Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)
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di Giuseppe Panella
Lettere dall’interno della poesia. Paolo Maccari, Fuoco amico, presentazione di Mario Specchio, Firenze, Passigli, 2009
Scrive Mario Specchio nella quarta di copertina a questo libro (il terzo di poesia dell’autore):
«Maccari sostiene il flusso dei sentimenti individuali, esistenziali, con una maturità disincantata e la punta di diamante della sua poesia penetra la realtà oggettiva, il cui spettro si va sempre più ampliando, delineandola in tutta la sua durezza, nella plasticità dell’immagine ed anche nella struggente tenerezza della sua caducità. E spesso il lievito segreto di questa felice alchimia risiede in una ironia sottile e indagatrice che niente ha a che fare con la corriva e spesso stolida ironia ‘minimalista’, ma è semmai vicina a quella che Thomas Mann definiva “ironia erotica”, che è difesa e attacco. Difesa dell’Io poetico e dalle sue sempre incombenti ipertrofie, e attacco alla esistenza delle cose, alla loro, non di rado, crudele sordità».
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