Il primo giorno della luna nuova. Elia Malagò, “Calende”

Elia Malagò, Calende, Manni, 2018, pp. 174, € 18,00

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di Stefano Lanuzza
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Dopo Incauta solitudine (2010), riflessivo percorso nel cuore di una realtà entropica sorvegliata da un dio barbaro e muto verso cui non esistono preghiere, dopo Golena (2014), diario in versi di un sogno di fuga da una pervasiva musica di acufeni secernente parole come “lacrime invisibili”, ecco, nell’opera ormai cospicua di Elia Malagò, un libro di vera eccellenza qual è Calende (Manni, novembre 2018 ma 2019, pp. 174, € 18,00), alacre raccolta di versi (2012- 2018) accordati con l’innata vocazione narrativa di questa autrice che esordisce all’età di vent’anni pubblicando il talentoso Dieci racconti – gente del fiume (1968)… Quanto alla parola Calende, che per i latini sarebbe il primo giorno della luna nuova di ogni mese dell’anno, essa viene adattata alle atmosfere di Felonica Po, paese-metafora e ‘luogo dell’anima’ cui la nativa scrittrice ispira esplicitamente molta parte della sua opera.

Muovendo da affabulazioni tutte autobiografiche (quasi refertali nel romanzo di un ritorno all’infanzia L’ombra ripresa, 1988), con pagine sospese tra realismo e codici linguistico-lessicali carichi di risonanti gerghi, dialettalità e neoconiazioni o neologismi come clausole psicologico-esistenziali, la Malagò aduna reminiscenze crepuscolari e frantumi memoriali che, volti in strofe di vario schema metrico, altresì adombrano una serie di microracconti e quanto potrebbe costituire materia di una vicenda ricca di episodi incombenti, distolti dalla loro anonimia e vivificati entro inconsueti rapporti sematici.

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