lavoro frettoloso?)

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Jonathan Swift, “Viaggi di Gulliver”

di Francesco Sasso

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La vita di Jonathan Swift (1667-1745) si svolse nel periodo compreso fra la Restaurazione e l’età chiamata augustea. Egli fu il più grande scrittore del secolo, raggiunto solo dai maggiori prosatori dell’Ottocento. Cosciente del proprio ingegno ed ambizioso, egli parve destinato ad una carriera brillante e felice: segretario di sir William Temple, il consigliere di Guglielmo III, prese gli ordini religiosi, guidò gli studi di Esther Johnson che doveva diventare la sua “stella”, dimostrò le sue qualità di polemista. Sul termine della sua vita, deluso dalla vita e accusato di empietà per i tremendi sarcasmi contro il Papa, Lutero e Calvino, trascorse gli ultimi anni della sua vita in preda alla follia.

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José Ovejero, “Insurrezione”

José Ovejero, Insurrezione, Trad. Bruno Arpaia, Voland, 2022, pp. 352, 19,00


di Francesco Sasso

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Aitor è un giornalista di mezza età del mondo della radio. Dopo vent’anni da precario mascherato da libero professionista, il protagonista non chiede molto alla vita. Aitor vuole vivere tranquillo, fare cultura attraverso la radio e garantire a se stesso e alla propria famiglia una vita confortevole:

«Aveva creduto che diventare adulti fosse un processo di accumulazione. Acquisti via via esperienza e una maniera più rilassata di guardare il mondo; siccome non speri più di guardarlo, lo osservi, ci familiarizzi, in una certa misura lo accetti, senza che questo significhi che ti piace». (p. 42)

Il matrimonio di Aitor ormai è naufragato da tempo e il rapporto con i suoi due figli, che vivono con lui, è burrascoso. Soprattutto Ana, la figlia più giovane di diciassette anni, contesta il mondo capitalista e, di conseguenza, la vita borghese del padre. Da mesi Ana se n’è andata via di casa per vivere in un edificio occupato, El Agujero (Il Buco), dove insieme ad altri “idealisti” porta avanti la sua lotta antisistema: “Morte al senso comune, abbasso le verità di tutta la vita”. Alfon è la guida carismatica di questa comunità e introduce Ana in un mondo alternativo.

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Christian Bobin, la pioggia e la musica di Mozart

Christian Bobin, Mozart e la pioggia, Animamundi Edizioni, 2015, pp.52, € 10,00


di Gustavo Micheletti

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Lo scrittore francese Christian Bobin è venuto a mancare da poco più di un mese, esattamente il 24 novembre 2022. Era nato a Creusot, in Borgogna, il 24 Aprile 1951 e lì, nella sua casa di campagna, ha trascorso tutta la sua vita. Ci piace ricordarne qui l’opera parlando di un suo piccolo libro che trova in Mozart e nella pioggia il proprio saliente pretesto, l’occasione preziosa colta dall’autore per raccontare al lettore anche il proprio rapporto con la letteratura.

Quasi tutti i libri di Bobin sono “piccoli”, forse perché tutta la sua opera è attraversata da un desiderio di semplicità e di chiarezza, ovvero del tratto principale della musica di Mozart, le cui grandi arie fanno luccicare le note come le foglie di un albero “sotto la benedizione di una pioggia d’estate”. Quello della chiarezza è infatti per Bobin “il più bel dono che possiamo ricevere in questa vita tenebrosa”, ma non si tratta di un dono innocuo, perché talvolta può trafiggerci come un dardo fatale, può illuminarci o ferirci con la stessa disinvoltura, probabilmente perché tutto ciò che ci parla in modo chiaro della vita è anche un’agnizione della morte.

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Lucette & Céline

Lucette & Céline

J’ai toujours dormi ainsi dans le bruit atroce depuis décembre 14.

J’ai attrapé la guerre dans ma tête. Elle est enfermée dans ma tête.

(Louis-Ferdinand Céline, Guerre, 2022)


di Stefano Lanuzza 

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Dopo il libro di Sandra Vanbremeersch, La Dame couchée (2021), tradotto in Italia nel 2022 da Marta Morazzoni col titolo di Buongiorno, madame Céline, seguono in Francia la seconda edizione (2022) di Madame Céline, autore David Alliot, e Guerre (2022) di Louis-Ferdinand Céline.

Il primo libro e il secondo riguardano la vedova di Céline, Lucette Almanzor; il terzo, uscito il 5 maggio 2022 in 80mila copie chez Gallimard (che lo presenta come “pezzo capitale nell’opera dello scrittore”), è un inedito ritrovato: un testo che, in mancanza di dati filologici convincenti, potrebbe adombrare un romanzo a parte, elaborato, forse, nel 1934; oppure, più verosimilmente, costituire uno stralcio del Voyage au bout de la nuit (1932) finito nelle mani del giornalista Jean-Pierre Thibaudat e rimasto inedito per molti anni… Più probabilmente – asserisce Pierluigi Pellini –, “Guerre è un abbozzo scartato del Voyage, scritto fra il ’30 e il ’31[…]. Dev’essere stato espunto dall’autore per la sua oltranza pornografica” (“Alias/il manifesto”, 26 giugno 2022).

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Dicibile e indicibile tra fisico e metafisico. Le “Elegie duinesi” di Rilke e la figura dell’Angelo. Saggio di Manuele Marinoni

Dicibile e indicibile tra fisico e metafisico. Le Elegie duinesi di Rilke e la figura dell’Angelo


di Manuele Marinoni (Università degli studi di Firenze)

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C’è una netta sinergia tra ciò che è il riflettente (lo «specchiante», per dirla con Baltrušaitis)1 e la sostanza dell’oltre che di per sé non può mostrarsi nelle forme. Si tende a dire, secondo un certo codice ermeneutico, che se è fruibile una parola che dia e dica l’indicibile2, senza doversi limitare all’entelechia della stessa, essa deve compararsi a quella gamma in-determinata dell’ontologico nella quale rientrano tutte le distopie della materia (che, in ultima istanza, altro non sono che un non-essere immanente all’essere). Il principio di fondo è quello della presentificazione3: per sub-determinare un’esperienza, nella sostanza, in-esperibile occorrono forze ed alleanze metaforiche e metonimiche tutte ricavate dal tempo e da figure della temporalità.

Uno dei Sonetti a Orfeo di Rainer Maria Rilke, per la precisione il 27 della II serie, Gieb es wirklich die Zeit, die zerstörende?, soccorre al nostro dialogo e permette, nel cristallizzante senso di tensione fra micro e macrotesto, e così tra figure e controfigure, che contrassegna quest’opera rilkiana, alcune puntualizzazioni sul principio che scinde e disarticola ciò che sta nell’immanenza, nel percepibile, e ciò che si sottrae ad essa, ubicandosi nell’eterno: ossia il problema del tempo. Un tempo come senso delle cose, come margine della fragilità dell’esserci che diventa interrogativo di sostanza («Sind wir wirklich so ängstlich Zerbrechiche,/ wie das Achicksal uns wahr machen will?», 5-6)4.

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Giallo Dostoevskij

Giallo Dostoevskij


di Paola Bonazzi 

C’è giallo e giallo. C’è un giallo festoso della natura, come quello dei cespugli di ginestre che si staglia contro l’azzurro del cielo di maggio, delle siepi di forsizia o dei fiorellini di tarassaco sui prati primaverili, o quello soffice degli alberelli di mimosa che già a febbraio rallegrano qualche cortile riparato nelle periferie delle nostre città. C’è il giallo caldoprofondo e sensuale della curcuma e dello zafferano, o quello fresco e pungente della buccia di un limone maturo.

Poi c’è un giallo artificiale, piatto e insolente, come il giallo primario che colora i grovigli di tubi, le assi e i pancali degli impianti industriali nei dipinti di Fernand Leger, così simili alle immagini dei gasdotti pieni di rubinetti che ogni giorno si affacciano nei teleschermi europei con la minaccia incombente di essere chiusi. E c’è un giallo che offende e che umilia, il giallo degli adesivi che sono comparsi in questi giorni in Russia sulla porta di qualche dissidente al regime: “Qui vive un traditore” (“la Repubblica”, 23 marzo 2022); dove il colore è usato come simbolo di tradimento, contrassegno per emarginare, bollare, accusare: un triste richiamo alla stella gialla imposta agli ebrei dalla Germania nazista, rivisitazione dell’antico sciamanno giallo introdotto dal IV Concilio Lateranense nel 1215 per gli ebrei che vivevano nei paesi cristiani.

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Della felicità. Valeria Di Felice, “El batiente de la felicidad”

Valeria Di Felice, El batiente de la felicidad, Sevilla, Renacimiento, 2021, pp. 96, € 15,90


di Stefano Lanuzza 

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Esce in versione bilingue di spagnolo e italiano il volume di poesie El batiente de la felicidad [Il battente della felicità] (Sevilla, Renacimiento, 2021, pp. 96, € 15,90) di – nomen omen – Valeria Di Felice.

Sono versi tradotti dalla filologa María José Flores Requejo nella lingua che forse più d’ogni altra s’adatta al tema dell’amore/passione rivissuto anche con echi lessicali della poesia spagnola novecentesca (si pensi all’andaluso García Lorca) e un attraversamento dell’Ermetismo emblematizzato nell’epigrafe sapienziale di Mario Luzi “L’amore aiuta a vivere, a durare, / l’amore annulla e dà principio”.

Nelle sue declinazioni e su piani plurimi di profondità, il tema è scandito in versi liberi e propizio estro lirico dall’autrice esordita nel 2007 con il saggio Uomini tra realtà e immaterialità, seguìto dai due libri di poesie L’antiriva (2014) e Attese del 2016; insieme, in questo stesso anno, alla curatela dell’antologia La grande madre. Sessanta poeti contemporanei sulla Madre. Una Miscellanea di critica e poesia, sintetizzata nel titolo Alta sui gorghi, completa nel 2017 l’impegno anche militante della poetessa.

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Ron Padgett, “Non praticare il cannibalismo”

Ron Padgett, Non praticare il cannibalismo. 100 poesie, a cura di Cristina Consiglio, Paola Del Zoppo e Riccardo Frolloni, Del Vecchio Editore, 2021, pp.370, € 19,00

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di Francesco Sasso

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Confesso che il recensore di questo libro ha scoperto da poco l’esistenza di Ron Padgett (1942), poeta americano che vive a New York, insignito di numerosi riconoscimenti. La sua opera è stata tradotta in diciotto lingue. Sette poesie di Padgett compaiono nel film “Paterson” di Jim Jarmusch. Ed è giusto, è utile che Ron Padgett appaia da noi come una scoperta, una boccata d’aria fresca grazie a Non praticare il cannibalismo. 100 poesie, libro pubblicato da Del Vecchio Editore.

Le squisite traduzioni di Cristina Consiglio, Paola Del Zoppo e Riccardo Frolloni insieme ad apparati di lettura, ad un saggio e un’intervista al poeta, ci offrono l’accesso ad un poeta incantevole e ironico, che affronta il lettore con una serie di modi (lirica e prosa), mescolando i temi dell’amore, della frustrazione, dell’amicizia, del gioco, saldati tutti nel tema dominante della morte, immagine significante della vita.

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Haroldo Conti, “Mascaró”

Haroldo Conti, Mascaró, trad. Marino Magliani, Exòrma Edizioni, 2020,  pp.360, € 16,50

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di Francesco Sasso

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Haroldo Conti (1925-1976) è scrittore argentino, amico di Gabriel García Márquez, vincitore di vari premi. Nel 1976 fu sequestrato dal regime militare di Videla e scomparve insieme a tanti desaparecidos. Nel 1975 vinse il Premio Casa de las Américas con il romanzo Mascaró.

Tradotto in modo ottimo da Marino Magliani, il romanzo edito in Italia si avvale dell’intensa e struggente prefazione di Gabriel García Márquez.

Ecco la risposta dello scrittore argentino all’invito di Marquez ad andarsene dall’Argentina prima che la situazione precipitasse: “Uno deve scegliere – e aveva aggiunto – Resterò finché sarà possibile […] perché oltre a scrivere, e neanche tanto bene, non so fare altro”. E a conferma di ciò, davanti alla sua scrivania aveva appeso un cartello con queste parole: “Questo è il mio posto di combattimento e da qui non me ne vado” (dalla prefazione).

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Remainders: Leonard Clark, “I fiumi scendevano a Oriente”

Leonard Clark, I fiumi scendevano a Oriente, Garzanti, 1959, 492 p.

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di Francesco Sasso

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La vicenda si svolge nell’Amazzonia. L’autore descrive i luoghi e narra le vicende di cui è stato protagonista durante il suo viaggio – compiuto nel 1946 – in una zona inesplorata della foresta peruviana, alla ricerca del mitico Eldorado, la terra ricca di favolosi tesori.

Il racconto è un susseguirsi di emozionanti imprese poiché nella giungla il pericolo è sempre in agguato: occorre lottare contro le acque impetuose dei fiumi, l’intrico della vegetazione, i giganteschi vermi e insetti, i rettili velenosi, i pesci voraci e contro i Campa, una feroce tribù di Indios che vivono in territorio peruviano.

Ecco l’incipit: “Ogni esploratore ha due facce: quella segreta, e quella che mostra al pubblico. Le mie nascondevano entrambe il fatto che nel taschino della camicia, fermati con una spilla di sicurezza, avevo solo mille dollari, tutto quel che possedevo al mondo, in biglietti da cento. Non era molto, ma io ero a caccia di un tesoro, e ogni cacciatore di tesori è un ottimista. Se non lo fosse, farebbe un altro mestiere. D’accordo, in quei giorni non avevo idea dove fosse nascosto l’oro, ma avevo un indizio…”

f.s.

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[Leggi tutti gli articoli di Francesco Sasso pubblicati su RETROGUARDIA 2.0]

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Tutte le puntate di  

Stendhal in Sicilia. Per amore di Stendhal, Sciascia diventa napoleonico

Stendhal in Sicilia. Per amore di Stendhal, Sciascia diventa napoleonico

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di Francesco F. Forte

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«Non la finiremo mai con Stendhal» (Paul Valéry); «Ha saltato un secolo intero, il diciannovesimo» (Stefan Zweig); «un Eden delle passioni in libertà» (Julien Gracq); «O si è stendhaliani o non lo si è» (Émile-Auguste Chartier-Alain); “Stendhal for ever”: ex libris ricordato da Sciascia (si ama tutto di Stendhal»); «romanzo puro, e Stendhal ne è, giustamente, il campione, affabulatore mai domo» (Giovanni Macchia); «nella scrittura domina, travolgente e incontrastato, il puro gusto del racconto, della narrazione: uno stile da Mille e una notte» (Francesco Flora).

Per Leonardo Sciascia, ancora, «la gioia che dà Stendhal è imprevedibile quanto la vita, quanto le ore di una giornata e quanto le giornate di una vita». Una gioia che accompagna lo scrittore di Racalmuto attraverso gli stadi della giovinezza, della maturità e dell’affacciarsi della vecchiaia. In un testo del lontano 1978, apparso su Mondo Operaio, scrive, a proposito dei tre gradi dello stendhalismo: «Il più bel libro di Stendhal è l’Henry Brulard. Ci sono tre gradi dello stendhalismo. In un primo si crede che il più bel libro di Stendhal sia Il rosso e il nero; poi ci si converte alla Certosa di Parma; in un terzo grado, quando lo stendhalismo è arrivato alla sua perfezione, ci si convince che il suo più grande libro è la Vie de Henry Brulard».

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Lord Byron, un antiromantico travolto dal romanticismo

(c) Newstead Abbey; Supplied by The Public Catalogue Foundation

Lord Byron, un antiromantico travolto dal romanticismo

(“Swept into the camp of the Romantics”)

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di Claudia Cardella

L’epiteto romantico e l’antitesi classico-romantico sono approssimazioni da lungo tempo entrare nell’uso. Il filosofo le mette solennemente alla porta esorcizzandole con logica che non erra, ed esse rientrano chete chete per la finestra, e son sempre lì tra i piedi, elusive, assillanti, indispensabili; il retore cerca di dar loro stato, grado e inamovibilità, ed ecco, alla fine di travagliose costruzioni, s’accorge d’aver trattato ombre come cose salde”.1 Così Mario Praz introdusse un discorso a proposito della funzione e della quasi necessità di due “etichette”, cioè romantico e quella che qui, per comodità, ribattezziamo opposto a romantico. Si tratta di due etichette l’utilità delle quali è innegabile, soprattutto se, come in questo caso, si devono segnalare delle caratteristiche atipiche. Tuttavia, esse tendono a dare l’impressione che si stia parlando di quadri omogenei, nei quali tutto è in armonia con i connotati di una o dell’altra categoria. E invece bisogna tenere presente che queste etichette, solitamente, indicano piuttosto delle caratteristiche comuni, la presenza delle quali mette in relazione un autore, le sue opere, il suo pensiero, con una categoria o con un’altra.

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ESERCIZI DI LETTURA: Joao Guimaraes Rosa, “Grande Sertao”. Quel che esiste è l’uomo umano, traversia

Joao Guimaraes Rosa, Grande Sertao, Feltrinelli editore

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di Gustavo Micheletti

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Rispetto ad altri scrittori dell’America latina decisamente più letti e più famosi, come il brasiliano Jorge Amado o il columbiano Gabriel Garcia Marquez, a Joao Guimaraes Rosa mancano forse i requisiti favorevoli a un successo ampio e rapido. Rispetto al primo non ha per esempio lo stile da sceneggiatore ed il gusto per il giuoco folclorico, rispetto al secondo manca dell’accattivante combinazione di personaggi surreali con le evoluzioni fantastiche della storia. Tuttavia, nonostante l’assenza di tali requisiti, il suo maggiore romanzo, Grande Sertao, ha avuto la prerogativa di dare vita a due schiere di lettori: coloro che lo considerano uno dei più grandi romanzi del nostro secolo e quelli che non hanno superato, nella più ottimistica delle ipotesi, le prime settanta pagine.  

Pur evocando i modelli narrativi tipici dell’epica classica, Grande Sertao rimane infatti – come ebbe a definirlo lo stesso Guimaraes Rosa – un libro “diverso e terribile, consolatore e strano. […] Gli uomini non muoiono, restano incantati”, disse lo stesso Guimaraes Rosa al termine del discorso che lo insediava all’accademia brasiliana delle lettere, poche ore prima della sua morte; e non si trattava di un pensiero solo occasionale: il restare incantati è infatti uno dei temi dominanti di tutta la sua opera, e in particolare di questo romanzo, dove si può rimanere incantati ad ogni riga. Grande Sertao è una storia di briganti, di uomini in guerra, di donne appena intraviste; è la storia di un ex bandito, Riobaldo, raccontata da lui stesso ad un dottore silenzioso in viaggio nel Sertao, che non chiede mai nulla e che nella traduzione italiana è chiamato Vossignoria.

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Hai Zi, “Un uomo felice. Poesie scelte 1983 -1989”

Hai Zi, Un uomo felice. Poesie scelte 1983 -1989, a cura di Francesco De Luca, Del Vecchio Editore 2019, € 16,50

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di Francesco Sasso

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Prima di iniziare la mia breve analisi delle poesie di Hai Zi, devo fare i complimenti all’editore. L’impaginazione, la copertina, il frontespizio, l’immagine del poeta all’interno del libro, la mappa finale: l’oggetto libro è di rara bellezza.

Chi è Hai Zi? Il 26 marzo 1989 il poeta Hai Zi si uccide facendosi travolgere da un treno. Ragazzo prodigio, a soli quindici anni viene ammesso alla più prestigiosa università cinese, a diciannove anni inizia ad insegnare. Solitario, spirito semplice, conduce una vita da eremita. Ama scrivere di notte e perdersi nella natura di una Cina ancora rurale. Scrive tanto in pochi anni, soffre per amore e si dedica interamente alla poesia. Vien voglia di abbracciarlo e dirsi suo amico. Hai Zi cresce negli anni della Rivoluzione culturale e muore a pochi giorni dal massacro di Piazza Tian’an men.

In mare: «Tutti i giorni son giorni in mare/  povero pescatore/ grumi di carne come una fune maldestra/ lanciato sulle onde/ vuole afferrare terre lontane/ oggetti luminosi/ anche solo i finti sorrisi del sole/ ma afferra solo assi di legno marce:/ capanne, barche e bare/ dorsi di pesci migrano in branchi/ senza fine e senza inizio/ della giovinezza solo si può dire/ quanto sia fragile». (pag.27).

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“Poeti con il popolo curdo” nuove armi

Poeti con il popolo curdo” nuove armi

Generale, l’uomo fa di tutto.

Può volare e può uccidere.

Ma ha un difetto:

può pensare.

Bertolt Brecht

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di Antonino Contiliano

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La pubblicazione nel dicembre del 2019 di Tam Tam Bum Bum – come Librorivista Internazionale di Poesia e uno “speciale” di «Poeti Con il Popolo Curdo» –, secondo noi, pone l’esigenza di qualche parola che vada oltre una semplice recensione. Come librorivista infatti unifica ciò che un tempo aveva tempi editoriali diversi. La rivista, diversamente dal libro, si qualificava come pubblicazione periodica e con contributi di diversi autori. Questa divisione, qui (librorivista), invece non c’è più.

La stampa di questo speciale, fermo il progetto po(i)etico unitario (ideale e tematico), intreccia e correlazione testi diversi: editoriali, poesie verbali e non verbali (visive o concrete), scatti fotografici che immobilizzano uno sguardo, un gesto, armi da guerra, foto ritoccate per risignificarle, riproduzioni pittoriche e paesaggi di guerra, copie di striscioni, dichiarazioni di intenti dei curatori, lacerti narrativi prelevati dai libri d’autore, scritture speculari asimmetriche e rovesciate, «la parola sperimentale» (Elisa Longo) che dialoga con le forme poetiche alternative e innovative, classiche, meno conosciute, frequentate, emergenti, i neologismi, la parola di strada.

Anche il fatto che i poeti – in questo numero speciale di poesia internazionale –, nello specifico, sono incisi solo come ‘poeti’, «Poeti Con il Popolo Curdo», è significativo. Un “popolo” cioè che al popolo curdo (che lotta contro l’oppressione, e la politica di genocidio e sterminio turca) si riferisce come popolo, e che solo come tale – un noi collettivo internazionale – solidarizza con il mondo dei valori e degli interessi dell’identità dei curdi in lotta per l’autodeterminazione e l’autonomia di entità plurietnica nella forma della “confederazione democratica”.

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Helen Macdonald, “Io e Mabel, ovvero l’arte della falconeria”. Un romanzo di formazione

Helen Macdonald, Io e Mabel, ovvero l’arte della falconeria, trad. Anna Rusconi, Einaudi, 2016, pp.292, €19,50

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di Stefano Lanuzza
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Tradotto da Anna Rusconi, Io e Mabel ovvero l’arte della falconeria (Einaudi). Altro il titolo originale: His for Hawk [H come astore]) appare un perfetto ‘romanzo di formazione’, un autobiografico e ispirato bildungsroman, a tratti un poema in prosa di preziosa letterarietà e straordinaria ricchezza lessicale. In esso l’inglese Helen Macdonald, dopo la morte improvvisa del padre (“Mia madre chiamò per dirmi che mio padre era morto”), racconta il passaggio dalla sua crisi depressiva al graduale superamento del lutto, alla maturazione psicologica e alla conoscenza di sé attraverso l’esperienza paradossale dell’addestramento d’un falco.

Com’è possibile morire così, di colpo, essere e, in un momento, fulminati da una morte grifagna, non esserci più? Assurda, inaccettabile fine: dapprima, Helen ne è stordita e come sospesa a fluttuare in una dimensione d’irrealtà, persa in una segreta demenza che l’aliena, la paralizza e la precipita nell’insensatezza: “In quel periodo sviluppai una specie di pazzia”.

È sola, non ha un compagno né figli, non una casa propria, un lavoro sicuro, e l’uomo di cui, per salvarsi dal disamore di sé, vorrebbe innamorarsi, l’abbandona dopo una breve frequentazione credendola psicotica. I suoi pensieri si dibattono, vagano, s’ingarbugliano, qualche volta la consolano volando agli anni dell’infanzia, agli inizi della sua sempre coltivata passione per i falchi, alle spedizioni nei boschi col padre fotoreporter in cerca degli sparvieri somiglianti in miniatura agli astori assai più grandi: nella proporzione – considera l’autrice – di un gatto rispetto a un leopardo. “Uccelli del folto dei boschi”, gli indomiti astori “sono il graal proibito dei birdwatcher”.

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ESERCIZI DI LETTURA n. 5: “Il pane che si porta in carcere”. Dante nella poesia di Osip Mandel’stam

Il pane che si porta in carcere”. Dante nella poesia di Osip Mandel’stam

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di Francesca Vennarucci

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Come accade che un ebreo polacco, stretto nella morsa della Russia staliniana, sviluppi una autentica passione per Dante, inizi a studiare l’italiano per leggerlo in lingua originale e, anch’egli poeta, lo elegga a sua guida, a suo nutrimento? Perché? Cosa rappresenta Dante per Osip Mandel’stam? Attraverso il dialogo con Dante, Mandel’stam intesse una fitto colloquio con altri grandi poeti europei che nella vita e nell’opera dell’esule fiorentino cercarono una chiave per comprendere se stessi e i drammatici eventi storici novecenteschi: Eliot e Pound, ma anche Montale e Seamus Heaney. Sappiamo che Mandel’stam, quando iniziò a temere di venire arrestato, portava sempre con sé un’edizione tascabile della Commedia: non poteva tollerare l’idea del carcere senza Dante…e sappiamo anche che la sua ultima raccolta poetica ci è giunta perché la moglie Nadezda aveva imparato a memoria tutti i testi. L’esilio, il pane altrui che sa di sale, le scale da scendere e salire per chiedere aiuto e protezione, ma anche la sublime libertà del cielo, di uno sguardo che oltrepassa il visibile… È la storia di una amicizia, di un intimo colloquio, che, come tutti i veri profondi legami, aiuta a conoscersi e a trovare il proprio posto nel mondo.

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ESERCIZI DI LETTURA n. 3: Un’anima è nella mia anima… e non si ricorda d’esser morta

Cees Nooteboom, Tumbas. Tombe di poeti e pensatori, trad. it. Iperborea, Milano, 2015.

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di Gustavo Micheletti

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La tomba di Chateaubriand si affaccia sul mare della Bretagna. A SaintMalo, patria dei corsari, una croce di pietra, piuttosto tozza e massiccia, se ne sta in alto, quasi a strapiombo, come assorta a contemplare l’orizzonte, forse a ricordare. Albert Manguel scrive che per Chateaubriand “il mondo che vediamo è già memoria: di cose passeggere, effimere, perdute, che pure non vogliono abbandonarci del tutto. Il passato non se ne andrà: quello che sperimentiamo esiste soltanto nel momento che fugge,” ma nulla va perduto, nulla discende nella tomba, perché tutto ciò che abbiamo conosciuto continua a vivere intorno a noi e “la morte, toccandoci, non ci distrugge, ci rende solo invisibili”.

Come in un gioco di scatole cinesi, il poeta e scrittore olandese Caes Nooteboom ha raccolto in questo suo libro itinerante e nostalgico scritti e memorie di altri scrittori e poeti, che a loro volta ricordano e condividono con lui il gusto del non lasciar svanire, del voler far riaffiorare dal passato quanto si lascia solo levigare dal tempo. Pellegrinando di tomba in tomba, l’autore coltiva il sapore di pagine che ha amato e lascia presagire la compagnia vaga e pungente dei loro estensori.

Sono molti i poeti e i pensatori che si succedono in questa variegata teoria di pietre sonore visitate da Nooteboom. Alcuni di loro, come Goethe e Schiller, sembrano rimasti amici dopo la morte. A Weimar stanno uno accanto a l’altro, nelle rispettive urne, tanto da suggerire l’idea che la loro amicizia ignori le loro rispettive morti. Altri, invece, non solo sembrano credere pienamente nella morte, ma ne hanno una visione implacabile e algida, come della fine del tempo e di tutto. Ionesco, per esempio, immagina, in maniera scientificamente plausibile, che il mondo un giorno gelerà. Un’insensibilità polare si stenderà sopra di noi e poi “un gran sole farà sciogliere i blocchi di ghiaccio, e poi ci sarà un vapore, e anche la bruma si dissiperà nella luce azzurra”. Alla fine, “non resterà più alcuna traccia”.

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ESERCIZI DI LETTURA n.1: La vocazione di chi pensa senza esistere? Non scrivere. La letteratura del «No» e il fantasma dell’inazione

Con questa nuova rubrica, esercizi di lettura – titolo liberamente ispirato a quello di un’opera omonima di Gianfranco Contini – s’intende qualcosa di più di una recensione e qualcosa di meno di un saggio, e cioè lo sviluppo di una serie di note in margine o di considerazioni critiche, di risonanze o d’implicazioni che qualsiasi testo significativo suggerisce e rende possibile. (Gustavo Micheletti)

Enrique Vila-Matas, Bartleby e compagnia, Feltrinelli, 2002

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di Gustavo Micheletti
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L’idea di scrivere un libro su Bartleby e i suoi ideali compagni di viaggio nella storia della letteratura nacque nella fantasia di Enrique Vila-Matas un martedì in ufficio, quando a un certo punto ebbe l’impressione che la segretaria del capo dicesse al telefono: “Il signor Bartleby è in riunione”. Poiché gli risultò difficile immaginare Bartleby in riunione con qualcuno, “immerso nell’atmosfera tesa di un consiglio d’amministrazione”, al solo pensiero si mise a ridere da solo.

Sul tema della sindrome di Bartleby – scrive Vila-Matas – “ci sono due racconti fondamentali, inventori oltretutto della sindrome e della sua possibile poetica. Si tratta di Wakefield di Nathaniel Hawthorne e Bartleby lo scrivano di Herman Melville. In questi due racconti compaiono delle rinunce (alla vita coniugale nel primo, e alla vita in generale nel secondo), e, sebbene tali rinunce non siano in rapporto con la letteratura, il comportamento dei protagonisti prefigura i futuri libri fantasma e altri ripudi della scrittura che non tardarono poi a inondare la scena letteraria”.

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Due scrittori svizzeri, Hohl e Walser

Ludwig Hohl, Sentiero notturno , Casagrande editore, 1991, trad. di Giusi Valent.

Robert Walser, La passeggiata, Adelphi, Milano 1976, Trad. di Emilio Castellani

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di Domenico Carosso
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Un uomo ne vede un altro davanti a sé, in una notte d’inverno; la stradina di una piccola cittadina, completamente addormentata, è percorsa da un’aria gelida, e la vicinanza della locanda sembra però proporre una sosta calda e accogliente.

Tutti i racconti di Hohl sono come occupati da un’aria tagliente, percorsi «dall’algida forza della limpida notte invernale» che si abbatte, come nel «Sentiero notturno», sul protagonista come qualcosa di inevitabile, di fatale, un fato tutto umano, dunque tanto più invincibile del divino, invalicabile.

I testi del «Sentiero notturno», scritti tra il 1931 e il 1938, descrivono paesaggi, montagne, solitudini, con una prosa secca e ruvida che come un blocco di granito sfocia in pianure impossibili, meno ospitali delle altitudini, occupate al più da una vuota eternità.

Alcune donne in un paese di montagna, in cima ad un pendio infinitamente irsuto, nero, sconfinato, altissimo, tanto che l’occhio che lo percorre non può che perdersi nelle profonde fenditure che spaccano il paese in tanti abituri sostenuti da un rudere pericolante, sembrano visitate da qualcuno che vuole conoscere il passato, e si trova invece di fronte tre figure (passate, presenti o future?) che si ergono nitide sullo sfondo.

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Remainders n.19: Johann Wolfgang Goethe, “Le affinità elettive”

Johann Wolfgang Goethe, Le affinità elettive

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di Francesco Sasso

Ne Le affinità elettive (1809) il poeta studia il problema della coppia umana ed applica ad un caso morale il principio chimico delle affinità. Il matrimonio felice tra Eduard e Charlotte si incrina con l’arrivo al castello di due giovani, Ottillie (protetta da Charlotte) e il Capitano (amico di Eduard). Giorno dopo giorno i rapporti tra i personaggi paiono evolversi secondo dinamiche simili a quelle che si verificano tra gli elementi chimici: Charlotte è attratta dal Capitano, Eduard da Ottillie.

Il romanzo, che tratta delle vicende di due coppie, ripropone le questione del conflitto tra responsabilità etica e soddisfazione della passione. Una delle due coppie trova la forza morale per la rinuncia, mentre l’altra si abbandona al sentimento e si rende quindi colpevole. L’opera si oppone al Werther, poiché se Ottillie si lascia morire di fame, non lo fa come vittima di una passione romantica, bensì per un’espiazione volontaria che la santifica.

f.s.

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La letteratura d’evasione (I): le origini.

La letteratura d’evasione: le origini.

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di Francesco Sasso

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La letteratura d’evasione nasce a partire dalla metà dell’Ottocento, quando si diffuse, prima in Francia e poi nel resto d’Europa, un nuovo genere letterario: il romanzo d’appendice o feuilleton. Si tratta di romanzi pubblicati a puntate nelle pagine finali, in appendice appunto, o nei supplementi dei quotidiani. All’inizio non si trattò di un genere distinto dalla narrativa tradizionale: a dispense o in appendice furono pubblicate anche opere di autori come Balzac o Hugo. Tuttavia ben presto, per le caratteristiche che una narrazione di questo tipo andava assumendo, vi si dedicarono scrittori sempre più specializzati: Eugène Sue, autore dei Misteri di Parigi, e Alexandre Dumas, autore dei Tre moschettieri e del Conte di Montecristo, sono forse da considerarsi i più noti e amati dal pubblico dei lettori.

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Gogol, il grottesco crea indimenticabili figure della letteratura

Gogol, il grottesco crea indimenticabili figure della letteratura

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di Domenico Carosso
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Scrive Clemente Rebora, in calce alla sua traduzione del Mantello che «la novella fu per la Russia come una crisalide donde uscì la farfalla dell’arte, una volta concepita dall’originalità nazionale e organicamente addestrata al volo dalla poesia di Puškin. Sulle prime passò quasi inosservata, mentre Gogol´ levava il grande e tragico stormo delle Anime morte».

Il freddo gelido di Pietroburgo si fa sentire, ed ecco che per il mantello da riparare l’umile scrivano Akakij si reca dal sarto Petrovič, che lo prega poi di volerne ordinare uno nuovo, ché il vecchio è ormai inservibile…

«Ah, ecco qua, a te, Petrovič, io… Bisogna sapere che Akakij Akakievič si esprimeva per lo più mediante preposizioni o avverbi, e infine con particelle che non avevano assolutamente nessun significato. Se poi la cosa era molto difficoltosa, egli aveva persino l’abitudine di non terminare le frasi, per cui molto spesso cominciava un discorso con le parole “questo è proprio quello”, e poi non diceva più niente, e lui stesso dimenticava di finire la frase pensando di aver già detto tutto»1.

Ed ecco, per un confronto, la stessa sequenza nella traduzione, letterale ed elegante, barocca e giustamente antiquaria, di Landolfi:

«Ecco, t’ho portato, Petrovič, coso…- Bisogna sapere che Akakij Akakievič parlava sopratutto per avverbi, per preposizioni o comunque particelle senza significato alcuno. Se il discorso poi era imbarazzante, aveva l’abitudine di non finir neppure le frasi, sicché molto spesso, ne cominciava uno colle parole: “Ciò, in verità, senza dubbio…coso”, e poi non veniva fuori altro, ed egli stesso si fermava pensando di aver già tutto detto»2.

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Breve nota su tre elegie di Hölderlin dal “Quaderno in folio di Homburg”

Breve nota su tre elegie di Hölderlin dal “Quaderno in folio di Homburg”

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di Domenico Carosso
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L’Almanacco delle Muse per l’anno 1808 è il progetto poetico che Hölderlin elabora al suo ritorno a Nürtingen da Ratisbona, quando inaugurando una fase di profonda rielaborazione di alcune elegie, come Ritorno in patria, Stoccarda e Pane e vino che induce e anzi costringe lo studioso che se ne occupi a rivedere le proprie considerazioni. Che sono di due tipi. Hellingrath e Beißner, all’opera durante la prima guerra mondiale, di cui peraltro fu poi vittima, il primo, e il secondo attivo negli anni dal 1943 al 1947, trascurano, con buone ragioni i testi monchi, scarni, sempre visti e rivisti dall’autore, in fin dei conti e in buona parte illeggibili, e lo stesso fa il compilatore della StA, (Stuttgarter Ausgabe, edizione di Stoccarda) che considera valide solo le pagine compiute e “leggibili”.

Lo studioso considera in due distinte sezioni gli inni e le elegie che sono di forma compiuta, mentre trascura i cosiddetti “abbozzi innici” che hanno posto in altra sezione, e tutto il resto come frammenti e notizie non altrimenti integrabili nel corpo autentico del testo finale.

Uno dei più recenti commentatori, Michael Knaupp, ha da parte sua deciso di pubblicare e commentare solo le pagine sicuramente hölderliniane, tralasciando quelle ambigue, troppo corrette o i passi scritti e riscritti.

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Folgorati da César Aira, scrittore eccentrico

César Aira, Il pittore fulminato, Introduzione di Roberto Bolaño, Traduzione di Raul Schenardi, Fazi Editore, Roma, 2018, pp. 94, euro 16,00.

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di Primo De Vecchis

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Il pittore fulminato (2000) di César Aira narra un particolare episodio della vita del pittore tedesco Johann Moritz Rugendas (1802-1858), accaduto nel 1838 circa, durante uno dei suoi viaggi tra il Cile e l’Argentina. La storia oscilla tra verità storica e finzione e l’autore argentino César Aira si mostra molto abile nel rendere verosimile la vicenda talora inverosimile di Rugendas, accompagnato dal suo amico pittore Robert Krause.

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Leopoldo Lugones, “Le forze misteriose”. Scienze occulte e teosofia nei racconti di Leopoldo Lugones

Leopoldo Lugones, Le forze misteriose, Traduzione di Francesco Verde, Torino, Lindau, 2017, pp. 136, euro 14,00.

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di Primo De Vecchis

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Il modernismo ispanoamericano è un movimento letterario e artistico, che si sviluppa in America Latina attorno al 1880 ed esercita la sua influenza fino al 1914 circa. L’iniziatore della nuova tendenza è considerato il poeta nicaraguense Rubén Darío (1867-1916). Darío arriva a Buenos Aires nel 1893 e trova un terreno fertile per la nuova scuola: il cosmopolitismo, il liberalismo, l’ascesa del ceto medio borghese, che trova nuovi referenti politici nel Partito Radicale e nel Partito Socialista. Il modernismo di Darío (che aveva trovato i suoi precursori in José Martí, Manuel Gutiérrez Nájera e José Asunción Silva, rispettivamente un cubano, un messicano e un colombiano) recupera aspetti del romanticismo europeo, saldandoli con le nuove tendenze della poesia simbolista e parnassiana francese. Si tratta quindi di una poetica di stampo decadente, che ha come modelli Hugo, Poe, Baudelaire, Verlaine, ma anche Whitman (il profeta, il vate) e altri ancora. Le idee importate dal modernismo, che faranno poi scuola anche in Spagna, trovano accoglienza nella produzione poetica e in prosa dell’argentino Leopoldo Lugones, nato a Cordoba nel 1874. Lugones si trova a Buenos Aires nel 1896, in pieno fervore modernista. Lavora principalmente come giornalista per diversi periodici: è animato da idee anarco-socialiste e anticlericali. Nel 1897 pubblica la raccolta poetica Las montañas de oro; nel 1905 è la volta de Los crepúscolos del jardín. L’anno seguente compie un viaggio in Europa; inoltre pubblica Las fuerzas extrañas, la sua prima raccolta di racconti fantastici. Lugones, attraverso questa produzione di brevi finzioni, mostra uno spiccato interesse per le scienze occulte. Non è un caso isolato: si tratta di una delle caratteristiche dello stesso modernismo, esoticamente teso verso le discipline gnostiche orientali.

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SUL TAMBURO n.36: Emmanuel Bove, “Una visita serale e altri racconti”

Emmanuel Bove, Una visita serale e altri racconti, trad. it. e postfazione di Claudio Panella, Saluzzo (Cuneo), Fusta, 2016

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di Giuseppe Panella

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Nella bella collana bassastagione curata da Marino Magliani e Stefano Costa, viene pubblicata una significativa raccolta di racconti di Emmanuel Bove, scrittore maledetto e randagio, autore di un gran numero di testi di narrativa non facilmente qualificabile nel genere e conosciuti per la loro ricerca stilistica singolare e apparentemente spiazzante. Una visita serale e altri racconti contiene sette storie di Emmanuel Bobovnikoff (il suo nome di nascita che però non usò mai per firmare le sue storie mentre condivise con il suo più autorevole nom de plume quelli di Jean Vallois e Pierre Dugast), sette momenti di vita, sette vicende tra il bizzarro e lo straziante che alternano laminuziosa descrizione di stati d’animo a ritratti di personaggi umorali o disturbati o inquietanti descritti in precisi momenti della loro vita. Più noto come romanzi quali I miei amici (trad. it. di Beppe Sebaste, Milano, Feltrinelli, 20152, un romanzo che nel 1921 piacque molto a Colette) o La trappola (trad. it. di Carlo Alberto Bonadies, Genova, Il Melangolo, 1999, rifiutato in prima istanza da Gallimard perché trattava in maniera molto poco conciliatoria di “collaborazionismo” durante la guerra), Bove autore di racconti ha una specificità notevole e caratteristiche singolari che vanno adeguatamente sviscerate per comprenderle.

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Il caso Polleri: la scrittura tra follia e totalitarismo. Felipe Polleri, “Germania, Germania”

felipe-polleri-germania-germaniaFelipe Polleri, Germania, Germania!, A cura di Loris Tassi, Salerno, Arcoiris, 2016, pp. 220, euro 14,00.

Il caso Polleri: la scrittura tra follia e totalitarismo

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di Primo De Vecchis

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Può risultare interessante capire come funziona la prosa di Felipe Polleri, scrittore uruguaiano nato nel 1953 a Montevideo, autore del romanzo Germania, Germania!, edito da Arcoiris (collana: Gli eccentrici). Troviamo sempre un narratore in prima persona, che cattura la nostra attenzione con i suoi discorsi lucidi e al tempo stesso ossessivi. Mentre avanziamo nella lettura scopriamo dettagli sempre più inquietanti, bizzarri o meschini. Inoltre il narratore passa da un argomento all’altro con estrema disinvoltura, creando una sensazione di caos controllato. Gli episodi insignificanti e i dettagli nevrotici costituiscono la trama evidente di questa prosa, che avviluppa il lettore nella sua morsa, per non abbandonarlo più fino alla fine. A un certo punto si palesano delle fiammate di follia pura: «Questo, in fin dei conti, è solo un romanzo di guerra scritto da un morto, anzi da uno che morì due volte» (p. 31). Spuntano come funghi immagini allucinogene: «È che simpatizzo con i pazzi, oltre a diventare come loro di tanto in tanto» (p. 35). Ecco quindi arrivare marziani, nani, i Krak (un incrocio tra gli uomini e gli insetti). Eppure stiamo parlando di uno scrittore minore, che lavora nel controspionaggio al servizio degli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale! Si chiama Christopher, come Marlowe, il tragediografo: infatti è inglese. Da ciò si evince che i temi del libro sono almeno due: la follia e il totalitarismo (nazista).

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Quella frontiera impalpabile di Pablo Besarón.

pablo%ef%bb%bf-besaron-effetti-collateraliPablo Besarón, Effetti collaterali, A cura di Livio Santoro, Salerno, Arcoiris, 2016, pp. 124, euro 11,00.

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di Primo De Vecchis

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Mi sono imbattuto nello scrittore argentino Pablo Besarón qualche anno fa, quando stavo indagando sul tema della cospirazione politica in Roberto Arlt. Besarón infatti è l’autore di un pregevole volume di saggi letterari dal titolo La conspiración: Ensayos soble el complot en la literatura argentina [La cospirazione: Saggi sul complotto nella letteratura argentina]. Tra questi spiccano i saggi su Arlt: Ficción, política y conspiración [Arlt: Finzione, politica e cospirazione], su Borges y la conspiración como utopía social [Borges e la cospirazione come utopia sociale], su Rodolfo Walsh: Conspiración y Resistencia [Rodolfo Walsh: Cospirazione e Resistenza]. Ma il volumetto indaga anche le figure più o meno note di Mariano Moreno, Esteban Echeverría, Domingo Faustino Sarmiento, José Marmol, Julián Martel, Gustavo Perednik e Ricardo Piglia. Il tema del complotto, della cospirazione (che può deragliare nel complottismo e nel cospirazionismo) è particolarmente legato al postmodernismo nordamericano.

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Mihai Eminescu incontra Friedrich Hölderlin. Saggio di Domenico Carosso

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Mihai Eminescu incontra Friedrich Hölderlin

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di Domenico Carosso

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Tenterò, in poche pagine, di far incontrare con Hölderlin, Mihai Eminescu (1850-1889), il poeta romeno nato in Bucovina, di cui cantò «il genio romantico, i monti tra la luce,/ le valli tra i fiori,/ i fiumi rimbalzanti tra picchi dirupati,/ le acque che risplendono qual freschi diamanti/ oltre i campi, lontano». Molti elementi accomunano i due poeti: l’acqua, il fiume, e la montagna, poi la Terra, i morti e il passato (per Hölderlin, l’antica Grecia), che vivifica e alimenta il presente, gli dèi e il riferimento religioso, Dio e la Natura.

Intanto, l’acqua dei monti, del lago o del mare, elemento della vita e difesa contro il nulla, che nel suo divenire tutto travolge, ha un suono guaritore, così come il fiato di Dioniso e le corde di Apollo, cioè il flauto e il violino, aiutano a guarire da ogni male, e permettono l’esplorazione di chi, poeta, scultore o musicista, tende a concentrare, per salvarle, tutte le forme umane in una.

E questo è anche il lavoro delle Muse, figlie di Armonia. E la musica, musa, in greco moĩsa, viene dalla radice indo-germanica ma(n), pensare e conoscere, che diventerà il latino mens. Le muse sono il pensiero che si fa parola, canto e danza, in quel tempo e in quello spazio che, tra luce e oscurità, chiamiamo ritmo.

Così, il numero, espressione visibile del ritmo, governa il moto degli astri e la loro rotazione attorno al Polo celeste; secondo Pindaro con la musa venne al mondo la parola, la parola addormentata che diventa l’inizio del mondo.

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SUL TAMBURO n.23: Roberto Arlt, “Un viaggio terribile”

Roberto Arlt, Un viaggio terribileRoberto Arlt, Un viaggio terribile, a cura e con una postfazione (Roberto Arlt, o l’arte di inventare) di Luigi Marfè, Siena, Radio Londra Edizioni, 2015

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di Giuseppe Panella

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Non è ancora il tempo di una sintesi compiuta riguardo il lavoro intellettuale e la produzione letteraria di Roberto Arlt (Buenos Aires, 1900-1942). Nonostante un nutrito gruppo di benemerite traduzioni (o nuove traduzioni) dei principali romanzi dello scrittore di origine tedesca soprattutto nell’ambito del progetto Sur di collaborazione culturale italo-argentina e nonostante l’interesse per Arlt risalga già agli anni Settanta quando I lanciafiamme, I sette pazzi e Il giocattolo rabbioso furono tradotti per Bompiani e Savelli (io li lessi, infatti, in queste edizioni), un’ampia parte della sua opera è ancora in attesa di essere conosciuta in ambito italiano. Mancano all’appello i testi teatrali e le sceneggiature, ad esempio, molti scritti giornalistici e parte dei racconti1

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Remainders n.17: Miguel de Cervantes Saavedra , “Don Chisciotte della Mancia”

Don Chisciotte della ManciaMiguel de Cervantes Saavedra , Don Chisciotte della Mancia

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di Francesco Sasso

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Miguel de Cervantes Saavedra è l’autore del Don Quijote, unito alla sua creatura in un binomio indissolubile, quasi una persona sola, è la grande figura, l’emblema della letteratura spagnola, l’immagine stessa della Spagna.

Per quanto nulla di certo si sappia sulla data di composizione del Don Chisciotte si può ritenere che la trama ne sia stata abbozzata, forse come novella, durante uno dei periodi trascorsi dall’autore nelle carceri di Andalusia. Quando Cervantes giunse a Valladolid nel 1603, la prima parte del Don Chisciotte era terminata; il libro fu pubblicato nel 1605 ed ebbe successo immediato. Nel 1614 ne erano già state stampate otto edizioni; questa larga diffusione spinse uno scrittore rimasto anonimo a pubblicare con lo pseudonimo di Alonso Fernàndez de Avellaneda una grossolana continuazione delle avventure di Don Chisciotte. A questo falso va riconosciuto di aver spronato il Cervantes a completare ed a pubblicare l’autentica continuazione delle avventure dell’ingenioso hidalgo, che, pubblicate nel 1615 a Madrid, immediatamente spegnevano la facile ilarità suscitata dal misterioso Avellaneda.

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Vogliamo il colonnello di Arlt. Roberto Arlt, “Saverio, il Crudele / L’isola deserta”

Roberto Arlt, Saverio, il Crudele, L'isola desertaRoberto Arlt, Saverio, il Crudele / L’isola deserta, Traduzione di Raul Schenardi e Violetta Colonnelli, Postfazione di Carolina Miranda, Salerno, Edizioni Arcoiris, 2016, pp. 120, euro 11,00.

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di Primo De Vecchis

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Torno ad occuparmi ciclicamente dello scrittore argentino Roberto Arlt (1900-1942), poiché da una parte aumentano le iniziative editoriali di traduzione e recupero delle sue opere “minori”, e dall’altra reputo che uno scrittore così immerso nel suo presente risulti oggi ancora attuale. Il motivo è presto detto. Nessuno come Arlt seppe descrivere la rovinosa inquietudine che percorse il globo negli anni Trenta, subito dopo la grande crisi economica del ’29 (insieme ad Alfred Döblin e a pochi altri). Nessuno come Arlt (in Argentina e altrove) seppe dare voce in modo grottesco alle paure e ai deliri di una classe media urbana, di piccolo-borghesi “bottegai”, piombati d’un tratto nella precarietà quotidiana, e terrorizzati dall’idea di un repentino declassamento sociale, che li avrebbe condotti alla miseria. Il piccolo-borghese minacciato dalla crisi, ansioso, delirante, invidioso, razzista, si trasforma sempre in un mostro, ma soprattutto consegna il potere (democraticamente o accettando passivamente un golpe militare) all’Uomo Forte, al Salvatore della Patria, al Capo in grado di ripristinare l’ordine con ogni mezzo. I romanzi urbani di Roberto Arlt (I sette pazzi, I lanciafiamme) hanno affrontato questi temi con maestria, parodiando la figura del “capo carismatico” (per citare Max Weber), che si afferma in Europa a partire dal fascismo italiano, per poi diramarsi nel nazismo e nel franchismo. È noto inoltre quanto le caste militari argentine fossero affascinate dalle ideologie totalitarie fasciste europee (benché non ne condividessero in parte un certo “populismo”). Il golpe militare del 6 settembre 1930 del generale José Félix Uriburu si autodefinì “rivoluzione”, il che suona quasi come una farsa, considerando che c’è ben poco di rivoluzionario in un golpe militare reazionario, repressivo, appoggiato dai “bottegai”. Roberto Arlt da sagace giornalista immortalò quelle vicende nei suoi articoli di costume per «El Mundo». Non solo, fu inviato dal suo giornale come corrispondente in Europa tra il 1935 e il 1936, per seguire gli sviluppi della crisi politica in Spagna, che sarebbe sfociata nella guerra civile. Soggiornò anche in nord Africa. Al ritorno dai suoi viaggi, cominciò a dedicarsi ancora più proficuamente al teatro.

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“La «petite musique» di Céline”. Saggio di Domenico Carosso. (Parte II)

Louis-Ferdinand CélineLa «petite musique» di Céline (seconda parte)

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di Domenico Carosso

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Céline e Proust

Il riferimento a Proust è inserito nella presentazione che Céline fa dell’attività di Madame Herote, la quale

«Unissant les couples et les désunissant avec une joie au moins égale, à coups des ragots, d’insinuations, de trahisons, imaginait du bonheur et du drame sans désemparer. Son commerce n’en marchait que mieux».

Così Proust,

«Mi-revenant lui-meme, s’est perdu avec une extraordinaire ténacité dans l’infinie, la diluante futilité des rites et démarches qui s’entortillent autour des gens du monde, gens du vide, fantômes du désirs, partouzards indécis attendant leur Watteau toujours, chercheurs sans entrain d’improbables Cythères».1

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“La «petite musique» di Céline”. Saggio di Domenico Carosso. (Parte I)

celineLa «petite musique» di Céline (prima parte)

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di Domenico Carosso

Capire l’argot per leggere Céline non basta, tanto più che l’autore è consapevole del rapido invecchiamento di lingue e dialetti, che guarda con fastidio, come una possibile fonte di blocco mentale, come sanno i suoi lettori francesi. E d’altronde l’uso che Céline fa delle 37 varianti argotiche contate da Henri Godard, il suo maggiore studioso, non è mimetico, ma occasionalmente omeopatico, come dice bene il traduttore italiano Ernesto Ferrero, il migliore, con Gugliemi e Celati.

Il problema è andare verso l’asprezza tagliente di Céline, la densità fauve che caratterizza la sua pagina, tenendo conto che il suo intraducibile jazz è quello di chi è cresciuto sotto le vetrate del passage Choiseul, nel II Arrondissement, tra l’odore di orina, i merletti inamidati della madre Marguerite, le canzoni di Aristide Bruant, dure ed epiche, e di Fréhel, forti e commoventi. Nella voce stessa di Céline, nel suo modo di parlare e nella sua scrittura, c’è sempre il suono di una vecchia parlata da faubourg, un impasto di gerghi vari che per sonorità e cadenze non ha niente a che fare col francese scolastico.

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Alain Baraton, “Il giardiniere di Versailles”

alain-baraton-il-giardiniere-di-versaillesAlain Baraton, Il giardiniere di Versailles, Skira – Storie, 2015, pp. 213, euro 17,00

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di Andrea B. Nardi

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Alla mia bell’età ho finalmente scoperto quale sia il più bel mestiere del mondo: quello di Alain Baraton, capo giardiniere del Parco di Versailles. E ne è prova anche il fatto che, pur non essendo un professionista della scrittura, il signore in questione abbia nel suo lavoro accumulato una tale sensibilità d’animo, una così marcata acutezza intellettuale, un’esperienza di vita tanto serena, da consentirgli di scrivere questo libro sorprendente.
Ancora una volta il catalogo Skira si arricchisce di un volume fuori dai contesti omologati, un memoir dalla prosa suadente, elegante e divertentissimo, con la storia di un modesto giardiniere diventato, dopo una lunga carriera, direttore del parco più famoso della storia, quando la vita vera sa essere più affascinante di un romanzo.

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La scacchiera di Marcelo Damiani. Marcelo Damiani, “Il mestiere di sopravvivere”

Marcelo Damiani, Il mestiere di sopravvivereLa scacchiera di Marcelo Damiani. Marcelo Damiani, Il mestiere di sopravvivere, traduzione e cura di Marcella Solinas, Salerno, Edizioni Arcoiris, 2014, pp. 184, euro 12,00

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di Primo De Vecchis

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In un’isola dell’America Latina, per certi versi simile all’Argentina dei nostri tempi, sorge una particolare università chiamata Centro Accademico SCAcchistico Transnazionale Avanzato (C.A.SCA.TA), che prevede una innovativa Laurea in Scacchi, dove si insegnano materie tecniche (“Aperture”, “Finali”) e altre più teoriche (“Estetica”, “Filosofia della scacchiera”). Non si tratta dell’inizio di un racconto di David Foster Wallace, ma del primo capitolo di un romanzo postmoderno (ma per nulla “superficiale”) dell’argentino Marcelo Damiani, classe 1969, che prende il titolo de Il mestiere di sopravvivere.

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Nickolas Butler, “Shotgun Lovesongs”

Shotgun Lovesongs, Nickolas ButlerNickolas Butler, Shotgun Lovesongs, Marsilio 2014, pp. 318, euro 18,00

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di Andrea B. Nardi

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Nelle comunità rurali degli Stati Uniti l’espressione shotgun wedding, o shotgun lovers, sta a indicare il fidanzamento e matrimonio riparatore imposto dal padre della ragazza al giovanotto che l’ha insidiata, tramite il più che convincente argomento di una doppietta a canna liscia puntata addosso al malcapitato. Sebbene parecchi siano i temi che vanno a intrecciarsi in questo davvero bel romanzo d’esordio di Butler, quello che ci ha affascinato e pienamente coinvolto è proprio l’ambiente agricolo dei grandi spazi americani, ossia, in pratica, l’intera America, la sua maggiore espressione sociale, al di là delle varie metropoli aliene e distanti.

Continua a leggere “Nickolas Butler, “Shotgun Lovesongs””

César Vallejo, “Favola selvaggia”. Una novella nera e fantastica di César Vallejo.

favola_selvaggia César Vallejo, Favola selvaggia, traduzione di Raul Schenardi, Postfazione di Silvana Serafin, Salerno, 2014, Edizioni Arcoiris, pp. 76, euro 8,50.

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di Primo De Vecchis

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Il poeta peruviano César Vallejo, prima di emigrare alla volta dell’Europa per motivi politici, pubblicò nel 1923 un racconto lungo (o romanzo breve) dal titolo Favola selvaggia. Vallejo scrisse la novella in uno dei momenti più drammatici e fecondi della sua vita: nel 1922 aveva pubblicato la sua raccolta poetica più innovativa, Trilce, scritta per lo più mentre si trovava rinchiuso in carcere, accusato ingiustamente di aver “istigato intellettualmente” una rivolta con furti, saccheggi e un incendio doloso nella sua città natale, Santiago de Chuco.

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Della crocchia vudù e di altri deliri (di Alberto Laiseca). Alberto Laiseca, “Avventure di un romanziere atonale”

Alberto Laiseca, Avventure di un romanziere atonaleAlberto Laiseca, Avventure di un romanziere atonale, traduzione e cura di Loris Tassi, Salerno, Edizioni Arcoiris, 2013, pp. 116, euro 10,00

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di Primo De Vecchis

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Le Avventure di un romanziere atonale di Alberto Laiseca (nato a Rosario, Argentina, classe 1951) non è un libro facile da leggere. Consta di due racconti lunghi: il primo dà il titolo all’opera, mentre il secondo prende il nome di L’epopea del Re Teobaldo. Per ragioni che risulteranno chiare in seguito, mi limiterò a parlare del primo racconto. La trama (se esiste) è apparentemente semplice. C’era una volta un romanziere fallito che trascorre la miglior parte della sua esistenza insulsa in una topaia a vergare il suo romanzo sperimentale, ovvero atonale, che ha raggiunto ormai quota oltre duemila pagine dopo almeno dieci anni di lavoro.

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Sigrid Undset, “Vita di Sant’Halvard”

Sigrid Undset, Vita di Sant’HalvardSigrid Undset, Vita di Sant’Halvard, a cura di Marco Tornar,  Solfanelli, 2013, pp.77, € 8

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di Francesco Sasso

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Questo che ho sott’occhi è un breve romanzo godibilissimo. Ha per sfondo il medioevo nordico dove l’esistenza è immersa nella violenza e nelle nebbie del tempo. La scrittrice è Sigrid Undset (1882-1949) la quale, dopo alcuni romanzi di uno sconsolato realismo riguardanti per lo più i problemi delle donne della borghesia, come Jenny, compose dei vasti romanzi epici evocanti la Norvegia cattolica del medioevo, fra cui il suo capolavoro, la trilogia storica Kristin Lauransdatter. Convertitasi al cattolicesimo, nelle sue ultime opere affronta soprattutto problemi religiosi ed etici.

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Alla scoperta dell’iceberg Arlt. Postfazione di Raul Schenardi

Alla scoperta dell’iceberg Arlt. Nel vortice marino di Arlt. Roberto Arlt, Un viaggio terribile, traduzione e cura di Raul Schenardi, Salerno, Edizioni Arcoiris, 2014, pp. 100, euro 10,00

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di Raul Schenardi

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Bisognerà pure domandarsi prima o poi come mai la grande editoria italiana sia stata così ingenerosa o disattenta nei confronti dell’opera di Roberto Arlt: silenzio tombale sulla drammaturgia e sull’attività giornalistica1, fugaci apparizioni di una manciata di racconti2, sporadiche comparse dei romanzi: Il giocattolo rabbioso, I sette pazzi e I lanciafiamme3; e fino a ieri nessuno si era mai curato dell’esistenza di El amor brujo4.

E non stiamo parlando di uno scrittore di “seconda fila”: per quanto discussa e perlopiù misconosciuta in passato, mentre l’autore era in vita, la figura di Arlt non ha cessato di crescere nella considerazione della critica, almeno a partire dall’appassionata difesa di Ricardo Piglia negli anni Settanta, fino alla “consacrazione” da César Aira: «È il più grande romanziere argentino»7.

 

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Nel vortice marino di Arlt. Roberto Arlt, “Un viaggio terribile”

Roberto Arlt, Un viaggio terribileNel vortice marino di Arlt. Roberto Arlt, Un viaggio terribile, traduzione e cura di Raul Schenardi, Salerno, Edizioni Arcoiris, 2014, pp. 100, euro 10,00

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di Primo De Vecchis

 

Mettete in una nave degli anni Quaranta, in partenza dalle coste del Cile e diretta a Panama, un folto gruppo di personaggi alquanto improbabili e un po’ svitati: il narratore della storia (un ex truffatore), suo cugino Luciano (presunto chiaroveggente e astrologo), il figlio di un emiro arabo, un miliardario peruviano con quattro donne al seguito, un ladro internazionale e gentiluomo, un ostetrico ubriacone (che una sera si aggira con un forcipe gigante), un pastore protestante con la moglie, una vecchia zitella scozzese assidua lettrice della Bibbia (come Ergueta nei Sette pazzi), un radiotelegrafista (sessualmente molto attivo con Mariana), una ragazza voluttuosa e ambiziosa (ingegnere chimico, inventrice, esperta di latex), un Capitano tutto d’un pezzo, una femminista svedese aspirante scrittrice, e altri ancora, brulicanti sulla tolda della nave come una turba spessa.

Fate conto che in questa nave, ribattezzata Blue Star, accadano dei fatti inspiegabili ed inquietanti, che sembrerebbero confermare le doti medianiche del cugino Luciano.

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Stéphane Mallarmé e l’esistenza dell’Ideale

Stéphane Mallarmédi Francesco Sasso

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Stéphane Mallarmé (1842-1898) esordì fra le file dei parnassiani di cui conservò anche in seguito il rispetto per la rigorosa versificazione. Nel suo famoso salotto di rue de Rome, in cui si riunivano i giovani poeti, predicò l’importanza del mondo delle idee e dell’esistenza di un ideale, combattendo gli errori di un’età scientifica: la poesia non deve essere incatenata dall’uso delle parole nel loro contesto usuale, l’immagine statica cara ai parnassiani deve essere liberata da un’idea fuggevole o anche dall’assenza, e l’immagine deve essere solo evocata da corrispondenti analogie. Ciò tuttavia non significa alcuna libertà soggettiva, in quanto tali analogie simboliche sono fissate in base ad un rigoroso soggettivismo, la cui ricerca è l’aspirazione e insieme il dramma costante di Mallarmé.

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ESOTERISMO E COSPIRAZIONE POLITICA NEI ROMANZI DI ROBERTO ARLT: UN CONFRONTO CON CURZIO MALAPARTE E PIER PAOLO PASOLINI (E-book). Saggio di Primo De Vecchis

roberto arltEsoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.

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di Primo De Vecchis

 

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Bibliografia

 

Opere di Roberto Arlt

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ESOTERISMO E COSPIRAZIONE POLITICA NEI ROMANZI DI ROBERTO ARLT: UN CONFRONTO CON CURZIO MALAPARTE E PIER PAOLO PASOLINI (Parte 6/6). Saggio di Primo De Vecchis

ROBERTO ARLTEsoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.

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di Primo De Vecchis

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III Complotto nero petrolio

III.4. Proliferazione di enti e struttura ‘a brulichio’

Ma stiamo divagando, dagli anni Trenta siamo passati con noncuranza agli anni Settanta, eppure questo salto temporale ardito non è casuale, poiché vorrei ora tracciare una breve analogia, come accennai, tra la tecnica dell’elenco di imprese ed enti dell’Astrologo e il medesimo dispositivo retorico adoperato da Pasolini in alcuni appunti di Petrolio. Ho già fatto dei brevi accenni a questo romanzo incompiuto (per la sopraggiunta morte dell’autore), mi pare impossibile riassumerlo in poche righe e non è questa la sede adatta a farlo. Voglio solo tracciare dei contatti specifici e rapidi.

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ESOTERISMO E COSPIRAZIONE POLITICA NEI ROMANZI DI ROBERTO ARLT: UN CONFRONTO CON CURZIO MALAPARTE E PIER PAOLO PASOLINI (Parte 5/6). Saggio di Primo De Vecchis

ROBERTO ARLTEsoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.

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di Primo De Vecchis

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III. complotto nero petrolio

III.1. ‘Rivoluzioni’ e una geometrica angoscia

Los lanzallamas si apre con una chiara ripresa del finale de Los siete locos, dove Erdosain diceva al suo leader: « – ¿Sabe que usted se parece a Lenin?».[1] Nel nuovo romanzo l’interpellato risponde tra sé a mezza voce: «Sí… pero Lenin sabía adonde iba».[2] Ulteriore prova della confusione politica dell’Astrologo, una sorta di Vanna Marchi della ‘rivoluzione’, parola che spicca sempre nei suoi discorsi. Nel frattempo nella realtà fattuale dell’Argentina del 1930 una ‘rivoluzione’ è accaduta davvero. Invero però si tratta di un colpo di Stato militare di stampo reazionario, a protezione degli interessi dell’oligarchia e di imprese petrolifere straniere (la Standard Oil per esempio), organizzato dal gruppo del 7 settembre, capitanato dal generale Uriburu, organizzazione che si autodefinisce nazionalista e ammiratrice del fascismo italiano. È il primo di una lunga serie di colpi di Stato delle caste militari a favore di un’oligarchia autoctona in combutta con interessi stranieri, come di solito accade negli Stati postcoloniali, che invero continuano ad essere colonizzati economicamente da nazioni straniere attraverso l’imposizione di ‘modelli economici’ a svantaggio della collettività, come il cosiddetto modelo agroesportador nel caso argentino.

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ESOTERISMO E COSPIRAZIONE POLITICA NEI ROMANZI DI ROBERTO ARLT: UN CONFRONTO CON CURZIO MALAPARTE E PIER PAOLO PASOLINI (Parte 4/6). Saggio di Primo De Vecchis

ROBERTO ARLTEsoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.

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di Primo De Vecchis

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I 7 pazzi e la loro cospirazione

II.6. Curzio Malaparte e l’Astrologo ‘catilinario’


Vorrei però anticipare un brano arltiano, tratto da un’acquaforte, dove si cita esplicitamente il trattatello malapartiano, per criticarne un aspetto, una teoria, ovvero per differenziarsi da esso. Il fatto che Arlt prenda le distanze è significativo. D’altronde il testo è del 1938, alla vigilia della guerra, quando lo scrittore è divenuto ormai un acerrimo nemico dei fascismi (e non più solo un parodista) e quando ormai ha approfondito la sua formazione intellettuale, soprattutto politica e marxista. Non è più l’Arlt ‘ambiguo’ del ’29 e del ’30, il divertito pasticheur dei discorsi politici che confluivano in America Latina dal laboratorio europeo. È preoccupato dalla situazione geopolitica mondiale, ove le nubi si addensano fosche all’orizzonte. Estrapolo il passo che ci interessa dall’acquaforte Los jóvenes de los tiempos viejos (I giovani dei vecchi tempi, pubblicata ne «El Mundo» il 21 settembre del 1939) dove si analizza la fascinazione subita da parte dei giovani romantici nei confronti dei condottieri sanguinari, incantatori di serpenti disposti a condurli verso il baratro. Dopo aver citato l’esempio antico di Mario e Silla e della somiglianza tra i giovani di allora e quelli di oggi, Arlt scrive:

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ESOTERISMO E COSPIRAZIONE POLITICA NEI ROMANZI DI ROBERTO ARLT: UN CONFRONTO CON CURZIO MALAPARTE E PIER PAOLO PASOLINI (Parte 3/6). Saggio di Primo De Vecchis

ROBERTO ARLTEsoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.

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di Primo De Vecchis

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I 7 pazzi e la loro cospirazione

 

II.1. Un uomo vuoto

Dedichiamo ora brevemente attenzione alla trama, alle tematiche e allo sviluppo de Los siete locos, partendo dai dettagli testuali per elevarci a considerazioni più generali. Quest’opera si caratterizza subito per un ritmo rapido, sostenuto, incalzante: deve molto alle strutture e alle tecniche dei romanzi d’appendice dell’Ottocento. Ma poi riempie tale scheletro o meccanismo con riflessioni, analisi e fantasticherie tipicamente novecentesche che precorrono per esempio l’esistenzialismo francese (soprattutto nei primi capitoletti). I brevi titoli sono spie indicative: La sorpresa, Estados de conciencia (Stati di coscienza), El terror en la calle (Il terrore della strada), Un hombre extraño (Un uomo strano), El odio, ecc.

Inoltre siamo in presenza di un’impalcatura da letteratura popolare e canagliesca, ricca però di accorgimenti tecnici e innovazioni tipicamente novecentesche. L’impressione quindi è quella di una mescolanza o fusione o meglio giustapposizione di alto e basso, di romanzo d’appendice e di romanzo di acuta e dolorosa penetrazione psicologica con venature grottesche e dunque umoristiche. Innanzitutto sottolineiamo la tecnica classica della ‘corsa contro il tempo’ (adoperata ancora oggi in molti best-seller). Erdosain, che lavora presso una multinazionale, uno zuccherificio, viene scoperto dai suoi dirigenti e accusato di aver truffato l’azienda intascandosi la cifra di seicento pesos. Ha tempo entro le tre del pomeriggio del giorno successivo per riportarli, altrimenti sarà denunciato alla polizia. L’incipit dunque è in medias res. Ma Erdosain è accolto in un ufficio da tre personaggi dell’azienda in una scena dal sapore kafkiano (in seguito si noteranno altri dettagli simili). L’accorgimento (quasi filmico) della corsa contro il tempo per procurarsi i soldi necessari (l’alternativa è il carcere) riesce a catturare l’attenzione anche del lettore più ingenuo. Ma immediatamente Arlt si cala nel cervello del protagonista, illustrando i suoi tormenti interiori.

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